The Beatles by covers – parte 2

– di Maurizio Melani –

8 agosto 1969, ecco lo storico scatto di Abbey road. Esplosi nel solco del beat e del rock’n’roll, nel 1967 i Fab 4 scoprono la psichedelia. Così cambia l’immagine e le copertine dei vinili – giocando anche sulla presunta morte di Paul Mc Cartney – si fanno dense di colori, simboli, misteri. PARTE  1

Se il 1966 fu un anno cruciale per la storia dei Beatles, con la pubblicazione del nuovo corso di “Revolver” e la “morte-non-morte” di Paul, il 1967 lo fu per il movimento giovanile e la nouvelle vague musicale. Sulla scia della contestazione anti Vietnam, che avrà il suo apice nella Marcia per la pace a Washington il 21 ottobre, della Hippie philosophy e della Summer of Love di San Francisco, a Monterey si svolge il primo grande rock festival – quello in cui Hendrix, con gli occhi da spiritato figlio del Voodoo, incenerisce la propria chitarra dopo aver distorto l’inno nazionale – ed esplode la liturgia psichedelica. Tutte le band, anche le più grandi e già affermate, ne resteranno contagiate. I Rolling Stones, espliciti come non mai, in quel caldo 1967 danno alle stampe “Their satanic majestic request”, attribuendo alla lysergic music oscuri poteri mistici se non demoniaci. I Beatles, più filosofi e meno apocalittici, si limitano a mettere il santone nero Aleister Crowley sulla copertina di “Sgt. Pepper’s” (vedi la prima parte di questo approfondimento) e a introdurre tastiere, colori e quei misteri tanto cari al partito del PID (Paul Is Dead).

stones

Alla fine dell’anno, pochi mesi dopo l’uscita sul mercato della “banda dei cuori solitari”, viene prodotto The Magical Mystery Tour, colonna sonora dell’omonimo film diretto da Paul (o da chi ne prese il posto). Sospeso ancora una volta tra suoni psichedelici, testi onirici e giochi di parole, la copertina non poteva mancare di colori sgargianti e un pizzico di geniale follia surrealista, con i quattro mascherati da animali. Chi è colui che indossa la maschera da tricheco, simbolo di sventura in alcune mitologie nordiche? In quel momento non era dato saperlo e forse proprio lì stava il “magico mistero”. Per avere la risposta dobbiamo aspettare il vinile successivo, il mitico “White album”, dove nella canzone ricca di rimandi a testi precedenti e alla teoria del PID, “Glass onion” – per alcuni un gioco di parole per indicare un modello di bara con oblò di vetro – John svela che “Quel tricheco era Paul”. Guarda caso.

A esser pignoli, il partito del PID aggiunge anche che, girando la copertina di 180 gradi, le stelle gialle che formano la scritta Beatles darebbero vita al numero 5371438 chiamando il quale (da dove?), in quell’anno si ottenevano indicazioni su una fantomatica caccia al tesoro e sulla sepoltura di Mc Cartney.

magical mystery

Il 1968 è l’anno della grande utopia. I Beatles fanno uscire il loro primo e unico doppio vinile, il White album. Copertina bianca con solo il nome della band stampato sopra. Un restyling. Essenziale. Come la musica, con meno fronzoli, meno tastiere e più suoni di chitarre: dai dolci lidi di “Dear Prudence”, alla schizofrenica confusione hard di “Helter skelter”. La stessa confusione che ispirò Charles Manson per compiere l’osceno massacro di Bel Air l’anno successivo. Il piccolo passo indietro musicale era bilanciato da testi più audaci, sia in campo socio-politico (“Revolution”, “Happyness is a warm gun”) che in quello delle libertà sessuali stile hippie (“Why don’t we do it in the road”, “Everybody’s got something to hide except me and my monkey”).

Nonostante la cover pulita come un divin cherubino, senza simboli o doppi sensi da interpretare, i seguaci del PID non restarono delusi scavando nei meandri delle partiture: dalla già citata “Glass onion” (“The walrus was Paul”) a “Revolution 9” (come il giorno della morte) che, se ascoltata al contrario (un altro dei più affascinanti e terribili misteri del rock’n’roll old school), produrrebbe suoni di frenate di auto e urla come “Get me out” (Tiratemi fuori) “I’m die” (Sto morendo) e un coro finale ripetuto fino alla noia: “Paul Is dead”. E voi avete mai provato ad ascoltare un disco al contrario? Da adolescente – per non graffiare i miei Led Zeppelin, Who, Doors, Stones, Floyd – provai con un vinile di Celentano di mio padre. Rimasi però assai deluso dal risultato che aveva poco del misterioso o del demoniaco…

White_Album_by_sunami_knukles

 

Un mese dopo l’album bianco, nel dicembre del ’68, esce Yellow submarine, colonna sonora dell’omonimo cartone animato diretto da George Dunning, con soli quattro brani inediti: musicalmente un mix dei tre dischi precedenti. Per la serie “la fantasia al potere”, la copertina riprende l’animazione trasformando i quattro musici in colorati cartoons, con un particolare da non sottovalutare: la mano di John si posa ambiguamente sopra la testa di Paul. Qualcuno potrà vedere nel gesto un’anticipazione di una nota “bagattella” di un ex premier, ma il sempre pronto PID tirò invece in ballo la filosofia orientale, per la quale quel gesto rappresentava un chiaro presagio di morte.

submarine

Meno di un anno dopo, nel settembre del ’69, esce Abbey Road, per molti la copertina più esplicita, misteriosa e inquietante della band. Finita l’infatuazione per la psichedelia i Beatles, sul solco del “White album”, si mettono alla ricerca di una nuova corsia preferenziale, lasciando le contaminazioni sonore ai fricchettoni della West Coast, il rock duro ed elettrico agli Who (quelli del “I hope to die before get old”) ed Hendrix, la ribellione doc agli Stones, ma riscoprendo poesia, chitarre e canzone d’autore. Senza abbandonare del tutto le tematiche d’epoca, tanto da far aprire il disco al santo orgasmo Lennoniano di “Come together”. Per il nuovo corso, il quartetto torna finalmente in copertina al naturale, ripresi dal fotografo Iain Mac Millan in quel mitico scatto sulle strisce pedonali di Abbey Road. Niente da dichiarare quindi? Al contrario. Guardate bene gli abiti e i piedi di ciascuno. Risposta esatta: Paul è scalzo e con gli occhi chiusi. Davanti a lui deambulano John in completo bianco, quasi a interpretare un sacerdote o un angelo, e Ringo in un abito nero con taglio simil portatore di bare. Chiude la fila George vestito da lavoro. Se la sua mansione fosse quella di becchino non è dato saperlo.

Il PID però rincara la dose, puntando il dito su una macchina nera (un carro funebre?) parcheggiata su un lato della strada e sul Maggiolino di fronte a questa, targato LMW28IF. Se sulle prime tre lettere vi sono molte teorie (tutte ovviamente funeree), sul significato del “28IF” sembra invece esserci unanimità: “28 anni se…fosse ancora vivo”. In realtà al momento dello scatto Paul doveva essere uno splendido ventisettenne, ma se si calcola l’età dal momento del concepimento – come accade in molte culture orientali – il risultato non deluderebbe le attese. Sta di fatto che al momento dell’uscita del vinile la band era virtualmente già sciolta, tra dischi solisti, progetti individuali, notevoli contrasti e divergenze artistiche. Non è quindi da scartare l’idea che fosse l’ennesimo (e ultimo) trucco per spremere le ultime gocce di successo.

abbey road

Il partito del PIL, realista e pragmatico come si conviene, invita a tal proposito i fans a porre l’attenzione sulla copertina del disco solista di Mc Cartney del 1993. Il titolo è tutto un programma, Paul Is Live, e la foto è quanto di più burlesco possa esserci: il nostro bassista mancino nuovamente su quelle strisce in Abbey Road, ma stavolta con scarpe ai piedi e occhi aperti. Sulla sfondo lo stesso Maggiolino la cui targa riporta un più benigno “51IS”. Come a dire: “Adesso ne ho 51 e sono ancora tra voi. Lo sono sempre stato. Chiudiamo qui quella vecchia storia”.

paul is live

Come tutte le favole che si rispettino anche la nostra deve avere una fine. Trentacinque anni fa, maggio 1970, esce l’album di commiato Let it be. Il disco è forse quello meno significativo dei Fab 4, musicalmente e concettualmente, e anche la copertina sanziona il triste addio: non più primi piani “Alltogether now” ma quattro volti singoli, incorniciati, solisti, liberi “As a bird”. La commozione fu tale e tanta che anche il PID si limitò a indicare, a voce bassa e strozzata dal pianto, che l’immagine di Paul era l’unica su sfondo rosso sangue e sguardo fisso in camera. Ma anche per loro era ormai il canto del cigno.

let it be

Di lì in poi, dopo soli 7 anni discograficamente insieme – ma un’eternità nella storia del rock – ognuno prese la propri strada, proseguendo nel solco dei valori, idee musicali, caratteri individuali. Fino al settembre del 1980 quando – tanto tuonò che piovve – un morto ci fu davvero: John Lennon ucciso da un folle ossessionato – come undici anni prima Manson – dai testi delle sue canzoni. Col tragico decesso, a detta di molti, moriva definitivamente anche il ’68, il movimento, la grande utopia o quel che ne restava. Che qualcuno abbia guidato quella mano omicida? Che le morti dei grandi rockers anticonformisti, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones, Janis Joplin non siano state veramente accidentali? E la “maledizione dei 27 anni” esiste veramente? Altre storie e altri misteri (forse) da raccontare. To be continued…

john

 

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