-di Gregorio Moppi-
Una vita per Bach. Così il pianista Ramin Bahrami decide di raccontarlo anche ai bambini. Perché a lui, ama ripetere, Bach ha salvato la vita.
Ramin Bahrami indossa la parrucca con i boccoli e si tramuta in Bach. Del resto, ormai, fra il pianista d’origine persiana e l’iniziatore della musica moderna vi è quasi identificazione totale. Di fatto Bahrami è il portavoce in carica del grande Johann Sebastian; nel suo repertorio, in sala da concerto e in disco, non ci sono che le sue note. E adesso, dalla tastiera, passa a rievocarlo con le parole, dato che fingendo la voce di Bach, Bahrami parla a noi del suo compositore d’elezione e, attraverso di lui, si permette anche di dire la sua sui nostri tempi. Lo fa nel volumetto “Nonno Bach. La musica spiegata ai bambini” (Bompiani). Il pianista vi veste i panni di un Bach vegliardo e bonario che racconta di sé, con parole facili, a un nipotino d’oggi. Bach è nonno perché i nonni sono più alla mano dei papà, meno impegnati e distratti, più propensi alla riflessione, a rileggere il passato per renderlo spendibile per il futuro. A un ragazzino disincantato e sospettoso ma ghiotto di conoscenza Bach parla della sua vita, quella di un compositore che fu pienamente dentro il suo tempo, ben informato su tutto quanto gli roteava attorno malgrado il filone principale della storia della musica d’allora non avesse dimora dalle sue parti (se non in lui stesso, ma ciò risulterà chiaro soltanto con il senno di poi). E racconta cos’è la musica, quanto sia bella e quale sacrificio richieda la prossimità con tale bellezza. Ma “l’esercizio fa il maestro”, dice.
Bach infante sperimenta la solitudine, però lo star da solo gli permette di immergersi nella musica altrui per assimilarla e rielaborarla. Bach giovanotto è fumino, se la prende con chi non si impegna sul serio e con i critici troppo presuntuosi. Bach maturo abita una casa caotica dova tutta la famiglia (e i figli sono davvero una tribù) suona o canta sempre, mentre lui deve scrivere, scrivere, scrivere per poter dar da mangiare ai suoi qualcosa di più che cavoli e crauti. Comporre, per lui, significa professare rigore, anche se la musica, che pur di tanto rigore necessita per esistere, non aspetta altro che d’essere rivoluzionata. E Bach, benché non abbia mai sbandierato proclami, è stato un rivoluzionario vero. Già basterebbe il fatto che nelle sue Suite è riuscito a mettere insieme l’Europa, quando ancora ciascun popolo era gelosissimo del proprio orticello: “L’allemanda era una danza tedesca, la giga era inglese, la corrente era italiana, la sarabanda veniva dal mondo spagnolo e arabo. Ognuno le interpretava a suo modo, ma erano le stesse musiche, le stesse danze, e le amavano tutti, tedeschi, francesi, italiani. Quando le danzavano e quando le ascoltavano. Era come se esistesse un Parlamento musicale europeo in nome della bellezza”.
Bach insegna al fanciullino che ha dinanzi come la musica sappia divenire metafora di una società ben funzionante. Unità d’intenti nella molteplicità di vedute. “La grande musica è un colloquio, qualcosa che unisce le persone, le fa parlare tra loro. Proprio come le diverse melodie che s’intrecciano dentro una composizione. E il contrappunto è la maniera più civile di far andare d’accordo le idee musicali più differenti, che potrebbero benissimo restare da sole e sarebbero belle comunque. E’ davvero come nella società, almeno quella ideale, quella che tutti sogniamo: teste diverse, filosofie diverse, sentimenti diversi che si combinano e si parlano e comunicano e si rispondono senza perdere la loro indipendenza”. Nella musica c’è spazio per tutti, come nel mondo. Bahrami lo sa bene, è stato rifugiato politico, scappato dal regime degli ayatollah che gli ha ammazzato il padre, accolto adolescente in Italia e poi, a braccia ancor più aperte, dalla Germania che gli ha pure dato la cittadinanza. Quindi non ha senso, sembra dire Bach-Bahrami, ergere muri. “Io nella mia musica ho sempre superato tutti i confini, ho fatto l’Europa prima ancora che i politici se la sognassero”. Forse anche oggi avremmo bisogno di un Bach (a Bruxelles).