Pensieri, parole e immagini. Ricordando Lucio Battisti

 

– di Maurizio Melani –

20 anni senza Lucio – rileggiamo il viaggio dentro la sua musica attraverso la copertina dei suoi dischi che ci ha regalato Maurizio Melani

 

Un viaggio nella musica del grande cantautore, a diciassette anni dalla scomparsa, attraverso le copertine dei suoi principali dischi

Dal 1998 il mese di settembre si rifà il nastro rosa con il nazionalpopolare rito di celebrare Lucio Battisti alla presenza di collaboratori, parolieri, antichi fan in cerca d’autore. Caso anomalo, il suo, visto che il memorial si ripete non ogni lustro o decennio bensì ogni stagione: segno che ciò che è rimasto nella cultura musicale collettiva va ben oltre il semplice refrain. E non può essere altrimenti, visto che parliamo di uno degli artisti più rivoluzionari – non sconvolgerti, caro Lucio, se ti definisco tale – e capaci, con Fabrizio De Andrè e Rino Gaetano, di sintonizzarsi sul panorama internazionale, introdurre nuovi sound oltre la canzone d’italica sintesi e cambiare restando sempre fedele a se stesso. In questo modo sono nati classici da falò (“Acqua azzurra, acqua chiara”, “La canzone del sole”) e capolavori di musica d’autore (“I giardini di marzo”, “Il mio canto libero”); brani di rock sperimentale (“Anima latina”, “Dio mio no”) e omaggi al dance-sinth-pop (“Ancora tu”, “Una donna per amico” e i cosiddetti “album bianchi”).

culturaeculture.it

 Un primo piano del cantautore (da www.culturaeculture.it)

 

Un po’ come fatto in precedenza per il quarantacinquennale dallo scioglimento dei Beatles, questo giornale ha deciso di ripercorrere la carriera di Lucio Battisti in modo originale, attraverso le copertine dei suoi principali dischi. Molte delle quali ideate dal grande fotografo Cesare “Monti” Montalbetti: su tutte “Il mio canto libero” e “La batteria, il contrabbasso, eccetera”. Monti prestò la sua opera anche a Pino Daniele, Fabrizio De Andrè, Edoardo Bennato e a quella mitica etichetta Cramps di Gianni Sassi che negli anni ’70 produceva quanto di più alternativo e sperimentale vi fosse in Italia (in primis Area e Eugenio Finardi). Senza dimenticare che proprio Monti fu per anni il direttore artistico della gloriosa rivista post-sessantottina Re Nudo. Come poteva il “reazionario” Battisti collaborarvi? Forse perché tanto reazionario non lo era. Forse perché politicamente era davvero un “liberale” (come lo definiva Mogol) o un semplice “disimpegnato” (come egli stesso amava dirsi). Non era un Guccini, un De Andrè e nemmeno un Venditti, ma a suo modo un rivoluzionario lo fu davvero: per l’impegno ecologista, quello anti-consumista, ma soprattutto per musiche sempre all’avanguardia e così magistralmente anglosassoni. Peccato non fu mai un abile comunicatore, in un mondo e in un contesto storico, gli anni ’70, che non perdonavano i solitari, gli introversi, i non allineati.

cesaremonti.itUn autoscatto di Cesare Monti

 

La sua carriera su long playing iniziò nella primavera del 1969. Dopo una serie di singoli di successo scritti insieme a Mogol – impostogli come paroliere dalla produttrice Christine Leroux – per se stesso e per altri artisti (Equipe 84, Dik Dik, Formula 3, Ribelli), la Ricordi fece uscire il primo disco omonimo ricco di successi easy listening già editi. La copertina per il lancio commerciale non poteva prescindere da un’immagine di primo piano, nella fattispecie un originale collage di sorridenti scatti con l’immancabile foulard al collo.

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In piena atmosfera natalizia, nel dicembre del 1970, uscì uno dei suoi dischi più amati, “Emozioni”. Battisti stava diventando, per un’intera generazione, il cantore dell’amore, della romantica malinconia e dell’emotività. “Guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere/ Se poi è tanto difficile morire”, è una delle strofe più amate di sempre. La Ricordi come cover optò ancora per un primo piano ma stavolta, per immedesimarsi nelle introspettive poesie, l’artista fu ripreso di profilo e in solitaria penombra.

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Il 1971 è l’anno di “Amore e non amore”. Curiosa la storia. Il disco, sulla scia delle nuove sonorità psichedeliche e progressive, era già pronto da un anno, ma la Ricordi decise di pubblicare prima “Emozioni” ritenendolo più consono al business natalizio. Scelta certo condivisibile. Trattasi infatti del suo album più rock e sperimentale, con brani ad alto richiamo sessuale, “Se la mia pelle vuoi” e la censurata (dalla Rai dell’epoca) “Dio mio no”, alternati a brani squisitamente musicali e con infiniti titoli che strizzavano l’occhio al contesto storico-politico (l’ecologico “Seduto sotto un platano con una margherita in bocca guardando il fiume nero macchiato dalla schiuma bianca dei detersivi” o il mediorientale “Una poltrona, un bicchiere di cognac, un televisore, 35 morti ai confini di Israele e Giordania”). Il sound così anglosassone fu amplificato da collaboratori d’eccezione. Mezza PFM s’inchinò ai suoi piedi: Franz di Cioccio, Flavio Premoli, Franco Mussida. Disco sperimentale, alternativo e a suo modo impegnato presuppone cover a tono. Ecco che, su sfondo quasi impressionista, l’artista era immortalato vestito in stile freak, con fiori rossi su sbilenco cilindro. Sullo sfondo, una donna nuda ripresa di spalle (si scoprirà poi essere la futura moglie). Reazionario chi? La cover indicherebbe il contrario, con chiari omaggi (nei testi e nelle immagini) alla cultura post-sessantottina e al flower power.

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Nel 1972 Lucio Battisti abbandona la Ricordi e passa alla giovane etichetta Numero Uno (di cui è cofondatore), allo scopo di essere più autonomo sotto ogni punto di vista. Anche dell’immagine. Inizia così il lento autoisolamento a partire dalle copertine, dove non comparirà più per alcuni anni. Il primo album della “trilogia d’autore” – non più sperimentazione alla moda, ma musiche lente e poetiche su perfetto tessuto sonoro a prevalenza chitarra-pianoforte-archi – è Umanamente uomo: il sogno”, quello della splendida “I Giardini di Marzo” (“L’universo trova spazio dentro me/ Ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è”). L‘onirismo e introspezione del titolo si sposano con una cover metafisica dove figure maschili, immerse in un buio/sonno profondo, scagliano oggetti in un’abbagliante fuoco dell’anima. Nello stesso anno esce anche Il mio canto libero”, capolavoro dei non allineati, dove la libertà da ogni sovrastruttura dominante prende forma tanto nell’ironico testo di “Gente per bene e gente per male” o della title track (In un mondo che/Prigioniero è/Respiriamo liberi/Io e te”), quanto nella copertina con un esercito di mani arrese verso il cielo.

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Il 1973 è la volta di “Il nostro caro angelo”, senza dubbio il disco più impegnato di Lucio Battisti e che musicalmente anticipa il seguente “Anima latina”. Tra amore, sesso e poesia, la critica sociale non risparmia niente e nessuno: la tabula rasa di una certa sinistra (“Ma perché tu non vuoi spaziare con me/Volando intorno la tradizione”), il consumismo da pubblicità (“Mi fai tanto male con quel sorriso professionale/Sopra a un cartellone di sei metri/Od attaccata sopra a tutti i vetri”), il perbenismo di provincia (“Non voglio stare a duellar fra gelosie sporche dicerie/E bigottume delle dolci e care figlie di Maria/E la politica del curato contro quella della giunta”). Dirà poi Mogol, in un’intervista, che l’album voleva porre una critica alla chiesa cattolica e al suo trattare l’uomo sempre come un peccatore. Pungente anche la cover, con bizzarri personaggi kitsch, seni nudi da pubblicità, oggetti iper inquinanti, uomini zombie sotto la bandiera consumista (Usa, Giappone, Inghilterra, Israele, Francia, Italia).

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Dopo la canzonetta, il prog rock, la canzone d’autore, Battisti cambia ancora. Un viaggio in Sud America, nel 1974 fornisce lo spunto per dare alle stampe quello che per molti è considerato il suo acme musicale assoluto. Trattasi di “Anima latina”, un’impensabile rivoluzione sonora e semantica – per un artista da classifica – che dimentica ritornelli orecchiabili e miscela pop, psichedelia, sintetizzatori multi-effects, con fiati, percussioni e sfumature latinoamericane. Rivoluzionario nell’arte, non nella fede politica. “Gli uomini celesti” rimette tutti nuovamente in riga e si schiera contro talune facili illusioni movimentiste (“Ti faranno fumare/ Per farti sognare che/Il futuro od un messia/Presto tutto cambierà”). L’anima latina è rappresentata nella cover da una squadra di bambini festanti sotto il sole.

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Un anno di pausa, un altro lungo viaggio, questa volta negli Usa, e Battisti volta nuovamente pagina. I successivi quattro album sono all’insegna del funky-soul-pop in voga oltreoceano, con musicisti per la prima volta non italiani e con testi tornati orecchiabili, melodici, romantici. “La batteria, il contrabbasso, eccetera” (febbraio 1976) strizza l’occhio anche alla dance da saturday night fever (in Italia solo Renato Zero la sfruttò intelligentemente per costruirvi la sua carriera), con brani come “Ancora tu” e “Il veliero” che addirittura vennero proposti nelle discoteche. L’artista ci mise la faccia ritornando in copertina ripreso nel famoso scatto in corsa nell’acqua di un fiume. L’anno dopo in Io tu noi tutti”, quello di “Sì viaggiare” e “Amarsi un po’”, la cover è un nuovo primo piano in stile pop. Una donna per amico” , il disco più venduto, chiude nel 1978 la fascinazione dance e le apparizioni dal vivo, dalla televisione, dai media.

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L’anno successivo improvvisamente l’artista dichiara: “Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale. In breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali. Devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte”. E così sia.

I primi effetti si hanno all’uscita nel 1980 di “Una giornata uggiosa”, l’ultimo scritto in coppia con Mogol e per molti anche l’ultimo del “vero” Battisti. I fan hanno il primo turbamento alla vista della copertina, così grigia, così nuovamente priva dell’autore. Il secondo lo avranno all’ascolto del disco, sempre in stile pop-soul di qualità ma maggiormente ricco di quelle tastiere che anticipano la svolta elettronica. “Con il nastro rosa” sembra parlare del lungo addio col suo paroliere (“Chissà chissà chi sei? Chissà che sarai/Chissà che sarà di noi? Lo scopriremo solo vivendo” ).

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Affascinato dalla new wave e dall’elettro-pop che impazzava oltremanica, i successivi dischi sono un cataclisma nel cuore dei fan. E già” (1982) è un album di secondo piano, fatto solo con tastiere e batterie elettroniche; a tratti cupo, con testi semplici, talvolta mediocri e con evidenti carenze metriche, firmati dalla moglie Grazia Letizia Veronesi (in arte Velezia). Anche se taluni li vogliono scritti da Battisti stesso. Un Battisti certamente orgoglioso, forse rancoroso, che apre la prima facciata con“Mostra a te stesso che non sei un vegetale/E per provare che si può cambiare/Sposta il confine di ciò che è normale”. In copertina (di Gered Mankowitz) solo un primo piano dei piedi dentro inguardabili scarpe di pelle bianca.

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Gli ultimi cinque Lp sono i cosiddetti “album bianchi”, per le copertine assolutamente minimaliste con brevi schizzi su sfondo bianco. Nel 1983, grazie ad Adriano Pappalardo, il cantautore incontra il poeta ermetico Pasquale Panella, col quale creerà il secondo sodalizio artistico. Don Giovanni” (1986) è il capolavoro dell’ultimo periodo, sicuramente da riascoltare e rivalutare, e sembra riportarlo a nuova vita tanto che, dopo un intermedio L’apparenza” (1988), per i successivi La sposa occidentale” (1990) e Cosa succederà alla ragazza” (1992) passa sotto le insegne della multinazionale Cbs. Il vecchio pubblico però non capisce le basi funky, dance, techno, hip-pop, dub e persino rap. Col ritorno all’amata Numero Uno, nel 1994 Hegel” chiude la venticinquennale carriera.

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Genio, fascista, liberale, commerciale, rivoluzionario, folle, reazionario, altezzoso, maleducato, anglosassone. Molti sono stati i termini per descrivere la carriera e la persona di Lucio Battisti, prima e dopo l’abbandono delle scene. Noi crediamo che il modo migliore per ricordarlo sia solo attraverso la sua musica e i suoi dischi. Pertanto con piacere vi invitiamo a lasciare nel sottostante SPAZIO COMMENTI il titolo della vostra canzone preferita, del vostro album o, se preferite, la strofa che più ha rappresentato la vostra vita, la vostra adolescenza, i sogni nel cassetto. Quella che associate a un amore, un successo, un’estate.

Dal canto nostro vi salutiamo con questo splendido duetto in coppia con Mina (Rai Due, 1972).

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