Roger Waters, il nuovo album: Pink Floyd sono io.

UN ANNO DOPO, RILEGGIAMO LE PAROLE DI GIANMARCO CASELLI SULL’ULTIMO ALBUM DI WATERS

Roger Waters è tornato, con un nuovo album, Is this the life we really want?, e il messaggio sottointeso sembra essere uno solo: “Pink Floyd sono io”.

-di Gianmarco Caselli-

In questo nostro contributo non faremo confronti fra Waters e gli ultimi lavori della storica band o da solista di David Gilmour. E non faremo neppure un continuo rimando a vecchi brani del mitico gruppo che fu scrivendo che un suono ricorda un brano di un vecchio album, o che un accordo ne ricorda un altro: semplicemente, con l’eccezione di poche autocitazioni, nell’ultimo lavoro appena uscito di Waters, Is this the life we really want?, risulta chiaro quanto il marchio di fabbrica dei Floyd fosse frutto quasi esclusivamente di una unica mente contorta e geniale. Waters, a 50 anni esatti dall’uscita del primo disco dei Floyd, si riappropria definitivamente, una volta per tutte, del suo enorme contributo nella storia della band sfornando, con questo album, ciò che tutti i fan desideravano.

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È un album molto, molto distante dall’epico Amused to death del 1992. Is this the life we really want? è un album più fresco, meno pesante, più facile all’ascolto, musicalmente più diretto, ma non per questo meno impegnativo. Anzi: Waters ci riporta indietro nel tempo, a sognare con il sound Floydiano e, contemporaneamente, ci trascina nel futuro con una sorta di “aggiornamento sonoro” probabilmente merito anche del fatto che l’album è stato prodotto e mixato da Nigel Godrich, produttore dei Radiohead. Le tematiche sono le solite: l’alienazione dell’uomo del nostro secolo, la contrapposizione fra orrori come le guerre, Trump, o  il dramma dei rifugiati e il nostro modo di vivere indifferente a tutto ciò, distratti e attratti da mille idiozie. Ma c’è anche l’amore come argomento, forse unica speranza in grado di salvarci.

Is This The Life We Really Want?, è un concept album, cosa a cui Waters ci ha ormai abituato, e non si deve assolutamente ascoltare senza seguire il testo.

Dopo una breve introduzione con il ticchettio di orologi, il basso, battiti cardiaci e voci che emergono lentamente, entriamo subito nel vivo dell’album con Deja-vù, un incredibile pezzo in stile watersiano, il secondo concesso in anteprima dall’autore: Waters spiega cosa avrebbe fatto se fosse stato Dio, con un una musica che difficilmente vi uscirà dalla testa e continuerete a canticchiarla più di quanto crediate dopo il primo ascolto.

Si prosegue con The last refugee, altro  lavoro veramente notevole dal punto di vista musicale, incentrato sul dramma dei rifugiati; il terzo, con tanto di video, rilasciato dall’autore in anteprima. Un brano che finisce lasciandoci un po’ in sospeso, quasi con un po’ di stupore per una musica che, per quanto intensa e spettacolare, non è ancora esplosa.

20170605_120114È la successiva Picture that (il cui testo, nel libretto del cd, è preceduto dalla faccia di Trump con la scritta “a leader with no fucking brains”) che ci porta nel nostro orrore quotidiano, alla demanzialità delle riprese e delle fotografie compulsive con i cellulari; la musica decolla e ci fa letteralmente godere: da questo punto in poi capiamo che Waters non è un vecchietto che si è messo a fare roba rilassante. È ancora molto incazzato e ha voglia di farcelo sapere. Waters ci ha catapultato in pieno sound Pink Floyd e non vediamo l’ora di proseguire nell’ascolto.

 

Broken Bones ci fa prendere respiro, ma non del tutto se ascoltiamo cosa dice il signor Waters; il mondo poteva cambiare dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma tutto è andato a rotoli: “But we chose to adhere to abundance / we chose The American Dream / And ooo, Mistrss Liberty / How we abandoned thee”.

Eccoci a Is This The Life We Really Want?, la traccia che dà il titolo all’album. Siamo all’apoteosi. Apoteosi per il testo e per la musica. Questo brano in particolare si deve assolutamente ascoltare seguendo il testo. La voce da spirito infernale di Waters ci schiaffa in faccia la nostra realtà, la nostra vita (“Fear keeps us all in line / Fear of all those foreigners / Fear of all their crimes”) e la nostra meschinità con un finale da pelle d’oca: “Every time the curtain falls / on some forgotten life / It is because we all stood / by silent and indifferent. / It’s Normal!”. Orgasmo.

20170605_121905Non finisce qui. Waters ci vuole uccidere con A Bird In A Gale. Zitti tutti: il genio sta dando lezione di musica con un pezzo micidiale, sperimentale dal punto di vista musicale e onirico per il testo. A questo punto, se avete seguito tutte le musiche insieme alla lettura dei testi, dovreste aver raggiunto la Sindrome di Stendhal.

The Most Beautiful Girl In The World è forse il brano più “normale”, una piccola pausa nel disco che ci riporta a una dimensione più terrena.

Smell The Roses è il primo singolo dell’album che è stato diffuso, e già solo per questo verrà ricordato. Un pezzo così uno se lo aspettava fra i primi tre brani, e invece no, eccolo verso la fine.

E la conclusione dell’album sorprende nuovamente: tre brani, Wait for her, Oceans apart e Part of me died, collegati fra loro non solo musicalmente ma anche dalla tematica incentrata sull’amore.

53 minuti di musiche e parole da riascoltare più e più volte. È probabilmente il lavoro migliore di Waters da solista ed uno dei migliori lavori musicali degli ultimi anni in assoluto.

Is this the album we really want? Yes, Mr Waters!

E se proprio non ci basta, Waters ha detto di avere già pronto materiale per un nuovo disco.

 

In copertina: foto dell’album di Waters, chiaramente ispirato all’arte di Emilio Isgrò

 

 

 

 

 

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