-di Manuela D’Angelo- Tra i musei che hanno deciso di rialzare la testa in questo periodo di pandemia c’è anche il piccolo Museo Gigi Guadagnucci a Massa, conservato in una villa del 1600, un tempo dimora signorile immersa in un parco ricco di fiori, piante e animali, tra il mare e le Apuane. Il museo è di nuovo aperto, dopo circa 100 giorni di chiusura e attende visitatori: solo lì, infatti, è possibile ammirare le ultime opere di epoca moderna ancora create utilizzando soltanto lo scalpello, come faceva Michelangelo Buonarroti.
Opere in bianco di Carrara, ma non solo, dell’artista massese Giuseppe Guadagnucci (1915- 2013) per tutti Gigi, scultore di nicchia, “maestro del marmo leggero” a Parigi, come lo hanno definito le critiche; amato all’estero, celebrato nella sua città natale soltanto dopo la morte, avvenuta nel 2013, all’età di 98 anni. In realtà ci sono voluti due decenni e un’intera carriera artistica per realizzare a Massa il museo permanente delle opere più prestigiose di Gigi Guadagnucci, fortemente voluto dalla famiglia e dall’amico e critico d’arte Massimo Bertozzi.
Il marmo che a volte sembra vetro, altre velluto
Il museo Gigi Guadagnucci dal 2015 raccoglie 53 opere di un intero secolo di storia, dal 1957 al 2002: i famosi fiori, simbolo di femminilità, le rose, le magnolie in marmo statuario; i bassorilievi erotici che Jean Clair definì “les litophanies d’eros”; Germination, l’opera più antica, da cui partì l’idea di scolpire una natura delicata, trasparente, marmo che a volte sembra vetro e altre velluto; l’opera Cicladi, essenza di arcaismo, una sagoma pulita, quasi primitiva, che nel 2009 fu esposta a Firenze accanto alla famosa Testa di donna di Modigliani, insieme a Picasso, Dalì, De Chirico, Soffici, Morandi, Carrà, Mitoraj e Theimer.
Opere dalla grande forza espressiva, bianchissime sugli sfondi neri dell’allestimento delle pareti, colpite da fasci di luce per evidenziare la trasparenza di quel marmo, ottenuta con uno scalpello.
La fuga antifascista, la fortuna mondiale di Giuseppe Guadagnucci
Guadagnucci lasciò la sua città all’età di 18 anni, per trasferirsi a Grenoble. Fu una fuga politica e antifascista. A Parigi frequentò artisti come Severini, Zoran Music, Yves Klein e Tunguely. “Mi chiedevano tutti da dove venissi- raccontava Guadagnucci- e quando rispondevo che arrivavo da Massa, li vedevo corrucciare la fronte perplessi. Nessuno sapeva dove fosse la mia piccola cittadina”.
Nel ‘58 espose le sue prime opere alla Galerie Colette Allendy, suscitando grande ammirazione nel pubblico e nella critica e iniziò così una fortunata presenza sulla scena artistica parigina; viaggiò in Europa e in America; le sue sculture oggi trovano collocazione in spazi e collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, oltre che in Italia e in Francia, anche in Brasile, in Giappone e negli Stati Uniti.
Tornò a Massa soltanto nel 1983, morì il 14 settembre del 2013 nell’abitazione-atelier di Bergiola, piccolo quartire del capoluogo, e due anni dopo il Comune di Massa aprì il museo Gigi Guadagnucci.
Vedo un sasso, gli vado in contro, lui mi viene contro
Incontrai una sola volta il maestro Guadagnucci, nel 2011, da giovane cronista di una televisione privata. Il suo studio sulle colline massesi era da solo un’opera d’arte, tra pennelli, stracci, pietre, bozzetti, strumenti, bicchieri di vino rosso di Candia, erbe raccolte dai campi che profumavano l’ambiente di casa, e qua e là un fiore di marmo scolpito, una Madonna con bambino, un ritratto.
“Come nasce una sua scultura maestro?” Gli chiesi, ponendogli forse la domanda più banale che si possa fare ad un artista. “Vedo un sasso che mi garba- mi rispose in dialetto stretto Gigi Guadagnucci- gli vado intorno, poi gli vado in contro e lui mi viene contro”














