“Sono venuta qui perché voglio che lei mi dica perché è morto mio padre.”
“Soffriva di qualche malattia?”
“Questo non m’interessa. So soltanto che è morto. E adesso non ho più un padre. E voglio sapere da lei perché è morto.”
“Mi racconti com’è andata… in quali circostanze…”
“No! Lei non capisce. A me non interessano i motivi medici. Lei mi deve spiegare perché è morto!”
“Capisco… beh… in questo caso devo deluderla. E le dirò che non lo so!”
“Dunque non sa perché mio padre è morto? Allora che ci vengo a fare da lei… mi dica… che ci vengo a fare?”
“Capisco.”
La giovane signora restò in silenzio per tutto il resto della seduta.
Poi venne ancora una seconda volta reiterando la medesima richiesta. Testardamente… ostinatamente… caparbiamente.
Le mie esortazioni a raccontare le circostanze del decesso del padre, a parlarmi di sé… della sua vita… caddero nel vuoto.
All’inizio della terza seduta mi disse che non mi avrebbe pagato perché credeva che io avessi potuto darle una risposta…
“Ma visto che lei si ostina a non darmi la risposta, non verrò più e non le pagherò nemmeno le sedute effettuate.”
“Come vuole.”
La signora uscì indispettita e non l’ho mai più rivista.
Sembra la domanda di una bambina piccola…
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sì. In effetti è così. e se comprendiamo che la signora è mentalmente una bambina piccola, possiamo dedurre che non sta chiedendo una psicoterapia, ma che lo psicologo faccia magicamente ricomparire il genitore scomparso.
se la domanda fosse stata formulata in altro modo, allora forse una terapia del dolore, o un’elaborazione del lutto della perdita, avrebbe potuto trovare accoglimento.
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La giovane signora sembra molto arrabbiata col padre che non è riuscito a dimostrare il proprio amore verso lei permettendosi di morire senza riuscirci
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sì… purché cogliamo, in questa tua considerazione, tutta la tragica debolezza del rapporto tra questo padre e questa figlia!
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Perchè parla di debolezza?
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una figlia adulta, incapace di soffrire e di elaborare il lutto della perdita, non ha fruito di uno spazio formativo forte nella mente del genitore.
un segno evidente di fragilità del genitore e del legame che questi ha costruito con la figlia.
la figlia non sa separarsi dal genitore perché il genitore non ha saputo separarsi dalla figlia, quando questa separazione rappresentava una condizione evolutiva fisiologica!
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Ora ho capito, grazie!
…”una terapia per l’elaborazione del lutto della perdita”…interessante…può essere molto difficile esprimere un dolore a parole, perchè franerebbero gli argini che lo intrappolano.
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sì. è così!
ma è importante poter dire la propria sofferenza. perché è così che il dolore si scioglie e si integra con tutti gli altri contenuti della mente. senza più procurare terrore.
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Che sia importante, ora, lo capisco. Diverso quando si tratta di farlo, purtroppo.
È terribile Mario…terribile
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sì Valeria, è terribile restare bloccati di fronte a un dolore non accettato perché non pensabile, non elaborabile!
lo spazio della psicoterapia è destinato a raccogliere storie di vita interiore. a volte storie impossibili.
la psicoterapia si occupa di sofferenza. soprattutto di quella non elaborata e non gestita. e se ne può occupare solo a patto che il paziente sia disponibile a trasformarla in dolore tollerabile, evoluto, adulto.
questa giovane signora non accetta la morte del genitore e va dal terapeuta per chiedergli di compiere una magia: riportare indietro suo padre. per tornare a quando era piccina e magari sperava che quella condizione durasse per sempre.
invece il secondo principio della termodinamica ci informa (si fa per dire) che la freccia del tempo corre inesorabilmente in avanti.
e chi non è pronto per il divenire, che significa costruzione ma anche cambiamento e perdita, è destinato a soccombere.
questa paziente non era pronta per il cambiamento e lo rifiutava al punto da non permettersi di soffrire per la perdita del genitore. perciò ha visto nel terapeuta il mancato mago, lo spauracchio che avrebbe potuto portarla ad accettare (dolorosamente) il dolore, la vita, l’amore…
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Sai Mario, mi ha colpito particolarmente perché ci ho riconosciuto una mia cara amica, forse ora ormai ex, non si riesce più ad avere un rapporto con lei. Solo che quando è successo lei di anni ne aveva 50, e non ha mai nemmeno provato a varcare la soglia di un professionista che potesse aiutarla. ‘Non ammetto queste cose’, diceva con un tono da premio Nobel. Era palesemente depressa. Poi con gli anni ha avuto una ulteriore mutazione, chiudendo si come una cozza. Adesso è attiva, ma totalmente autoreferenziale In una maniera che puzza patologica. Distorce tutto, se cerchi di coinvolgerà in qualcosa non è per il piacere di condividere le cose, magari belle, la voglia di farne partecipe un’amica, ma perchè hai bisogno di qualcosa. Mi fa ancora male ma è come non averla più. E mi ricordo sempre quando il padre le comprò la macchina nuova, lei, ultra quarantenne, si tormentava per trovare il modo di restituire i soldi. La famiglia stava bene economicamente, lei era figlia unica, così le dissi: ‘scusa Rita ma tuo padre voleva fartelo questo regalo. Quando non ci sarà più (aveva 80 anni) passerà tutto a te, non ti angoscia e dagli questa soddisfazione’. Mi mangiò la faccia,’NON posso nemmeno concepire che NON ci saranno più! !!’ La madre 90 anni, il padre 84, forse sarebbe stato il caso di cominciare a concepirlo, te che dici?
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la mente umana è un universo davvero complesso. ma il ritratto da te tracciato è caratterizzato da considerazioni moraleggianti del tipo… dovrebbe… avrebbe dovuto… sarebbe ora di… potresti dargli una soddisfazione… sarebbe stato il caso di…
all’inizio tuttavia, hai parlato di patologia!
ora, la patologia, va sempre riferita alla mente giacché le patologie morali costituiscono sempre un terreno infido e scivoloso.
la mente segue leggi naturali, la morale è figlia della cultura. perciò ogni tempo e ogni luogo ha una propria morale.
tutto questo per dire che io mi occupo della mente, e non mi muovo bene sul terreno della morale che non rappresenta il mio terreno professionale.
comunque, dalle note che tratteggi, la tua amica “figlia unica” non era sufficientemente matura per chiedere un aiuto terapeutico. e quando manca la motivazione non c’è niente che possa crearla dal nulla. e la persona resta indietro.
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è vero, ed è molto molto triste
Rendersi conto, ad un certo punto, che i genitori non sono eterni e accettarlo, significa crescere?
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rendersi conto di questo significa essere sufficientemente adulti.
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mumble….intanto rifletto…
sento costrizione alla testa e chiusura al torace, e provo un certo sbigottimento nel leggere di una persona che, ad un’età tale della vita, torni (o ci è sempre stata?) così tanto piccola e indifesa da doversi chiudere anche di fronte allo psicoterapeuta che ella stessa ha scelto… com’è possibile? Grazie Mario, sempre.
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è talmente possibile che accade più spesso di quanto non si creda.
comportamenti immaturi, cotraddittori, incongrui, ambivalenti… sono all’ordine del giorno.
nei miei bozzetti questi problemi si vedono meglio perché raccontati e confezionati con un taglio semplice e divulgativo.
i miei testi sono sempre depurati dal rumore di fondo in modo che risultino evidenziati gli aspetti patologici della comunicazione, cioè del comportamento (perché si comunica ciò che si è).
leggendo i miei bozzetti, il lettore attento potrà dotarsi di una chiave più raffinata per ascoltare e interpretare la comunicazione umana (cioè il comportamento) anche nelle sue componenti patologiche.
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