Syd Barrett: la vita del diamante pazzo dei Pink Floyd in un graphic novel.

– di Gianmarco Caselli –

Syd Barrett, il diamante pazzo, il “madcap”, o molto più semplicemente la mente geniale che lanciò i Pink Floyd quando ancora non erano nessuno. Poi, come tutti sanno, il destino si rovescerà e, quando i Floyd diventeranno qualcuno, sarà lui il “fu qualcuno”. Ma è impossibile dimenticarlo ed ecco “Jugband blues”, un graphic novel dedicato a Syd – il cui titolo riprende quello del suo ultimo brano firmato per i Floyd – edito da Nicola Pesce Editore, scritto e disegnato da Matteo Regattin con la collaborazione ai testi di Simone Perazzone in un elegante formato cartonato orizzontale.

I Floyd non sono storia sepolta: mentre da Londra è partita la mostra sulla loro storia, Their mortal remains di cui qui potete leggere un nostro articolo relativo all’esposizione al MACRO di Roma, David Gilmour pubblica un live a Pompei, Nick Mason suona dal vivo il repertorio dei primi tempi e annuncia l’uscita di un cofanetto dei suoi album da solista, mentre Roger Waters macina date di concerti a un anno di distanza dal suo ultimo album, un capolavoro di inediti di cui potete leggere qui la nostra recensione. Peccato solo che i tre Floyd – Wright, il tastierista, è passato a miglior vita – pur così attivi, non siano più insieme.

E Syd Barrett? La sua ombra ha pesato sempre come un macigno sul resto del Floyd, oppressi dal senso di colpa di avere scaricato proprio colui al quale dovevano il successo.

In “Jugband blues” le immagini emergono dal buio dei ricordi, dall’oscurità in cui precipita la mente di Syd schiacciata dalle droghe e dal peso dell’improvviso successo. Plumbeo e onirico il graphic novel ci immerge nella allucinata percezione della realtà di un giovane che come tanti altri suoi “colleghi” viveva per l’arte, non per inseguire soldi e fama bensì, prima di tutto, per fondersi con il tutto cosmico puro e irrazionale con cui pareva avere una sorta di contatto diretto, senza filtri. Gli altri Floyd appaiono quasi come ombre spesso indefinite, lontane proprio dalla percezione di una mente artistica così elevata, troppo ancorate a una realtà in cui si vende il proprio talento creativo al business, per fama e soldi. Per questo Syd è diverso.

Il novel inizia con la voce narrante dell’autore che si muove sulle tracce di Barrett per poi sfumare quasi impercettibilmente nella mente del musicista facendoci vedere la realtà con i suoi occhi.

Abbiamo intervistato Regattin.

Hai effettivamente effettuato una ricerca come descritta nel volume andando nei luoghi dove ha vissuto Barrett?

Sì. Questo novel vede la luce in un contesto accademico in quanto stavo facendo un Master in Inghilterra in grafica e questo è nato come progetto del corso. Ho dovuto quindi fare la ricerca in loco. Poi, finito il master, ho proseguito le ricerche.

Hai scoperto qualcosa che non conoscevi?

Tante cose già le conoscevo perché mi ero letto parecchie biografie su Barrett. La sua ex ragazza ha un archivio incredibile su di lui ma leggere tutte le lettere che Syd le aveva scritto, fare una bella chiacchierata con lei, mi ha fatto conoscere molte cose del Barrett persona che dai libri non arrivi a conoscere. Anche vedendo dal vivo i disegni che faceva si riescono a scoprire parti del suo pensiero. Le interviste, le lettere negli ultimi periodi, erano molto rare.

Che vita ha avuto Barrett quando era ormai dimenticato dal mondo del businnes?

Lui ha passato gli anni ’70 fino all ’82 a Chelsea, il periodo meno conosciuto della sua vita perché era da solo. Poi è tornato a Cambridge nella casa che si vede all’inizio del novel. Di questo periodo si conoscono alcuni dettagli raccontati da sua sorella Rosemary, che si prendeva cura di lui. Ha vissuto il resto della sua vita in modo molto semplice facendo la spesa o dipingendo. Per sua scelta è stata una vita isolata dal resto del mondo. Pare che per lui siano stati comunque anni felici.

Quello che sconvolge è pensare al suo destino. Cosa avrà provato quando gli capitava di ascoltare la musica dei Pink Floyd alla radio o di vedere un documentario su di loro alla televisione? Rabbia? Frustrazione? Angoscia? Era consapevole di quello che era successo?

Dai racconti che ho letto sulle varie biografie, Barrett non ha mai più ascoltato i Pink Floyd, pare si limitasse ad ascoltare jazz e blues delle origini. Sua sorella ha raccontato che nel 2002 videro un documentario su di lui. Alla domanda della sorella su cosa ne pensasse, Barrett rispose che gli era sembrato “too loud”, troppo rumoroso. La mia idea è che avesse preso le parole da un’intervista che gli fecero nel ‘67, dove l’intervistatore definì “too loud” la musica dei Pink Floyd. Credo che Syd sia sempre stato più consapevole di ciò che gli accadeva di quanto non si pensi.

Cosa ti colpisce di più della storia di Barrett?

Bella domanda! Mi ha colpito tutta la sua parabola. Mi ha colpito il fatto che lui comunque fosse molto più consapevole di quello che pensasse la gente riguardo alla sua mente. Lui era riuscito a parlare esplicitamente del suo stato di alienazione in maniera molto arguta. Aveva un umorismo molto spiccato, si vede anche dalle sue lettere, un umorismo che poi diventa sarcasmo tagliente.

In questo tuo lavoro manca sempre la luce, come se il futuro di Barrett fosse predefinito, scritto già prima che chiunque potesse immaginare come sarebbe andata a finire.

Sì, è venuto fuori anche più cupo di quanto mi aspettassi. Ho utilizzato il bianco e nero perchè mi trovavo più a mio agio a livello tecnico, e questo ha poi influenzato anche la storia, che parla di una parabola di ascesa e caduta. È un racconto speculativo, che racconto con il filtro dei miei occhi.

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