– di Massimiliano Morelli –
Fra nostalgia e attualità, un viaggio attraverso le mitiche figurine Panini. In occasione della mostra “I migliori album della nostra vita”.
“Ce l’ho!”, “Ce l’ho!”, “Mi manca!”, alzi la mano l’italiano che in vita sua non abbia esclamato (non una sola volta, ma a più riprese) queste semplici frasi nell’adocchiare le figurine d’un compagno di classe, d’un amichetto del cortile, d’un compagno di squadra, fermo restando che frase del genere è stata sussurrata, senza vergogna alcuna, da gente adulta e uomini che hanno scavalcato di lunga gli “anta”.
La passione per le “figu” è tutta italiana, e nel tempo ha resistito al calcio delle tv, ai videogiochi, perfino al Subbuteo e al Giocagol; ed è un po’ come il calcio balilla, non passa mai di moda. Una moda che ha scavalcato il Novecento ed è sbarcata nel Duemila senza perdere colpi.

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Una tendenza dal “sapore” antico, nata nell’Italia del bianco e nero, alba degli anni Sessanta, capace di abbagliare intere generazioni di italiani e tramandata di padre in figlio. Insomma, qui si parla del cult da “Stivale” per antonomasia, un qualcosa che contraddistingue il Belpaese così come la pizza e il mandolino (vabbè, come se tutti fossimo capaci a strimpellare il mandolino), e che affascina perfino le mamme, ma qui intendo quelle d’un tempo, ormai diventate nonne, perché oggi la mamma è meno vintage che in passato e certo più attrezzata per rispondere a tono a chi continua imperterrito a dire che il football è cosa da maschi, punto e basta. Roma? Milano? Torino? Napoli? I grossi centri? Macché, la figurina è nata a Modena, dove i trascorsi della squadra locale sono più da serie cadetta che da massimo proscenio calcio nostrano, ma questo poco importa. In compenso è forse proprio la primogenitura modenese che ne ha determinato il successo. Perché – e nessuno si senta offeso – in provincia si lavora meglio e si è più produttivi, c’è più fantasia, si è meno stressati e certamente meno distratti dall’abbaglio della metropoli. Così la famiglia Panini cominciò quasi per scherzo a produrre i santini dei calciatori, e forse neanche il capostipite nella sua più fervida creatività avrà fantasticato il successo, né avrà immaginato di saper trasformare quel sogno in realtà, ovvero quello di far toccar con mano e di far conoscere a chiunque campioni e carneadi del pallone.
Un “trionfo della fantasia” che proprio Modena il 16 settembre, ha avuto il “la” con l’inaugurazione, nel Mata, di una rassega con mille e più figurine di sport e sportivi e con decine di album originali esposti con gigantografie, video, animazioni, tra percorsi di gioco e installazioni. Da Gigi Riva a Francesco Totti, passando per Baggio, Albertosi, Zoff, Buffon e chi più ne ha ne metta, senza pensare alle bandiere ma solo ai miti, compresi l’introvabile Pizzaballa e quei calciatori d’un tempo, scevri da tatuaggi e magari fotografati perfino col riportino in testa, che oggi invece va di moda la pelata per chi non ha capelli o la cresta balotelliana. La mostra, a cura del giornalista Leo Turrini, è realizzata dal “Museo della figurina” del Comune di Modena col sostegno di alcuni enti, e qui va subito raccontato che parte del materiale esposto è stato donato al museo anche dall’azienda Panini, che in poco più di mezzo secolo è diventata da bugigattolo a impero. “I migliori album della nostra vita”, questo il titolo dell’iniziativa, che fino al 27 febbraio 2017 sarà visitabile e certo ruberà l’occhio a bambini, collezionisti e semplici curiosi, perché perfino chi non riconosce un fuorigioco manco a pagarlo e sussurra che alla fin fine “il calcio è ventidue uomini in mutande che corrono dietro a una palla” è intrigato dalle “figu”. Ovvio, non solo calcio, le figurine hanno scavalcato
anche il campo per destinazione e sono state testimoni di Giochi olimpici e altre manifestazioni di livello mondiale. Per questo nel cuore della mostra emiliana campeggiano inoltre sportivi a tutto tondo come Dorando Pietri e Pietro Mennea, e con loro Bolt, Nadia Comaneci e Jesse Owens, Coppi e Bartali, insomma un’infinità di “cards” legate allo sport ma forse sarebbe meglio scrivere alla nostra quotidianità. Perché lo sport ha accompagnato le nostre vite, e le figurine hanno affiancato lo sport in questo perenne cammino verso la gloria d’un successo, o verso le lacrime d’una sconfitta. Così, fra una gigantografia di Liedholm e un’immaginetta di Carl Lewis, ecco il video d’animazione in cui le figurine prendono vita, ed ecco pure l’opportunità di interagire con Pygmachia, un allestimento in cui lo spettatore, dentro un ring con speciali guantoni da boxe, vedrà trasformare lo sforzo fisico di un pugno in una composizione astratta dinamica, colorata e personalizzata. Può bastare per sbalordire la platea? Certo, chi è ancora desideroso di carpire la storia può affacciarsi nel già citato “Museo della figurina”, tremila istantanee da ammirare e “vivisezionare”, magari per rimuginare sul tempo che, inesorabile, passa mentre il capello s’imbianca e le ossa cominciano a cigolare. Da annotare, infine, un percorso didattico-ludico dedicato a piccoli e grandi: per scoprire “che tipo di sportivo è” il visitatore, supportato da un kit, può sottoporsi a piccole prove, ispirate dalle figurine esposte. Poi, come tutte le mostre che si rispettino, c’è anche il catalogo, che prende il nome dall’evento (appunto, “I migliori album della nostra vita), e in consultazione e in vendita c’è perfino l’Enciclopedia Panini del calcio italiano, per chi non è esausto e continuerà imperterrito a dire “Ce l’ho!” e “Mi manca!” anche nel viaggio di ritorno verso casa.