-di Francesca Zardini –
Le apparenze ingannano. Scoprite i segreti di una città ermetica, ombrosa e millenaria, lontano dalle trappole per turisti, in compagnia di Francesca Zardini. Ne sarete sorpresi. FOTO
Se Verona fosse una donna, quali caratteristiche fisiognomiche avrebbe potuto suggerire a Cesare Lombroso, celebre criminologo di origine scaligera?
La città è ermetica, per chi vi abita e per chi desideri scoprirne i misteri millenari.
I primi insediamenti risalgono a una lontana fase preistorica ed il Museo di Scienze Naturali (Lungadige Porta Vittoria, 9), con più di 200.000 reperti preistorici e gli importanti fossili di Bolca, dischiude un’imponente collezione.
Il carattere originario, germanico e aspro, è oggi impalpabile nell’armonia estetica ed architettonica che veste la città, benché sia attecchito e divenuto quasi inestirpabile.
Ai Romani si deve un’urbanistica più complessa, la città (già menzionata da Polibio) ricorre nei testi di Plinio il Vecchio, Catullo e Cicerone, crocevia importante, terra fertile e intellettualmente vivace.
Molte sono le vestigia risalenti a quel periodo e suggerite ai turisti nei percorsi canonici -Arena, Arco dei Gavi,Teatro Romano, Museo Lapidario, Porta Leoni, Porta Borsari, Ponte Pietra-, ma in pochi ricordano che la città romana rivive nel sottosuolo; l’attuale Piazza Erbe nasconde uno dei fori più decorati e sontuosi, ancora in gran parte inesplorato, ma visitabile in alcuni tratti nei percorso “Verona sotterranea”; molti istituti di credito hanno recuperato mosaici e capitelli, bassorilievi e fondamenta, adiacenti ai loro caveaux; chi si reca nel celebre Ristorante 12 Apostoli (Corticella San Marco, 3), può chiedere di visitarne le cantine, lì troverà quanto rimane del Campidoglio e del tempio dedicato a Giove, Giunone e Minerva.
La città è ermetica e di difficile penetrazione, non solo per il carattere, immutato nei secoli e reso ancor più diffidente da un susseguirsi di invasioni e dominazioni, ma anche e soprattutto da un punto di vista artistico, per una stratificazione simbolica (spesso con riferimenti esoterici e alchemici), ancora visibile a livello iconografico, e molto difficile da decodificare.
Simboli sacri e profani convivono, con egual dignità, visibili in un crogiolo di decorazioni (romane, romaniche, gotiche, rinascimentali, barocche, neoclassiche), in qualche orpello urbano rimasto lì, quasi per caso, segno di una città che ha accettato, suo malgrado, ogni passaggio, armata, personalità forestiera, influenza artistica, adottando toni di indifferenza, apatia, scetticismo, consapevole che sarebbe comunque sopravvissuta al passare di tante glorie effimere.
Durante i secoli, in cui si diffuse la Cristianità, Verona subì la dominazione degli Ostrogoti e poi dei Longobardi. Teodorico l’abitò e la fortificò per renderla inespugnabile, facendo leva e rafforzando il carattere germanico, già insito negli autoctoni (Carducci ambientò a Verona la leggenda che narra la sua morte: “Su ‘l castello di Verona/ batte il sole a mezzogiorno,/ dalla Chiusa al pian rintrona/ solitario il suo di un corno…”).
Seguì la Signoria della Scala, che vide in Cangrande guida illuminata di una città sempre più importante a livello economico e, già sul finire del Duecento, a livello umanistico. Questi sono gli anni in cui arriva il fiorentino Dante Alighieri (Verona è per lui il “primo rifugio e ‘l primo ostello”, Paradiso, XVII, 70) e da qui molte similitudini iniziarono ad accomunare la città veneta e il capoluogo toscano.
In realtà, occorre svelare che i merli, ad oggi visibili su tutte le costruzioni medioevali sopravvissute, erano originariamente piatti, ad identificare i baluardi guelfi e la fazione che poté ospitare, per ovvie appartenenze politiche, il guelfo Dante. Oggi a Verona svettano esclusivamente merli ghibellini, un falso storico (come alcuni posticci restauri apportati alla Casa di Giulietta), voluti da un sindaco all’inizio del ‘900, per rendere la città più appetibile da un punto di vista turistico.
Medioevale e autentica rimane la casa di Romeo (un’abitazione privata in via Arche Scaligere, 2), palazzo realmente appartenuto alla famiglia Montecchi, già noti a Verona, cacciati da Cangrande nel 1320. Dante fu tra i primi a raccontarne le gesta “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti/ Monaldi e Filippeschi uom senza cura/ color già tristi e questi con sospetti” (Purgatorio, VI, 106 – 108).
Il Quattro e Cinquecento vedono l’attività indefessa di importanti pittori quali Mantegna, Pisanello, Paolo Veronese e Paolo Farinati, e dell’Architetto Michele Sammicheli, cui si deve Palazzo Canossa
e Palazzo Bevilacqua (entrambi in Corso Cavour).
Shakespeare non la visitò mai, ma i lineamenti coriacei e fieri dei veronesi (“Non c’è mondo per me aldilà delle mura di Verona”) emergono con grande lucidità e realismo nei suoi versi cinquecenteschi (The Two Gentlemen of Verona, e soprattutto The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet).
Viaggiatori illustri la resero tappa obbligata dei loro grand tour, tra costoro figurano Misson, Montaigne, Montesquieu, de Brosses e Goethe.
La prima edizione del Viaggio in Italia (Voyage d’Italie) di Maximilien Misson risale al 1691 e non lesina a Verona commenti caustici, secondo l’abituale sarcasmo francofono nei confronti dei cugini d’Oltralpe.
L’unico luogo dal quale Misson rimane abbagliato è la collezione del Conte Moscardo, tutt’oggi visitabile, nella dimora originale, il Museo Miniscalchi-Erizzo, colma di meraviglie secentesche e di reliquie, compresa l’ametista che San Giuseppe avrebbe regalato alla Vergine, quale dono di fidanzamento.
Molti sono i reperti, in una città profondamente cattolica, che la tradizione popolare riconduce a vicende cristiane (tratte soprattutto dai vangeli apocrifi), fra queste la Muletta lignea, con il Cristo benedicente, conservata presso la Chiesa di Santa Maria in Organo (Via Santa Maria in Organo, 1); leggenda vuole che la statua conservi al suo interno la pelle dell’asino che portò Cristo a Gerusalemme attraverso la porta d’oriente.
Fuori dall’itinerario turistico abituale è Giardino Giusti (della fine del ‘400, vedi foto di copertina), apprezzato da molti viaggiatori: Goethe nel suo Viaggio in Italia si sofferma a descriverne con meticolosità la bellezza della natura. A pochi passi dal Giardino, dopo il Teatro Romano, si trova sulla destra, un cammino, un poco impervio, ma piacevole, che sale a Castel Teodorico (citato da Carducci, noto anche come Castel San Pietro). La roccaforte è, nel suo insieme e nelle ultime modifiche, austriaca e testimonia, come Porta Palio e la cinta dei bastioni cittadini, il periodo in cui, terminato il dominio della Serenissima, Verona fu considerata strategica dagli Asburgo, che vi stanziarono una quantità non indifferente di truppe (durante il presidio austriaco Verona ebbe decine di teatri funzionanti, ora scomparsi, come postriboli e numerosi luoghi di piacere).
Non solo per chi debba entrarvi per motivi di studio, merita una visita la Biblioteca Capitolare (Piazza Duomo, 13), gioiello già attivo nel V secolo come Scriptorium, ovvero officina libraria ed ancora l’Accademia di Scienze, Lettere e Agricoltura (Via Leoncino, 6), nata nel 1768 e fra le più antiche d’Italia.
Verona, terra di alchimisti e scienziati, medici e collezionisti, descritta dal Vasari (urbs picta per la ricchezza di colori e affreschi, ancora visibili quelli sulla facciata di Palazzo Mazzanti in Piazza Erbe), Carducci, Collodi, visitata da Mozart (che nel 1770 suonò nella Sala Maffeiana, adiacente al Teatro Filarmonico), conquistata da Napoleone, meta di Wagner, Puccini, Kafka (che recensì la prima Aida del 1913), D’Annunzio, Eleonora Duse (che appena quattordicenne debuttò nel ruolo di Giulietta in un piccolo teatrino di legno, costruito all’interno dell’Arena), dimora di Maria Callas e di altre celebri voci belcantistiche, avrebbe potuto essere descritta da Cesare Lombroso come una donna bella, altera, dallo sguardo impenetrabile e misterioso, il sopracciglio spesso e diffidente, talvolta scontroso, i lineamenti eleganti, di indole gaudente, dotta, pragmatica, astuta, votata all’alchimia e alla scienza, al commercio e alla terra, florida per le colline verdi che l’adornano e le curve sinuose disegnate dall’Adige; Verona è un po’ come Scheherazade, che, per sopravvivere, narra storie millenarie e leggende più o meno verosimili e, con il suo fascino, le rende avvincenti.
I suggerimenti qui forniti, ovviamente sono indirizzati a coloro che, avendo già visitato il Museo di Castelvecchio, il Museo Archeologico e quello di Arte Africana, la Chiesa di Sant’Anastasia, il Duomo , la Chiesa di San Zeno, la Chiesa di San Giorgio, le Arche Scaligere, il Palazzo della Ragione e la Torre dei Lamberti, desiderino tentare di risolvere gli innumerevoli misteri ancora rimasti irrisolti, tra cui… il famoso indovinello veronese custodito in Capitolare… apparentemente il primo testo in lingua volgare…
LE FOTO SONO DI FRANCESCA ZARDINI-cortesia dell’A.