Massimo Zamboni: dalla Berlino 1981 nascono i CCCP

– di Gianmarco Caselli –

Massimo Zamboni nel suo ultimo romanzo racconta i CCCP.

Un viaggio nella Berlino divisa dal Muro nel 1981 e l’incontro che ti cambia la vita. Così nascono i CCCP, la band punk più importante d’Italia. Un viaggio che Massimo Zamboni racconta nel romanzo “Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino ovest“, edito da Einaudi, di cui ha parlato e interpretato alcuni passi come ospite del Lucca Underground Festival 2018.

Massimo Zamboni è un nome che non ha bisogno di presentazioni, una delle personalità più importanti del panorama alternativo italiano, che con le band CCCP e CSI ha cambiato radicalmente per sempre la musica italiana e non solo.

Dopo l’esperienza con le due band il musicista emiliano ha dovuto ritrovare se stesso, fare i conti con un passato ingombrante e soprattutto con una voce ingombrante, quella del cantante dei CCCP e dei CSI, e trovare la propria voce. In tutti i sensi: intraprendendo una carriera da solista con vecchie e nuove collaborazioni, con colonne sonore, ma anche come scrittore (qui la recensione di “L’eco di uno sparo” in cui racconta la storia di suo nonno fascista ucciso dai GAP).

In questo nuovo romanzo il protagonista è il viaggio nella città tedesca che nel 1981 gli cambiò la vita: un viaggio segnato dall’incontro fatale con Giovanni Lindo Ferretti con cui darà vita ai CCCP. Un romanzo di formazione al contrario: il giovane Zamboni a Berlino, poco più che ventenne, anziché muoversi verso i quartieri benestanti, si dirige nelle zone più degradate, più alternative, in cerca di qualcosa di non definito con uno stile letterario personale che alterna pagine più narrative ad altre di pura poesia.

In occasione della sua partecipazione al Lucca Underground Festival, Zamboni ha rilasciato un’intervista per noi.

In questo romanzo ribadisci spesso che eri andato a Berlino non sapendo cosa aspettarti. Ma ti saresti mai immaginato quello che poi hai effettivamente trovato?

No. Mai. Sono andato a Berlino con la speranza di trovare un cambiamento nella mia vita, trovare qualcosa che poi si sarebbe incarnato in Giovanni Lindo Ferretti, nei CCCP e nei CSI. Non avrei mai pensato a una cosa del genere.

Per quale motivo cercavi appositamente le zone più degradate, le case occupate e non situazioni che potessero garantirti qualcosa di più sicuro?

Perché avevo bisogno di sperimentare il degrado, l’abbandono, l’insicurezza. Venivo da una famiglia agiata e da una società evoluta. Avevo bisogno di polvere, sudore e umanità.

Durante questo appuntamento al Lucca Underground Festival sono emersi particolari che per alcuni sono meno noti. Era risaputo che il successo aveva travolto i rapporti umani fra i componenti dei CSI, ma non tutti sapevano che le tensioni fossero all’ordine del giorno anche con i CCCP. Cosa accadeva in sala prove?

Quello che accade in sala prove è sempre una guerra. Ci sono esempi della storia della musica molto noti. C’è tanta passione, devi buttare la tua vita nel piatto, e non è possibile farlo con mezze misure. Ognuno di noi nei CCCP ha lottato per la propria sopravvivenza in un meccanismo molto simile a quello chiuso delle famiglie ma che dall’altra parte ti metteva allo scoperto. Le tensioni quindi erano infinite, abbiamo tentato di ostacolarci a vicenda continuamente. Studiavamo i modi per ucciderci a vicenda (ride).

Ci puoi raccontare cosa è successo i primi giorni che tu e Giovanni vi siete conosciuti a Berlino?

C’è stata la scoperta di Berlino insieme. Ognuno di noi fino a quel momento l’aveva vista singolarmente. Mettere insieme le due esperienze è stato deflagrante. Siamo andati insieme a Berlino est per la prima volta e da quel momento abbiamo ragionato insieme per 20 anni. Ci siamo impossessati di quella Berlino: era difficile andare a ballare, cambiare i propri abiti in modo così forte da soli. Ci siamo spinti a vicenda.

La carriera solista e le nuove collaborazioni. Dopo lo schok da separazione, cioè l’autoesclusione dai CSI, quando è stato il momento in cui hai sentito di avere ritrovato veramente la tua posizione, il tuo ruolo?

Pienamente lo sento da un mese. Sono passati 18 anni dalla fine di quell’esperienza. Ho fatto tantissime cose ma è sempre stata una ricerca e una lotta affannosa. La calma che mi è arrivata ora mi dà molta determinazione e idee. Sono diventato maggiorenne dopo 18 anni di tumulto. La consapevolezza forse è scaturita da due o tre concerti come cantante: questo mi ha dato molta solidità. Mi sento di poterlo fare. È una sensazione molto forte.

Tu sei parecchio introverso, eppure hai dato vita al gruppo punk, ribadisco punk, più famoso della penisola. Ti sei sempre trovato a tuo agio sul palco?

Il vero disagio era al nostro interno. Di conseguenza, quando eravamo sul palco, non temevamo nessuno. Abbiamo dato e preso botte, con il pubblico. Ci hanno tirato di tutto, anche un estintore. Noi dovevamo sopravvivere all’interno di un meccanismo dolce e difficile allo stesso tempo.

Ma veramente un paio di volte mentre andavate in tour avete fatto guidare la macchina a Fatur?

Due volte. Due grandi errori di percorso. Una volta che guidava Fatur, noi ci siamo addormentati. Quando abbiamo aperto gli occhi ci siamo accorti che eravamo finiti sui Pirenei a un’altitudine elevata. Un’altra volta abbiamo rischiato di precipitare giù dal viadotto di un’autostrada.

E adesso esce un nuovo disco, sempre legato a Berlino e a questo libro: “Sonata a Kreuzberg”.

È la proposizione delle canzoni che accompagnano la riduzione teatrale del libro. Solo alcuni brani sono inediti, per il resto sono musiche della Berlino anni ’80: The Doors, Lou Reed, Ideal e altri gruppi tedeschi. C’è una grande caratterizzazione strumentale e io suono il basso anziché la chitarra, Angela Baraldi canta e Cristiano Roversi è alle tastiere. è un album in bianco e nero. Molto scarno.

 

 

 

 

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