Sergei Polunin. Pensieri e parole del danzatore ribelle

– di Silvia Poletti-

 

Eccolo, visto da vicino, il danzatore più discusso del momento. Ma anche il più carismatico. In scena è fatto conclamato – il magnetismo fisico e la qualità insieme cristallina e infuocata della sua danza sono da vero fuoriclasse. Tuttavia anche fuori dal teatro l’attrattiva che esercita è suadente e sottile. Lo incontriamo in occasione della sua lunga estate italiana , che culmina il 26 agosto all’Arena di Verona con la prima assoluta di Romeo e Giulietta, nella nuova coreografia del coreografo danese Johan Kobborg ( autore tra l’altro dei movimenti coreografici del film Nureyev. The white crow dove appare anche Polunin). Un progetto da lui stesso prodotto, con un gruppo di giovani ballerini provenienti da tutta Europa e dove primeggia la grande Alina Cojocaru, che per danzare con Sergei – conosciuto fin dai tempi in cui entrambi erano star al Royal Ballet- interpreterà la settima versione del balletto del suo personale repertorio.

Sergei Polunin appare composto, riservato, quasi timido. Se gli dici che la sua danza ricorda quella di Baryshnikov abbassa gli occhi e sussurra tra sé: ‘Oh, è il mio mito’. Se il suo sguardo febbrile si ferma sull’interlocutore lo aggancia come a cercare un contatto emozionale oltre che verbale. Il tono di voce è basso profondo, le risposte meditate– a suggerire la dovuta riflessione,

In Giselle alla Scala foto Brescia Amisano

specie dopo le ben note esternazioni.

Ma poi basta nulla ( un telefonino che trilla nel silenzio) che esplode in una risata da ragazzino. Insomma di fronte a noi appare un giovane uomo di sicuro talento ancora alla ricerca di punti di riferimento nella vita e nell’arte, ma che – questo sì che è controcorrente, non teme di parlare di rispetto per le guide e necessità della disciplina: “E’ importante avere dei mentori nella vita – Puntualizza infatti- Un maestro ha sempre un ruolo chiave nella formazione: chi per la tecnica, chi per aprirti delle visioni, altri per darti l’ispirazione. Proprio per questo vanno amati e rispettati. E’ grazie a loro che costruisci il tuo cammino. Per me, da bambino, la danza significava soprattutto libertà. Non pensavo a nulla, mi lasciavo andare alla gioia e alle sensazioni del movimento che improvvisavo. L’arrivo a scuola ha rappresentato all’inizio un limite coercitivo a questa assoluta libertà. Ma le regole della tecnica sono fondamentali, perché sono come quelle mura su cui poggi ma che un domani potrai anche abbattere. E in questa fase della mia vita sento che sto tornando a danzare con lo spirito di quando ero bambino e tutto era una scoperta.”

Libertà. Ecco una delle parole chiave del suo vocabolario: “ L’aspirazione massima di un artista è essere libero di fare ciò che sente. Ma ci sono molti passi per arrivare a questa conquista. Per questo ho sentito l’esigenza di creare Polunin Ink che è una piattaforma produttiva per concedere libertà creativa a quegli artisti che hanno la mia stessa necessità. Le grandi istituzioni non sono preposte a questo. Il business prevale sulla creatività. Ma ci sono artisti che hanno bisogno di fare le cose in maniera differente. E allora è giusto offrire una chance: ‘hai un’idea? Realizzala!’ Sto imparando io stesso come fare tutto questo al meglio, progetto dopo progetto, ma è questo ciò che mi interessa fare nella vita.”

In Marguerite et Armand con Tamara Rojo al Teatro Bolshoi. foto M.Logvinov

Libertà: è questo che cercava quando ha lasciato improvvisamente il Royal Ballet, dove era stato nominato primo ballerino a diciannove anni? “Avevo avuto per molti anni un unico obiettivo e l’avevo raggiunto. Allora mi sono sentito perso: che fare dopo?” Da qui la crisi, personale e artistica. E la sfilza di appellativi che da allora lo accompagnano: “ Non do troppo peso a definizioni come ‘bad boy’. Ribelle? Può darsi. Non lo considero un concetto negativo. Per me i ribelli sono coloro che non riescono ad adeguarsi allo standard; gli outsider cercano vie diverse per esprimersi. Si parla del pericolo del lato oscuro: ma l’esistenza non è solo nera o bianca. Noi fluttuiamo sempre tra questi due poli e possiamo decidere di abbracciarne uno solo. Credo che per un artista sia comunque più interessante esplorare ogni sfumatura tra gli estremi per poter trasmettere emozioni al pubblico.”

Eppure ancora una volta emerge il bisogno di fissare delle regole: “Mi è stato assegnata la direzione dell‘Accademia di danza di Sebastopoli. Sarà un centro pronto tra due anni, ma stiamo già facendo le prime audizioni. Mi interessa molto insegnare ai più giovani, mi dà energia e felicità. Sono il futuro del balletto, dobbiamo investire sulle nuove generazioni.E dalla mia esperienza ho appreso la necessità di offrire il più vasto raggio di discipline -dal canto alla recitazione-in modo che i ragazzi escano pronti ad affrontare il mondo. Io ho studiato solo balletto, balletto e balletto. Ho imparato a esprimermi in altro modo, anche con le parole, molto più tardi.”

In un momento del documentario Dancer di Steven Cantor a lui dedicato

La sua estate italiana si è divisa tra l’evocazione di Nijinsky (in Sacré di Yuka Oishi visto in vari festival) e il Romeo immaginato da Johan Kobborg, due figure a loro modo titaniche per i cultori della danza: qui alla tecnica si deve sposare l’interpretazione. Sergei sfodera allora un’altra parola del suo personale carnet: energia. “Danzare non significa solo eseguire dei passi. E’ energia che si stabilisce tra te e il pubblico. Uno scambio continuo. E’ fondamentale controllarla, veicolarne il flusso e quale tipo di energia vuoi trasmettere. Certe volte è sufficiente una camminata ed è magia. Come nutro questa energia? Spesso la disperdiamo in cose inutili. Bisogna concentrarci sui nostri obiettivi.Tutti abbiamo una missione nella vita: se capiamo cos’è, dobbiamo dedicarci totalmente ad essa.”

Missione: ecco l’ultima e forse la più importante parola del catalogo poluniniano.

in apertura Sergei Polunin in Sacré foto di Alice Das Neves

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