Martina Franca scopre Ecuba

-di Donatella Righini-

Inaugura con Ecuba, di Nicola Manfroce, il 44esimo Festival della Valle d’Itria

Lidia Fridman come Ecuba, @Clarissa Lapoll

Una delle meraviglie del teatro, sia esso di prosa o in musica, è il fatto che può rendere verosimile qualsiasi soggetto, storia, plot. È accaduto, così, che nella storia del melodramma sia stato possibile modificare la storia di Ecuba, da come la narra Euripide nella ben nota tragedia, a una versione fatta in Francia da Jean Baptiste Gabriel Marie de Milcent, che nel 1800 scrisse il libretto della tragédie lyrique musicata da Georges Granges de Fontenelle, dal titolo Hecube. In questa versione non è l’ombra di Achille che chiede che Polissena gli sia sacrificata sulla tomba, ma è lui stesso, vivo e vegeto, che la chiede in sposa a Priamo per sanare l’inimicizia fra Greci e Troiani. Polissena lo ama, sebbene l’eroe greco le abbia appena ucciso il fratello, ma la madre Ecuba non è affatto favorevole e accetta solo perché vuole che la figlia uccida Achille durante la cerimonia nuziale e vendichi così Ettore. Dopo un tentativo di Polissena di evitare le nozze (per salvare l’amato) intervengono Ecuba e Priamo e la cerimonia viene preparata. Ma al momento dello scambio della promessa matrimoniale, irrompe Antiloco ad annunciare che i nemici greci sono entrati dentro le mura di Troia e a quel punto Ecuba ordina ai troiani armati di uccidere Achille. Polissena si dispera, Priamo accusa Ecuba, i nemici greci irrompono e uccidono Priamo e rapiscono Polissena. Ecuba, rimasta sola e infelice, piange e lancia una maledizione ad Achille e ai greci.

Mert Sungu (Priamo) Giovanni Fumarola (Ettore) @Clarissa Lapollaph

Questa versione alquanto inverosimile fu tradotta in italiano da Giovanni Schmidt, su commissione dell’impresario napoletano Barbaja, che nel 1812 (dato che era stato nominato dal 1809 direttore dei teatri reali di Napoli da Gioachino Murat) voleva allestire un’opera che conciliasse le esigenze francesi e italiane del melodramma. Fu così che Schmidt e il giovane compositore Nicola Manfroce si trovarono a riadattare un libretto la cui versificazione doveva essere modificata per ottenere recitativi (che Manfroce scrive accompagnati e non secchi, conciliando così le esigenze del recitativo all’italiana con la fonte francese) e arie e, soprattutto, per eliminare i divertissement tanto cari ai francesi ma non agli italiani. Il risultato della prima, del 13 dicembre 1812 al San Carlo di Napoli, fu un successo clamoroso, tanto che furono fatte ben quattordici repliche e, al momento della morte precoce di Manfroce nel luglio 1813, Rossini disse che era mancato un suo potenziale concorrente. Il cartellone del Festival di MartinaFranca ha scelto questo titolo per la consueta opera di riscoperta che ogni edizione viene proposta, in un allestimento che ha visto nella parte della protagonista una apprezzatissima Lidia Fridman, giovanissimo soprano russo perfezionatosi all’Accademia di Belcanto “Rodolfo Celletti”, la quale ha sostituito Carmela Remigio, costretta a rimandare alla recita del 4 agosto il suo debutto nel ruolo, a causa di un’indisposizione presentatasi nelle ultime ore.

Ecuba @Clarissa Lapollaph

Il cast ha visto esibirsi anche Norman Reinhardt (Achille), Mert Süngü (Priamo), Roberta Mantegna (Polissena), Martina Gresia (Teona), Lorenzo Izzo (Antiloco), tutti adeguati nei loro ruoli, in particolare la Mantegna e Sungu, voci molto interessanti. Nile Senatore (un Duce Greco), allievo dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, e Giovanni Fumarola, nella parte muta di Ettore, hanno completato il cast. Bravo anche il Coro del Teatro Municipale di Piacenza (preparato dal suo direttore da Corrado Casati), che, insieme al cast e all’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, è stato guidato dalla bacchetta di Sesto Quatrini, in sostituzione del direttore musicale del Festival Fabio Luisi, che ha rinunciato per problemi di salute. Quatrini, già presente a diverse edizioni del Festival come direttore, ha dato una degnissima prova, mostrando un piglio sicuro e restituendo la tavolozza sonora e la partitura con attenta cura, ottenendo anche un impeccabile equilibrio sonoro fra le voci e l’orchestra. Bellissima e raffinata come sempre (nonostante la sfida del colore viola dei costumi dei troiani…) la regia (scene e costumi compresi) di Pier Luigi Pizzi, affiancato per le luci da Massimo Gasparon. Pizzi aveva spiegato così la sua scelta: «secondo me le ragioni drammatiche di Ecuba stanno tutte nel trauma vissuto dentro le mura di Troia quando Ettore muore: come se finisse il mondo, principalmente per Ecuba, ma anche per i cittadini. Per questo ho voluto la presenza del corpo per tutta la durata dell’opera. Ettore morto in scena dà un senso a tutta la storia: la sua presenza ricorda a tutti cosa è successo, chi sono tutti loro e chi è Achille nel momento in cui compare in scena per chiedere la mano di Polissena, con il corpo dell’eroe ancora caldo. La stessa Polissena è combattuta tra il ricordo del fratello morto per difendere la patria e l’amore per Achille che lo ha ucciso. Così tutto si sposta su un altro punto nevralgico – conclude il regista –: il vero nocciolo della questione è l’elaborazione di un lutto alla presenza del suo ricordo perenne, una specie di memento».

Lidia Fridman (Ecuba) Giovanni Fumarola (Ettore) @Clarissa Lapollaph

Foto di copertina: aphLidia Fridman come Ecuba, @Clarissa Lapoll

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