“ciao. io sono C. come la devo chiamare, dottore o per nome?”
“tu cosa preferisci?”
“guarda, io non sarei manco uscito di casa oggi. mi hanno costretto a venire qui… quelli della scuola, si. anche i miei genitori sono scocciati… e hanno pure litigato in macchina… che novità!… mio padre c’aveva da fare e s’è dovuto prendere un giorno.”
“per quale motivo sei qui?”
“non vorrà farmi credere che lei non sa il motivo… ecco, ecco perché non volevo venire… nessuno sa niente di me e nessuno mi crede… che… (borbotta qualcosa guardandosi intorno con disgusto).”
“certo che lo so, è scritto sulle carte (12 anni, seconda media, regolare con gli anni di scuola) ma io chiedevo il ‘tuo’ motivo, la tua opinione.”
“perché non voglio più andare a scuola. non mi fanno più cambiare classe, il preside dice che ho cambiato classe già quattro volte, e non posso più cambiare. allora io non ci vado più a scuola.”
“mmhh… quattro volte…”
“mi sembra il minimo. ogni volta non mi hanno accolto bene… uno quando arriva in una classe deve trovare attenzione e considerazione, no?”
“considerazione… è una parola particolare. cosa intendi dire…”
“che tutti si dovevano alzare e venirmi incontro, e presentarsi mettendosi in cerchio intorno a me. io ero il nuovo arrivato, dovevo stare al centro di tutti!
ma che glielo spiego a fare, intanto voi psicologi capite quello che volete voi. insomma, facciamola breve. lo so che deve valutarmi per il tribunale… perché ho accusato un professore di non avermi creduto sulla faccenda del bullismo… allora il preside ha chiamato i servizi sociali e c’ha messo dentro pure le assenze e la storia del pugno al compagno.
comunque guarda, a me non mi va di raccontare per due volte la stessa storia… facciamo che tu mi fissi un appuntamento da quel giudice e ci vado a parlare, perché io parlo solo con uno alla pari mia… (fa un gesto della mano come a livellare le altezze). così gli spiego io che deve fare. e ora me ne vorrei andare, mi chiamano al telefono. posso uscire da qui?”
La trascuratezza emotiva ha reso questo ragazzo un’ piccolo mostro’ dedito al disprezzo degli altri e al controllo delle relazioni in termini punitivi. Un ragazzo che ha occhi solo per se stesso, un piccolo narciso, che possibilità ha di essere attratto da una psicoterapia? Un caso simile era tratteggiato nella prima serie italiana di In treatment, ma lì i genitori erano separati e c’era spazio di azione terapeutica, qui la famiglia è solo formale ed altamente distruttiva. Ecco la presenza di una coppia che litiga, perché non ha saputo costruire una famiglia, è un elemento di ulteriore danno x il ragazzo? Grazie
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hai colto la situazione in pieno.
una famiglia distruttiva fatta da genitori immaturi, incapaci di amare e di ‘tenere’ il figlio in uno spazio mentale attrezzato.
lo spazio di questi genitori può essere verosimilmente immaginato inconsistente (privo d’affetto) e dai confini labili (privo d’autorità).
psicoterapia?… potrebbe rappresentare una buona occasione per fornire al ragazzo un’occasione per ristrutturare, al possibile, la carenza del giardino primario.
ma per accedere alla cura si dev’essere motivati. e i narcisi, per definizione, non lo sono. perché curarsi significa crescere, e crescere significa abbandonare la perenne infanzia deresponsabilizzante.
forse, quando la catastrofe sarà ormai irrimediabile…
chissà… forse.
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e si, infatti fin qui ha conosciuto solo terra secca(mancanza di affetto) fango (confusione dei ruoli) e rovi contro cui scatenare il suo disprezzo. Nessun morbido giardino.
Grazie.
Dottor Trovarelli, lei dice “forse, quando la catastrofe sarà ormai irrimediabile, chissà, forse….” Cosa intende?
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a volte le persone narcisiste, che vivono una perenne persistenza del bisogno d’approvazione, si rendono conto di avere un disturbo solo quando constatano di non essere in grado di realizzare progetti di vita soddisfacenti.
e forse in quell’occasione è possibile che chiedano un aiuto terapeutico.
ma non accade di frequente.
perché in genere sono “gli altri” ad essere indicati come responsabili o colpevoli delle loro catastrofi!
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Grazie.
“perché in genere sono “gli altri” ad essere indicati come responsabili o colpevoli delle loro catastrofi!”
… in questo piccolo resoconto due aspetti mi arrivano nitidi. La dimensione “altro” : c’è sempre qualcuno che decide e che è responsabile… il ragazzo non è mai protagonista delle sue scelte, lui non c’è se non nel ruolo di chi subisce una carenza attribuibile a questa dimensione “altra”, che prende forma nelle sagome che ruotano intorno a lui, sempre difettose in qualche cosa… se non fosse così, la personalità fragile e creata come riflesso, sfumerebbe, lasciando un vuoto dolorosissimo e incolmabile. Quel vuoto creato dalla mancata risposta di contenimento affettivo che non ha permesso alla mente del ragazzo di evolvere, soddisfando quel bisogno infantile di sentirsi speciale e al centro della vita affettiva dei genitori. Genitori che in questo caso sono assorbiti da se stessi e nemmeno si accorgono di quella presenza che, probabilmente, rappresenta un prolungamento di se stessi.
L’altro aspetto che mi arriva è la rabbia di questo ragazzo. Questa rivendicazione verso il mondo esterno. Questo suo urlare disperato “io sono qui” “esisto” “sono speciale, non ve ne accorgete?” “guardatemi” “abbracciatemi”…
che non sono altro che richieste rimaste dolorosamente insoddisfatte perché nessuno se n’è mai accorto..