di –Davide Bizjak–
Coi modi di un novello Platone, per discutere dell’umanesimo del management. Davide Bizjak ci introduce al ‘Simposio manageriale’ scritto da Francesco Donato Perillo.
Si discute amabilmente per un’intera notte (tra fiumi di vino) con Socrate e colleghi assai speciali. Fino all’alba. Accade cosi, immergendosi nella lettura, pagina dopo pagina, del Simposio manageriale scritto da Francesco Donato Perillo (per la collana punto org diretta da Luigi Maria Sicca, Napoli, Editoriale scientifica, 2016 – € 12,00), con la Prefazione di Aldo Masullo, la Postfazione di Pier Luigi Celli e i disegni di Luca Carnevale.
Grazie alla capacità di “perder tempo” e al valore attribuito al piacere del convivio, Simposio manageriale brilla per originalità, non solo nei contenuti, ma anche per la raffinatezza che sempre caratterizza i progetti puntOorg. In questa occasione, il Maestro Luca Carnevale, noto ai lettori di wordsinfreedom, è autore non solo della copertina, ma anche di una narrazione parallela che introduce ciascuna sezione del simposio: prologo drammaturgico; introduzione; della consapevolezza manageriale; del comando e del controllo; dell’impresa e della motivazione; interludio; della leadership personale; della falsa e della vera leadership; del cammino della leadership; del negoziare; del comunicare; della gestione del cambiamento; della bellezza e dell’imperfezione; epilogo. Quattordici disegni densi di poesia e ironia.
Dialogo e filosofia sono i principali ingredienti del testo: non un saggio, né un romanzo. Perillo adopera gli strumenti della formazione, per riproporre la centralità dell’umanesimo del management, centrato, in questa occasione, sui temi della responsabilità e della identità, in contrapposizione dialettica rispetto al management scientifico basato su standard, omologazioni, regole e processi.
Ispirato al classico di Platone, il testo ne segue sia lo schema narrativo, sia lo stile dialogico con cui interagiscono i protagonisti che, nel cognome, riportano gli stessi nomi dei personaggi originali. Adriano Agatone evoca la figura di Olivetti, Giulietto Alcibiade quella di Andreotti. E così via. Vi partecipa anche Socrate, misterioso, quasi un fantasma fuori dal tempo.
Un ritorno ai classici, per abbeverarsi alla fonte dei saperi manageriali e ritrovare il senso dell’azione gestionale e delle stesse competenze agite dai manager nelle organizzazioni. Con lo stile agile e coinvolgente di un giallo, l’autore ambienta la riunione di un gruppo di manager e di esperti nella villa di Adriano Olivetti, all’epoca dei suoi ultimi giorni, nel Febbraio 1960.
Perché se Socrate incontrasse oggi in un convegno i nostri manager, probabilmente li inviterebbe a riflettere sui propri comportamenti organizzativi, sfidandoli proprio, come afferma Luigi Maria Sicca nella nota editoriale, sul terreno a loro congeniale: quello del business. Riprenderebbe probabilmente la filosofia gestionale di Olivetti: l’idea di una fabbrica produttrice di futuro e di sviluppo per l’uomo. “Responsabilità sociale”, la chiameremmo oggi. In realtà il pensiero olivettiano in quei mitici anni Sessanta evocati dal testo, è molto di più: la missione sociale non è intesa come un’etichetta di moda, né come strategia di business, ma è la premessa stessa dell’essere azienda, generatore di valore e non di mero profitto, per gli stakeholder tutti e non solo per l’azionista.
Socrate proporrebbe un superamento dei luoghi comuni nella formazione manageriale, rifiutando, come fa questo testo, ogni codificazione e semplificazione manualistica del sapere, per indurre invece una messa in discussione di ogni schema mentale e far leva sulle esperienze.
È il monito di Pier Luigi Celli nella postfazione al volume, l’invito a ripensare “quelle cattedrali laiche, soprattutto, generatrici di potenze consulenziali onnipresenti, che hanno risucchiato alle imprese la loro anima e a noi hanno lasciato i resti da ripulire quando le loro costruzioni hanno cominciato a sgretolarsi, senza per altro intaccare i loro privilegi e la loro supponenza” (p. 159).
Ciò è possibile operando un passaggio necessario e, purtroppo, spesso disatteso: passare da un sapere meramente cognitivo alla saggezza; da competenze basate su prescrizioni e regole alla consapevolezza, alla responsabilità e all’autosviluppo.
Il metodo di una formazione socratica, quale emerge da questa coraggiosa riscrittura del Simposio, non è solo ovviamente dialogico, ma ha modernamente anche qualcosa del coaching: la tensione al risultato e alla individuazione delle migliori soluzioni attraverso l’autodiagnosi, la narrazione delle proprie esperienze (storytelling) e la contaminazione dei saperi.