– di Gianmarco Caselli –
Prorogata fino al 27 maggio The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains, la mostra allestita al MACRO di Roma e che nel 2017, al Victoria & Albert Museum di Londra, ha omaggiato i cinquanta anni di attività dei Pink Floyd.
Nel 1967 infatti la famosa band pubblicò il suo primo singolo, Arnold Layne, al tempo in cui era formata da Syd Barrett, Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright. Alla formazione originale, come tutti sanno, si unirà David Gilmour, ma se ne andrà proprio quello che era il leader: Barrett. La band andrà avanti comunque macinando successi su successi, ma poi sarà il nuovo leader ad andarsene: Waters. Tuttavia i Floyd, anche se solo in tre – Gilmour, Mason e Wright – rimarranno attivi lasciando i fan con la speranza di rivederli insieme con Waters. Poi, con la scomparsa di Wright, il sogno è definitivamente tramontato. Anche Barrett, dopo anni di oblio nella pazzia, se ne è andato per sempre dal mondo terrestre nel 2006.
Intanto Gilmour e Waters proseguono con live e carriere da solisti: recentemente Gilmour si è cimentato in una riedizione del Live a Pompei, mentre Waters ci ha regalato un nuovo bellissimo album di inediti: Is this the life we really want?
Un’esperienza quindi assolutamente da non perdere per gli amanti di una delle band più importanti della storia della musica e che ha visto la partecipazione, all’inaugurazione, anche di Waters e Mason. La mostra è stata ideata da Storm Thorgerson e sviluppata da Aubrey ‘Po’ Powell di Hipgnosis, ma c’è stata una stretta collaborazione con Mason proprio come consulente, visto che il batterista del gruppo ormai è diventato una sorta di archivio storico vivente della band.
Si entra da subito nello spirito multimediale e multisensoriale dell’allestimento quando, nelle primissime sale, entriamo in spazi le cui pareti sono investite di proiezioni psichedeliche e video. Ci sentiamo immediatamente parte di quel tempo e di quello spazio psichedelici anni ’60 di cui i Pink Floyd furono una delle prime e importanti manifestazioni.
Certo, non la band di Wish you where here o di The wall, bensì la band di Syd Barrett, il “diamante pazzo” grazie al quale è iniziata la storia dei Pink. Senza Barrett forse la band non sarebbe nata, probabilmente senza la sua genialità visionaria non si sarebbe affermata sulle scene dando un contributo fondamentale alla nascita della psichedelia. Ma forse, chissà, se Barrett avesse continuato la sua attività nei Floyd, questi non sarebbero diventati quello che poi sono diventati. E proprio a Barrett è dedicata una grande parte iniziale dell’allestimento facendo conoscere più di quel che solitamente sappiamo su questo grande personaggio che è stata “solo” la scintilla iniziale: dopo il primo disco comparirà nel secondo dei Pink come autore di un unico brano e poi rimarrà come un’ombra che graverà sul resto dei componenti della band fino alla sua scomparsa.
Quello che funziona dell’allestimento è proprio l’immersione multimediale del visitatore coinvolto non solo emotivamente ma anche a livello multisensioriale in ogni singolo album della band con video, proiezioni, musica, immagini, pupazzi, foto, oggetti e strumenti. Del resto, fin dall’inizio della loro carriera i Pink Floyd hanno fatto della multimedialità un loro carattere distintivo, una componente fondamentale e inscindibile dalle loro performances: basti pensare ai primissimi concerti durante i quali sui loro corpi venivano proiettate immagini psichedeliche, per non parlare del maiale volante di Animals o degli allestimenti di The Wall.
La mostra prosegue ripercorrendo le varie tappe dei Pink Floyd cronologicamente con contributi di tutti i tipi, compresa l’esposizione di alcuni degli strumenti utilizzati durante la realizzazione degli album o durante i concerti, e testimonianze non solo dei componenti della band ma anche di altre realtà che hanno contribuito al loro successo ad esempio con il non trascurabile impatto delle copertine dei loro dischi realizzate dallo studio Hipgnosis che ha reso visivamente immortali album come The dark side of the moon e Wish you were here.
Non si può non rimanere colpiti dalla grande sala dedicata a The wall in cui grandi pupazzi sono protagonisti e incombono sui visitatori. L’allestimento trascura un po’ The final cut, forse anche per
il fatto che è più un album solista di Waters che dei Pink Floyd, e che segna la sua ultima partecipazione come membro della stessa.
L’allestimento ci regala altre belle sale dedicate agli album che vengono alla luce dopo l’abbandono di Waters che poteva far pensare alla fine della band: A momentary lapse of reason e The division bell, senza contare i live, Delicate sound of Thunder e Pulse la cui componente grafico visiva è semplicemente incredibile e ha certamente contribuito alla loro affermazione.
Si chiude il percorso con un breve corridoio dedicato all’ultimo, parecchio criticato album targato Pink Floyd, The endless river, che ci conduce ad un’ultima stanza in cui siamo immersi nella musica e nei video di Arnold Layne e dell’esecuzione di Comfortably numb al Live 8 del 2005, l’ultima volta (visto che nel frattempo il tastierista Richard Wright è morto) che i quattro componenti della band hanno suonato insieme: l’inizio e la fine.