INTERVISTA ESCLUSIVA AL REGISTA STEFANO LODOVICHI
-di Tommaso Tronconi-
In fondo al bosco, opera seconda di Stefano Lodovichi, segna l’“esordio” al cinema di Sky con una produzione originale per le sale cinematografiche nostrane. Un thriller familiare di sicuro impatto sul pubblico che rilancia la sfida del cinema di qualità. Ne abbiamo parlato con il regista.
Un bambino di quattro anni scompare durante una festa di paese in un piccolo villaggio montano. Viene ritrovato cinque anni dopo, ma la madre non è convinta della sua identità e dubita sia davvero suo figlio. Un caso di cronaca? No, un film. In fondo al bosco, opera seconda di Stefano Lodovichi a due anni di distanza dal riuscito teen-movie Aquadro, raccoglie e racchiude in sé svariati spunti di cronaca nera italiana per portarci a riflettere, dietro una fotografia noir, sui temi della famiglia, della paternità, della verità. Un film che, con la partnership di Notorious Pictures, segna la “prima volta” di Sky Cinema con una produzione originale per le sale cinematografiche italiane.
Interamente girato in Trentino, Val di Fassa, con il supporto sul territorio dell’Apt di Fassa e della Trentino Film Commission, In fondo al bosco è una sfida per il cinema italiano che, affiancando il talento di un giovane ma già maturo regista ad una grande produzione, si mette in gioco per un cinema di qualità e non stereotipato. Abbiamo incontrato il regista del film, Stefano Lodovichi. Ecco cosa ci ha raccontato.
Due film nell’arco di tre anni: il tuo esordio, Aquadro, nel 2013 e ora, nel 2015, In fondo al bosco. Che per di più non sono due commedie. Ti ritieni fortunato nel panorama del cinema italiano?
Mi ritengo fortunato di essere riuscito a fare due film nei quali credo e che mi rappresentano. Ma sono convinto che la fortuna non sia sufficiente. Fare un film è un processo lungo e complicato, in particolar modo per i registi. E pensare che la fortuna sia l’elemento primario per riuscire a fare qualcosa di bello è uno degli errori più grandi che si possano fare.
Veniamo a In fondo al bosco: una coppia di genitori, un bambino scomparso, i dubbi in seno ad una famiglia come tante. Ma anche un tranquillo paesino d’alta montagna e il piccolo personaggio protagonista a cui hai dato nome Tommi, che inevitabilmente richiama alla nostra mente la tragica vicenda del piccolo Tommy Onofri. Il tuo film sembra ispirarsi a più fatti di cronaca. È così?
In fondo al bosco si ispira a tutti quei fatti di cronaca dove un bambino scompare. Ma lo studio della realtà e delle cose che ci circondano non è forse il punto di partenza di ogni storia?
Nel tuo esordio, Aquadro, come protagonisti avevi due attori non professionisti. Per In fondo al bosco, invece, hai scelto Camilla Filippi e Filippo Nigro, due dei volti più noti del piccolo e grande schermo italiani. Come li hai scelti?
Durante il casting i volti dei tuoi personaggi cambiano. Ogni attore che incontri ti fa pensare come potrebbe essere il personaggio con il proprio volto, la propria voce e movenze. Ed è un momento incredibile perché è in quel preciso istante che ti rendi conto di quanto sia vivo e reale quello che prima avevi scritto e basta. Che era in teoria soltanto su carta.
Creare il casting insieme a Fabiola Banzi è stato un lavoro lungo e stimolante e se, per il ruolo di Manuel, Filippo Nigro è stata la mia prima scelta fin da subito, è anche vero che quello di Linda ha trovato forma con più difficoltà e, dopo tantissimi incontri, provini e scelte compiute, è arrivata un’attrice che non avevo ancora visto e che si è presentata subito con il volto di Linda. Era Camilla Filippi.
Come è stato lavorare con loro?
Camilla ha un talento enorme, una forte personalità e una volta che lavora su un personaggio lo mette a nudo e ne studia ogni aspetto con una dedizione maniacale. Filippo è un attore con una delicatezza e sensibilità straripanti, che a volte sembrano contrastare con la sua forte presenza scenica. Ma è grazie a quel contrasto che Manuel è diventato il personaggio ruvido e imperfetto che avevamo scritto (con Isabella Aguilar e Davide Orsini) e che stavo cercando.
Insieme abbiamo lavorato molto sulla definizione dei personaggi, cercando di studiarli e approfondirli al meglio, rendendoli sempre più veri e unici. Quello che possono darti attori professionisti come loro è la propria “voce”, la propria esperienza, che poi prende forme differenti in base a quanto sei disposto ad ascoltare.
In fondo al bosco è un dramma familiare in chiave noir. È una scelta coraggiosa. Perché questo genere? Che è senza dubbio tra i più difficili… Credi che il cinema italiano (e penso a film come Anime nere di Munzi o Suburra di Sollima) debba ripartire o stia ripartendo dal cinema di genere?
Aquadro e In fondo al bosco sono due film lontani anni luce l’uno dall’altro ma hanno in comune una cosa: entrambi non sono strettamente di un genere solo. Aquadro è un film generazionale, romantico, che parla di sesso, di porno online, di educazione, di genitori e figli. Così come In fondo al bosco è un “thriller dei sentimenti”, un dramma familiare con sfumature e derive oscure ambientato sotto la neve delle Alpi, e che nasce da una leggenda locale.
Anime nere e Suburra sono due film di genere legati alla mafia. E rappresentano alcuni degli esempi positivi di una nuova corrente nostrana di cinema pop d’autore. Un cinema di qualità dove una bella storia, intrigante ed emozionante, cerca il linguaggio migliore per raggiungere un pubblico ampio. In questo sì, anche In fondo al bosco tenta l’impresa di essere “pop con coscienza” nella volontà di parlare al grande pubblico, senza nascondersi dietro a tentativi estremi di fare a tutti i costi un’autorialità per poche persone.
In fondo al bosco, distribuito nei cinema italiani dal 19 novembre da Notorius Pictures, è stato prodotto da Sky Cinema e One More Pictures. È la prima volta di una produzione originale di Sky Italia per il grande schermo. Cosa è significato per te girare un film con questa produzione alle spalle?
Sky è sinonimo di qualità a livello globale. Confrontarsi con loro significa pensare in grande con la libertà, e allo stesso tempo la paura per questa libertà, di confrontarti con tutto il cinema e non soltanto con quello italiano. Questo perché gli spettatori di Sky sono spettatori abituati a saltare da un grandissimo film a un altro, perché scelgono cosa guardare. Confrontarsi con Sky significa quindi confrontarsi con questa consapevolezza, con questa sfida meravigliosa.
Cosa significa e quanto è difficile fare cinema oggi in Italia? Quanto conta il talento e quanto i soldi?
Senza soldi non puoi fare film. Ma senza belle storie non puoi trovare i soldi per farli. Detto in due parole, il talento è quell’ingrediente fondamentale senza il quale i film sono brutti. E questo vale non soltanto per il regista ma per gli sceneggiatori, gli attori e tutti i ruoli artistici che servono a realizzare un film.
Il tuo film è da poco uscito in sala, ma non è mai troppo presto per guardare al futuro: hai già in mente il tuo prossimo film?
Vorrei fare un film su un gatto e un cane che vanno sulla luna. E ci arrivano sani e salvi. Un documentario. Oltre a questo ho molti altri progetti ma ne parlerò quando saranno più concreti.