-di Massimiliano Morelli-
L’insopportabile triplice fischio del direttore di gara è arrivato e Luca Toni che scrive i titoli di coda al termine d’una carriera da persona per bene ancor prima che da fromboliere del gol rappresenta una di quelle notizie che scavalcano in maniera blanda ma efficace il filo spinato del tifo.
Siamo schietti, che il signor Toni abbia indossato il bianco e nero della Vecchia Signora o il giallorosso della “maggica” poco importa, così come deve lasciar distaccati dalle “ultras-maniere” quelli che potrebbero avere il dente avvelenato con lui per un punto decisivo prodotto contro la propria passione calcistica.
Abdica alla soglia dei 39 anni con lo smacco appena percettibile, alla chiusura del sipario, d’una retrocessione vissuta col Verona, annata disgraziatamente sfigata per gli scaligeri. Ma anche qui “chissene infischia” se si è innamorati pazzi del pallone e non semplici tifosi da salotto. Toni è stato campione del mondo sotto il cielo di Berlino e panzer vincente del Bayern Monaco, indi per cui che cosa è una caduta in B al termine d’un ventennio durante il quale il ragazzo s’è fatto voler bene pure a Palermo e a Treviso, a Vicenza, a Genova, a Brescia, Modena, Empoli, Fiorenzuola, con la maglia della Lodigiani e perfino con quella araba dell’Al-Nasr in un campionato vissuto appena, appena, ma che l’ha visto andare in gol pure da quelle parti?
Da Pavullo nel Frignano – remoto paesino del modenese che pare arrivare mai quando si viaggia in macchina, fra scollinate, ripide fettucce d’asfalto e curve da mal di stomaco per il passeggero, salvo poi ritrovarsi in un piccolo paradiso terrestre – l’eroe di Matze Knop (quel comico che gli dedicò “Numero Uno” ai tempi di militanza in Bundesliga), lo spilungone che pareva portato per il basket più che per il football, di strada ne ha fatta davvero parecchia. E parecchia gente ha conosciuto, compresi quei calciatori ciechi che un paio d’anni fa si ritrovarono a qualche centinaio di metri da casa sua per giocarsi le finali dei campionati italiani della specialità, il calcio per non vedenti, appunto. E il “panzer” fu talmente disponibile che a molti pareva perfino assurdo trovarsi di fronte a un milionario della patria pallonara, uno di quei calciatori che paiono più virtuali di quelli della Playstation. Macché, restò fino alla fine delle premiazioni e strinse mani senza soluzione di continuità; e soprattutto non cercò di liberarsi della marcatura di stopper pronti per l’autoscatto, pardon, per il selfie di rito.
Sbarcato tardi nel calcio che conta, il signor Luca è stato spesso e volentieri sottovalutato, ma ci sta tutto il ragionamento quando si è uomini mansueti e certo non personaggi da strillo di copertina. Nella massima serie a ventitré anni, in Nazionale a ventisette, l’istantanea del “ciampicone” che sguscia in area come riusciva a fare quel “Nanu” di Galderisi pur essendo fisico da corazziere stile Mark Hateley, lascia l’amarognolo sulle labbra a quegli amanti del football incapaci di comprendere perché un centravanti che ha calcato le scene per ventidue anni sia sbocciato così tardi rispetto agli stereotipi del bomber. Neanche si trattasse di un vino invecchiato nella botte di rovere per migliorare quel gusto sopraffino che si pregusta, comunque, anche subito dopo la vendemmia.
Solita tiritera di chi parla a vanvera, si fosse chiamato Toniao o Tonisky la scena gli si sarebbe aperta prima, ma questa è chiacchiera spicciola e bassa psicologia. Del resto Lapadula, con quel cognome, non hanno fantasticato di portarlo all’Europeo? Tutto è mutato col tempo e quel fascino di chi ha la faccia da straniero adesso perde il sopravvento sul prodotto nostrano. Colpa, o forse merito, anche della crisi economica, ma qui servirebbe una Treccani per spiegare le deficienze monetarie di patron che vogliono ma non possono e dunque s’accontentano della merce coltivata in casa.
Con Toni doveva andare così e così è andata, inutile camuffare l’originalità di certe storie. Frammenti di vita che s’intersecano fra loro: Luca Toni vince la marcatori con 31 gol indossando la maglia della viola di Toscana e replica la conquista quasi al tramonto della carriera con la casacca dell’Hellas, roba da non crederci, 22 reti fondamentali per rispondere con ironia a chi vagheggiava il Bentegodi come una stazione di servizio e non una fiammata prodigiosamente unica nel suo genere. Capocannoniere coi quarant’anni alle viste, roba che neanche Hans Christian Andersen sarebbe stato capace di scrivere una favola così spontaneamente godibile.
L’hanno allenato Mazzone e Conte, con Lippi ha vinto il massimo e con l’ultimo mister, Gigi Delneri, hai voglia a parlare di rose e fiori, non si sono piaciuti. Ma non si può andar d’accordo con tutti nella vita. Rimane il fatto che a Verona in tre anni è diventato il cannoniere più prolifico nella storia dell’Hellas in serie A. Neanche Elkjaer, Adailton e Zigoni fecero altrettanto. Torna a casa Luca, torna sull’altopiano di Pavóll. Quel paradiso non può attendere.