San Paolo stile san Siro, luci per Diego

– di Massimiliano Morelli –

Basta viaggiare con la fantasia per trasferire quelle luci a San Siro cantate da Roberto Vecchioni allo stadio San Paolo di Napoli, che stanotte è stato illuminato a giorno per omaggiare Diego Armando Maradona, re alle pendici del Vesuvio al quale presto sarà intitolato l’impianto di Fuorigrotta. Fiumi di lacrime napoletane, che si miscelano a quelle del popolo argentino, neanche una commedia di Mario Merola riuscirebbe a far piangere tante persone. Diego Armando Maradona è morto. Il 30 ottobre aveva compiuto sessant’anni, troppo giovane per morire. Arresto cardiocircolatorio. L’11 novembre era stato dimesso dalla clinica Los Olivos di Buenos Aires ed era stato trasferito in un appartamento preso in affitto non distante dalla clinica dove è stato operato. Pareva in buone condizioni. Ma un fisico come il suo, sfiancato dalle sregolatezze di una vita che non ha comunque intaccato l’emblema del genio calcistico, non ha retto. Il mondo, non solo quello del calcio, si ferma. Lutto cittadino a Napoli, dall’altra parte della luna, in Argentina, si renderà omaggio tre giorni di fila, come accadde in Brasile quando a morire fu Ayrton Senna.

Restano impresse tante immagini nella memoria di chi lo ha visto giocare. Gol, dribbling, passaggi e invenzioni da fuoriclasse vero, come ce ne sono stati forse un altro paio, Pelè e Cruyff, e qui mi fermo. Scanso come avrebbe fatto lui con un avversario diretto la lista dei riconoscimenti e dei trofei e mi soffermo su un video scaricato da milioni di persone, immagini di fine anni Ottanta che lo immortalano prima di una sfida col Bayern Monaco. Riscaldamento pre-gara, e il sottofondo di “Life is life”, mentre lui gigioneggia col pallone a ritmo di musica.

 

Come solo lui sapeva fare. Scavalcate le storie da giornalismo spazzatura, e la gara di chi ha cercato inutilmente di metterlo alla berlina per comportamenti certo non da educanda lontano dai campi, mi piace ricordare un’immagine di fine carriera, quando poco prima di lasciare Napoli consegnò la maglia numero 10 a quello che considerava una sorta di erede, Gianfranco Zola. “E’ tua, puoi indossarla”. Tanto basta per amarlo. 

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