di Rino Alessi
Sarà il caso, ma nel giorno in cui mi accingo a scrivere queste note sulla recente incisione di Otello, ricorrono due anniversari. Quello della nascita del protagonista della realizzazione Sony con i complessi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Jonas Kaufmann, che festeggia il suo cinquantunesimo compleanno, e quello della scomparsa di un celebre Otello del passato, Jon Vickers mancato nel natio Canada il 10 luglio del 2014.
Vickers, che certamente Kaufmann ha avuto come modello, fu cantante di grandi capacità espressive ma di non eccelse qualità timbriche. Lo stesso discorso può essere fatto per il Divo Jonas, che si merita, sulla copertina del CD da poco in vendita, un bel primo piano fotografico e il nome in locandina della stessa grandezza del concertatore e direttore Sir Antonio Pappano che Sony può presentare in una sua produzione per gentile concessione di Warner Classics cui il maestro italo-britannico è legato da un contratto di esclusiva.
Detto questo, va ricordato che Vickers è Otello nella prima delle due incisioni “romane” di Otello, – la seconda è questa, – ossia la leggendaria Living Stereo Production che la RCA mise in cantiere nell’ormai lontano 1960 affidandola alle cure dell’esperto, e ormai molto anziano, Tullio Serafin, affiancando l’allora tenore canadese emergente allo Jago un po’ “draculeggiante” di Tito Gobbi e alla Desdemona di Leonie Rysanek che già si era presentata in questo personaggio alla Scala accanto a Mario Del Monaco.
Anche Sony mette in campo una compagnia di livello e affida a Carlos Alvarez, baritono oggi fra i più apprezzati, il personaggio centrale di Jago, per destinare a una giovane artista italiana, la musicalissima Federica Lombardi, la soave Desdemona.
Otello, dunque. Interpretare il personaggio del Moro di Venezia è per ogni tenore attratto da questa lacerata figura d’eroe come scalare il Monte Everest. A Otello Verdi richiede moltissimo. E non pochi furono i dubbi sulla scelta del primo interprete che il Maestro di Busseto espresse all’editore Ricordi in una serie di lettere in cui evidenziò quanto sia importante per l’interprete di Otello saper eseguire a mezza voce un legato espressivo.
Non meno importante, rileva Verdi, dal saper declamare e cantare a gola spiegata frasi eroiche come l’”Esultate” di presentazione, cose che a Francesco Tamagno riuscivano facilmente.
Nonostante i dubbi, Tamagno ebbe la parte e l’interpretò con grande successo alla prima scaligera del 5 febbraio del 1887, accanto a Victor Maurel che fu il primo Jago e a Romilda Pantaleoni, Desdemona. Il diciannovenne Arturo Toscanini era fra i violoncelli nell’orchestra che fu preparata da Verdi in persona e diretta da Franco Faccio.
Se Manrico ne Il Trovatore è il personaggio che ogni tenore sogna di poter cantare, Otello è il ruolo che ogni tenore sogna di poter interpretare. Manrico è giovane, bello, amato, Otello, il Moro di Venezia, la cui tragedia Giuseppe Verdi e Arrigo Boito rappresentano nell’opera desunta da Shakespeare, è un marginale, un paria.
Il suo ingresso in palcoscenico – nella prima scena del primo dei quattro atti – è sottolineato da squilli di fanfare e pieno d’orchestra e ci presenta il personaggio al culmine della sua carriera: “Esultate! L’orgoglio musulmano sepolto è in mar, nostra e del ciel è gloria! Dopo l’armi lo vinse l’uragano.”
Un ingresso, sotto il profilo squisitamente vocale, scomodo. “Esultate”, banco di prova delle capacità di ogni tenore drammatico che si rispetti, non è un’aria vera e propria come quelle che canta Manrico, e non si può nemmeno definire un brano “cantabile”.
E’ breve, poche battute di declamato a voce spiegata, e il Moro esce dalla comune per raggiungere l’amata Desdemona. Otello è appena giunto a Cipro per rappresentarvi la Repubblica di Venezia dopo aver vinto l’ennesima battaglia; è accompagnato da Desdemona, la gentildonna veneziana che, pur di sposarlo, ha sfidato le ire del padre, il senatore Brabanzio.
Otello, in buona sostanza, è sì il personaggio più blandito e corteggiato dal governo veneziano, ma è pur sempre un diverso, un paria per l’appunto, un “outsider” fra gli uomini che rappresentano il potere della Repubblica veneziana nei territori conquistati come l’isola di Cipro.
Diverso è il colore della sua pelle, nera, e diverso è il suo modo franco e diretto di affrontare la vita. Diverso è anche il suo modo di esprimersi.
Nell’opera di Verdi su testo di Arrigo Boito, il protagonista Otello – e in questo musicista e librettista sono all’unisono – non ha diritto nemmeno a un’aria o a un pezzo “cantabile”.
Nei suoi grandi momenti a solo, “Ora e per sempre addio”, “Dio! Mi potevi scagliar”, “Niun mi tema”, l’orchestra trova più facilmente la via del canto che non la voce, tanto da ravvisare in questo modo di esprimersi di Verdi maturo, un’influenza wagneriana.
Le occasioni in cui Otello più può dare sfogo al canto sono – alla fine – quelli in cui unisce la propria voce a quella di Jago, baritono, o di Desdemona, soprano. Con l’avvertenza che nella prima scena tra Jago e Otello – geniale sottolineatura verdiana a Shakespeare – il primo impedisce al secondo di cantare, e in questo si manifesta concretamente l’influenza velenosa che l’umile alfiere esercita sul generale dell’Armata veneziana sull’isola di Cipro.
La voce di Otello è per lo più soffocata dalla collera o dall’emozione. Il personaggio, a differenza di Desdemona la cui linea musicale è purissima e diretta filiazione di quella espressa dalla voce di soprano nel Requiem, non riesce a entrare nel canto, nell’azione, nei pensieri di colei che gli ha sacrificato tutto.
Otello è dominato, non appena Jago riesce a instillare nel suo cuore il veleno della gelosia da un sentimento, terribile, d’impotenza. Fino all’esplosione finale, lo strangolamento di Desdemona, che non risolve nulla. Se non provocare morte e infelicità.
Va detto che, dell’originale shakespeariano, l’Otello di Verdi e Boito è una riproposizione molto personale.
Scompare il primo atto, quello che si svolge a Venezia, e con esso la figura paterna di Brabanzio e la maledizione di Desdemona che risulta, in Verdi, figura più statica dell’originale.
Sono ridimensionati gli intrighi galanti tra Desdemona, Roderigo, che di lei è innamorato, e Cassio, luogotenente di Otello a Cipro. Alla ribalta resta il triangolo dei protagonisti, sorta di variante del “triangolo mistico” che Boito aveva preso a prestito da Goethe per il suo Mefistofele: l’Uomo (Faust/Otello), diviso tra l’Angelo (Margherita/Desdemona) e il Demonio (Mefistofele/Jago).
Detto questo, l’esecuzione incisa da Sony a Roma nelle torride giornate comprese fra il 24 giugno e il 6 luglio del 2019 può ben essere considerata una delle migliori registrazioni di Otello sul mercato.
Pappano, uomo di teatro musicale dalla finissima sensibilità, sa entrare nei meandri del complesso ordito strumentale verdiano e restituirlo in modo encomiabile. Orchestra e voci si sposano alla perfezione, la prima non sopraffà le seconde, le seconde interagiscono fra loro con grande acume e s’inseriscono quasi strumentalmente nel tessuto orchestrale.
Jago, il personaggio che Verdi più cura e definisce, tesse le sue trame con sottigliezza, senza debordare in espressioni di enfasi o in bordate di suono, come nella tradizione interpretativa all’italiana. Non “draculeggia” alla Gobbi, insomma, ma s’insinua con finta gentilezza nei dialoghi con i suoi interlocutori privilegiati, Otello, Roderigo e Cassio. Questo permette a Otello di restare saldamente in primo piano, dalla prima all’ultima scena dell’opera, com’è giusto che sia.
Come altri grandi interpreti di Otello, pensiamo soprattutto a Carlo Cossutta al centro di un’altra celebre incisione dell’opera per l’etichetta Decca sotto la direzione di Sir Georg Solti, Kaufmann è arrivato a Otello dopo aver più volte interpretato il personaggio di Cassio, tenore lirico.
Un modo per meglio avvicinare il Moro e affrontarlo con cognizione di causa. Rispetto al tenore bavarese l’Otello di Cossutta, il cui fraseggio molto accurato non indulge mai allo “Sprechgesang”, può contare sul superiore dominio del testo italiano e su un legato di scuola anch’essa italiana.
Kaufmann, come in precedenza Vickers, dalla cui interpretazione però questa recentissima del tenore bavarese si discosta, lavora di bulino, trova accenti e notazioni che altri trascurano, ma risulta, nel complesso, meno naturale nel canto che è, fondamentalmente, di scuola tedesca e trova il suo “ubi consistam” soprattutto nella liederistica e nei personaggi del repertorio wagneriano.
Questo non gli impedisce, come non impedì a Vickers, di essere – pur privato dell’interpretazione scenica che è certamente una delle frecce migliore al suo arco – un grande Otello, eroico al punto giusto quando eroico deve essere, lacerato e ripiegato su se stesso quando Otello implode, vittima della gelosia.
Come dire, abbiamo avuto Vinay, l’Otello di Toscanini, artista in qualche modo versatile e geniale, abbiamo avuto Del Monaco, che fu certamente, specie nelle sue stagioni migliori, un Otello carismatico e dalle indiscutibili capacità attoriali testimoniato da due incisioni Decca in coppia con Renata Tebaldi e da un’antica versione televisiva della RAI in cui Rosanna Carteri e Renato Capecchi gli sono degni partner, abbiamo avuto Vickers, Otello anche nella celebrata incisione EMI con Karajan e i Berliner Philharmoniker in cui la voce, però, non risponde più come nella precedente RCA. E poi abbiamo avuto Domingo, altro rimarchevole Otello che il disco più volte ha restituito senza contare la trasposizione cinematografica firmata da Franco Zeffirelli, abbiamo avuto Atlantov, Otello nella versione veronese in DVD in cui Jago è un fiammeggiante Piero Cappuccilli, e il già citato Cossutta.
In questo filone – variegato e complesso – bene s’inserisce oggi l’ultimo Divo, Jonas Kaufmann. Che, va detto, è sì un protagonista assoluto, ma, nella bella incisione romana fa squadra non solo con gli eccellenti Orchestra e Coro ceciliani, quest’ultimo preparato da Ciro Visco, che la bacchetta di Pappano porta a esprimersi al meglio, ma con l’intera compagnia che allinea accanto ai tre protagonisti delle buone parti di fianco: dal Cassio di Liparit Avetisyan, all’Emilia di Virginie Verrez, per non dire del Lodovico di Riccardo Fassi, del Montano di Fabrizio Beggi, con una menzione speciale per il Roderigo di Carlo Bosi, specialista di questi difficili personaggi di tenore di carattere. L’incisione è impreziosita da uno scritto di Thomas Voigt intitolato “La lunga strada verso Otello” che intercala il percorso verdiano di creazione, a quello di Jonas Kaufmann, d’interpretazione.
Foto di copertina: dal sito della Royal Opera House. Foto di Catherine Ashmore