Figlia di guerra
*
lineamenti decisi e ben disegnati
il volto accattivante incorniciato da capelli biondi e lievemente ondulati
un’espressione intelligente inondata di dolcezza
occhi vivi
era giunta in ospedale di notte e immediatamente sistemata in fondo al corridoio del reparto maternità lontano dalle altre pazienti e al riparo da sguardi indiscreti
la vidi poche ore dopo il suo ricovero all’inizio del mio turno di lavoro
erano le sette del mattino della domenica delle palme
se ne stava in silenzio ma il suo sguardo appariva interessato a tutto quello che le si muoveva intorno
quegli occhi mobilissimi controllavano ogni cosa nella stanza
rimasi molto colpita da quella ragazza
aveva il corpo quasi interamente coperto di bende a protezione di un incredibile numero di ferite ecchimosi e contusioni ed era al settimo mese di gravidanza
mi dissero che si trattava di una profuga rimasta vittima di violenza in zona di guerra giunta nel nostro ospedale perché aveva scelto di curarsi e di tenersi il bambino frutto della violenza subita
mi piaceva molto osservare quella donna da vicino
lo facevo indugiando spesso accanto al suo letto
se si sentiva osservata un po’ più a lungo o se percepiva qualche movimento nella stanza i suoi occhi si aprivano immediatamente
quando guardavo quel volto angelico che si assopiva solo all’alba per dormire qualche ora di sonno fragilissimo riprovavo la commozione di un tempo
dopo anni e anni di vuoto dunque mi sorpresi nel percepirmi nuovamente interessata a una paziente
pensai o mi piacque immaginare che quella giovane fosse una donna soldato
le signore del reparto avevano cercato di parlare un po’ con lei ma avevano dovuto desistere a causa della barriera linguistica
ma io avevo osservato quel volto a lungo e molto attentamente perciò avevo imparato a distinguerne tutte le sfumature espressive
e avevo capito molto bene che quella ragazza era capace di comprendere perfettamente chiunque le rivolgesse la parola
notai anche come sapesse comunicare in modo assai eloquente attraverso piccoli movimenti degli zigomi e degli angoli della bocca
rispondeva così a qualunque stimolo
troppo poco per colpire la superficialità delle partorienti o per smuovere l’arrogante distrazione del personale sanitario
ma sufficiente per incuriosire me che prima di sprofondare nell’alcool e nell’inutilità mi ero occupata di pazienti per anni
lei comprendeva benissimo chiunque le si rivolgesse ma fingeva di non capire
potevo immaginare perché
sono un po’ arrugginita nell’osservazione del comportamento umano ma certe cose mi colpiscono ancora
io sono soltanto una donna delle pulizie
lavoro in questo reparto da una ventina d’anni ma non sono sempre stata un’inserviente
le mie colleghe più anziane infatti in ricordo dei vecchi tempi mi chiamano ancora dottoressa
in effetti sono laureata e per oltre un decennio ho svolto il ruolo che mi spettava per titolo e preparazione professionale
sono stata una psicologa specializzata nell’assistenza di malati terminali
ma non ce l’ho fatta
non ho retto allo strazio e ne sono stata travolta
ho visto morire praticamente tutti i miei pazienti
li prendevo in carico in occasione del loro ultimo ricovero e li accompagnavo fino alla destinazione finale
li vedevo morire sotto i miei occhi mentre parenti e familiari si tappavano gli occhi il naso e le orecchie per evitare di percepire la fine del congiunto
era mio dovere restare in campo per fronteggiare il trapasso di giovani e vecchi donne e bambini
la malattia non risparmia nessuno
la morte non porta rispetto
se a morire era un vecchio ai familiari non importava più che tanto ma per le persone giovani o per i bambini si straziavano tutti
il calvario dei familiari cominciava al momento della diagnosi e si arrestava bruscamente di fronte alla consapevolezza dell’ineluttabile
quando si era ormai vicini alla fine i parenti prendevano distanza dal dolore e cominciavano ad inventarsi comportamenti magici e neganti
di fronte al potere della morte ho visto molta gente regredire e mettere in atto sciocchi e inutili rituali
come se facessero la danza della pioggia
quasi tutti finivano per interpellare ciarlatani e fattucchiere per mettere a tacere una sofferenza che nessuno ormai sapeva più affrontare
era come se ad un certo punto i familiari non vedessero l’ora che il congiunto morisse per non assistere allo sfacelo del suo corpo e per evitare che il paziente si rendesse conto della morte imminente
dicevano
così loro si allontanavano dall’angoscia e io subentravo alla loro colpevole assenza cercando di sopperire a quella che ai miei occhi appariva come una grave carenza d’affetto di fronte all’evento cruciale
avevo scelto di occuparmi di quei moribondi perché non tolleravo che se n’andassero in solitudine
restavo per evitare di lasciarli morire da soli
per professione o per vocazione
non so
indubbiamente con irrefrenabile affetto
dal momento in cui mi piazzavo al capezzale del malato una forza gigantesca mi saliva lungo il corpo e non sentivo più la fame né avvertivo la stanchezza o il sonno
una fiamma mi nasceva dentro e si propagava fino al paziente unendomi a lui in modo misterioso
e parlavo
nella speranza di salvarlo parlavo in continuazione
non mi rendevo conto di essere intrisa di magia come i parenti che detestavo
con voce calma e serena solo occasionalmente rotta da un soffocato accenno di pianto parlavo e parlavo
ai bambini raccontavo interminabili favole anche dopo il loro ingresso nel coma irreversibile
ho visto malati agonizzanti piangere lacrime di commozione malgrado la loro totale assenza di coscienza
in quelle lunghe notti in cui non avvertivo né dolore né stanchezza ho visto accadere vicende miracolose
ma alla fine la morte atroce finiva sempre per trionfare ottenendo in ogni caso la sua inesorabile vittoria
a volte non percepivo più lo scorrere del tempo
una volta ero impegnata nell’assistenza di una ragazza di quindici anni malata di leucemia
alenka
avevo perso l’orientamento nello spazio e nel tempo accanto a quella creatura così delicata
poi mi venne riferito di essere rimasta sveglia e senza cibo accanto a lei per molte ore dopo il suo decesso
la dolce alenka mi morì tra le braccia
era entrata in coma al venerdì sera e al martedì pomeriggio ebbe la forza di socchiudere gli occhi per guardarmi
le avevo parlato a lungo
e quel tentativo di comunicarmi la sua gratitudine mi commosse al punto che non potei resistere alla tentazione di abbracciarla e tenerla stretta sussurrandole parole dolcissime
poi spirò
malgrado il mio amore alenka morì alle otto di sera
e continuai a tenerla stretta a lungo dopo il suo trapasso
ormai sentivo che mi apparteneva
non riuscivo più a staccarmi da quel viso innocente che mi aveva ascoltato in silenzio per giorni e notti
ininterrottamente
quando le infermiere mi convinsero a lasciarla andare crollai esausta
e come al solito andai a casa per ubriacarmi
dopo ogni morte il mio dolore per la perdita si faceva più lacerante
io li amavo tanto eppure li perdevo
con crudeltà
mi attaccavo alla magica speranza di salvarli per poi cadere gradualmente in un terrifico abisso d’angoscia
ad ogni nuovo caso mi ripromettevo di lavorare unicamente con motivazione professionale ma ben presto perdevo i confini per sentirmi colare a picco nel baratro che separa la vita dalla morte
e mettevo scioccamente me stessa in quella voragine nel tentativo di colmarla
all’inizio cercavo di resistere all’amore ma poi venivo regolarmente colta di sorpresa e quando lo avvertivo dentro di me era ormai troppo tardi
il legame era già diventato troppo forte per potermene liberare e cominciavo così a sprofondare in caduta libera
arrivava un momento in cui lo spazio mentale diventava insufficiente per contenere me stessa e il paziente
allora annullavo me stessa e il malato diventava l’unica cosa al mondo che contasse
in genere mi svegliavo dal torpore pochi istanti dopo la morte del paziente ma a volte come nel caso di alenka mi capitava di restare avvinghiata a quei corpi senza vita per ore e ore
e quando mi riprendevo dalla fatica la mia testa era pervasa dalla speranza di aver restituito la vita
ma immancabilmente mi ritrovavo col morto tra le braccia
bastava questo per farmi sentire inutile e per cadere in una sorta di vergogna mentre una crudele lucidità gradualmente si riappropriava della mia mente
tu non servi più
mi diceva una voce
e quando arrivavano le infermiere per comporre e ricoprire il corpo io restavo vuota e priva di dignità e di ogni significato
provando ad alzarmi dalla sedia sulla quale ero rimasta seduta per ore o per giorni sentivo tutta la rigidità delle membra e lo scricchiolio delle articolazioni
mi è anche capitato di invidiare il morto
lui ormai non soffriva più
così cominciava il mio calvario che proseguiva poi a casa davanti a stupidi programmi televisivi col bicchiere di grappa tra le mani e la testa inebetita dalla ferita
*
oggi in reparto una donna è morta di parto
non è una cosa che accade di frequente ai giorni nostri
ma qualche volta capita ancora
si chiamava natascia
io non mi ero affezionata a quella donna perché non era una mia paziente
e poi io non sono più un dottore
ora sono un’inserviente
è vero che per perdere l’abitudine alla morte ho impiegato molto tempo
ero troppo abituata a riconoscere il rischio di vita per fingere di non accorgermi di niente
anche qui nel reparto di maternità mi è capitato di percepire la morte con molto anticipo sui sanitari
ho fatto fatica per togliermi di dosso i sensori della morte
ma ormai mi occupo di pulizie da tanto tempo
e passo sempre con minore interesse accanto alla sofferenza e alla morte
ma questa volta è stata la paziente ad accorgersi di me e mi ha scelta per confidarmi il suo terribile segreto
è morta nella disperazione
violentata e ospitata in un ospedale di un paese ufficialmente nemico è stata scambiata per una vittima dei cattivi
ha creduto di essere stata accettata e curata per questo motivo pensando che non avrebbe potuto sopravvivere se in ospedale avessero conosciuto la verità
ha scelto di dare alla luce una figlia non cercata
ha donato se stessa alla sua creatura con grande amore e dignità
e io che ormai ho superato i cinquant’anni da tempo e non ho più niente e nessuno all’infuori del secchio della scopa e della bottiglia sono capitata di nuovo in questo vortice di tragedia
e di nuovo io soltanto conosco la verità
quella creatura neonata che per tutti è la figlia di una perseguitata in realtà è stata partorita da una donna violentata da buoni e bravi giovani europei bianchi
semmai dovessi averla in affido le direi tutta la verità sulla sua mamma eroica che ha saputo tacere la propria identità etnica perché convinta di essere ospite di un paese nemico
ha protetto la propria bimba da tutti i potenziali nemici come accade ormai solo in natura tra gli animali
la luce soffusa conferisce al reparto un’atmosfera surreale e al suo bianco letto vuoto e soffice come un nido un’aria di dolce tristezza
fuori è primavera
natascia è morta di parto
non mi ero mai accorta di quanto fosse bello avere un’amica
anche se non abbiamo mai parlato concretamente io e natascia abbiamo saputo tanto l’una dell’altra
mia piccola anima infelice
stasera mi piacerebbe andare in bicicletta con te o nuotare a corpo libero nell’aria calda della notte e poi passeggiare sulla spiaggia
a piedi nudi
stella maris stara mati
nonna
era bello il tuo sapore quando c’eri
lahko noc
felice notte piccola mia
improvvisamente ricordo la mia lingua madre
slava come la tua
la mia nonna slovena la tua serba
e tu mia preziosa amica anche tu ormai partita per sempre
balliamo sotto le stelle danziamo alla luce fioca del paradiso lontano
questo seme che tu hai maturato m’impregna la pancia e la mente
non mi lascia libera di odiare
tu mi spingi all’affetto
di nuovo
ne sono contrariata
ma preparerò tisane di frutta
per te e per me
e per la nostra piccina
non affogherò più nella bottiglia
non è necessario essere felici per vivere di nuovo
ora sono in attesa
sapessi almeno se è vero
non ti offendere lo so che esisti ancora da qualche parte
se non altro nella figlia che hai amato
dal mare tu l’hai fatta sorgere ricoperta di tanta spuma
no
è nata da te che sei la sua mamma e dal tuo dolore
ma anche dalla mia pancia
ti sono amica e spero di esserle mamma
la farò crescere per lasciarle invadere il mio giardino
se glielo impedissi essa m’invaderebbe la coscienza
mi fa sentire strana questa vita fatta di attesa non richiesta
ma ormai voluta
la bimba cattura i miei pensieri ma mi chiedo fino a che punto essa sia veramente mia
ormai avevo trovato la mia dimensione
nessuno avverte la lama cocente della mia umiliazione
i miei amori sono tutti morti e sepolti nella fossa comune della mia ottusa onnipotenza
essere felice per forza nel sentire le cosce fremere fino a sciogliersi
essere mamma senza mamma e senza padre
senza un lui
senza amore
volevo farlo da tanto tempo ma non avevo mai osato desiderarlo veramente fino in fondo
che sapore ha la maternità per una lesbica
io mi ero limitata a fantasticarla per ravvivare un’adolescenza sbiadita e assai diversa
oggi la realizzo senza merito
e mi sento come se avessi guadagnato l’anima e conquistato la libertà
quella in cui non serve alcuna dignità
solo la dedizione
e di quella un tempo ne avevo da vendere
lascio che gli eventi facciano il loro corso perché mi sono abituata a non fare più troppo caso a come mi sento
forse sto guarendo dalla mia onnipotenza
in fondo mi dà ancora un po’ fastidio passare per una tipa strana che pulisce lava lavora stira fa la spesa e cucina
ma che vita lunare la bellezza del matrimonio la dolcezza dell’amore la fantasia dell’attesa
orrore amore morte e dolore
onore
non sono la schiava del dovere e l’unica cosa che voglio è curarla
si apre con lei la speranza e il desiderio di dare ancora qualcosa
a lei che è l’unica cosa viva
e che forse sarà mia
mi è stata data da te che sei la sua mamma
forse sono felice
ma allora perché sto piangendo lacrime amare e mi sento così estranea in questa bella sala di un ospedale che ormai sento ostile
vedo intorno mamme vere che hanno dato il loro corpo all’amore
da bambina mi chiedevo che cosa contasse di più per me
avvertii tanta confusione quando indossai la mia prima minigonna accorgendomi con stupore che amavo essere guardata più dalle ragazze che dai ragazzi
provavo vergogna mentre mi eccitavo
forse per questa ragione non ho mai avuto un uomo
questo nodo in gola non mi abbandona mai accidenti
sono legata alla piccina
ormai la sento nella pancia e nella testa
nel cuore
lei è il frutto della barbarie più crudele
ma anche dell’amore più puro e delicato
io non voglio farle violenza
voglio amarla senza ucciderla
con i miei pazienti non ci sono riuscita
qualcuno vuole ancora credere che tu sia rimasta vittima dei cattivi invece dopo la tua morte ho scoperto che non eri quella che tutti credevano ma semplicemente una donna violentata e seviziata da bravi maschi di buona volontà
soltanto io conosco la verità
violentata da giovani europei bianchi e di buona famiglia che si trovavano nei territori a seguito di una missione umanitaria
il gruppo di ragazzi è uscito una sera per fare delle bravate girando per le strade con delle ragazze locali
tu eri la più giovane e generosamente sei rimasta a festeggiare con loro fino all’alba
ti avevano fatto credere che la guerra era finita e con essa le ostilità erano cessate da ogni parte
avevano bevuto per tutta la notte e al mattino ormai ubriachi avevano trovato riparo in un rudere bombardato
volevano approfittare di te e tu ne rimanesti stupita
credevi che loro ti fossero amici
così ti hanno picchiata e violentata poi ti hanno soccorsa fingendo di averti trovata per strada svenuta e ferita
pensavano che saresti morta presto perciò ti consegnarono ai soldati
da questi fosti trasferita da noi per le cure
non eri dunque un soldato ma hai ugualmente combattuto la tua brutta guerra
hai sempre taciuto la tua appartenenza nazionale perché temevi di essere linciata
hai trovato però la forza di scrivere tutto sul tuo diario che mi hai consegnato prima di entrare in sala operatoria
non avevamo mai scambiato una parola eppure tra noi era nato un legame tanto intenso
poco prima di andare a morire mi hai attirato con i tuoi occhi imploranti e furtivamente mi hai messo nella mano un libricino accompagnando il gesto con una sola piccola frase appena sussurrata
molim te
ti supplico
ho pianto lacrime amarissime su quelle paginette scritte nella tua lingua
messaggi d’amore per tutti nonostante l’inganno e la tortura
nessuna traccia di risentimento nelle tue parole
tutta la grandezza dell’universo racchiusa in una piccola creatura bionda piena di coraggio e d’umiltà
non si può sopprimere una vita solo perché mi hanno fatto del male nel generarla
hai scritto
grazie natascia
grazie per avermi insegnato il vero altruismo dopo lunghi anni di onnipotente narcisismo
grazie di cuore
sei stata la paziente dalla quale ho imparato di più
e sei diventata la mia prima e unica amica
ora vorrei tenere la piccina per chiamarla alenka come la ragazza che mi morì tanti anni fa di leucemia
per farla vivere
ma non so se me la daranno
perché sono un’omosessuale sola diventata un’inserviente alcolista e inaffidabile
*
I suoi racconti sono struggenti. E mi lasciano un sapore dolce-amaro. Molte volte mi fanno piangere di commozione. Ho pensato che tutto ciò che provo sia legato al fatto che i suoi racconti trasmettono vissuti molto reali, concreti. Non c’è “l’infiorettare per rendere più carino”. I contenuti di cui racconta e I suoi personaggi prendono vita nella mia mente in modo forte e concreto. vicini alla vita reale. quella vita che è appunto dolce e amara allo stesso tempo… ed è proprio questo che volevo chiederle: i personaggi di cui racconta, sono personaggi che lei ha conosciuto realmente o che sono frutto della sua fantasia e creatività?
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ottima domanda Loreley.
i miei racconti sono tutti “veri” perché raccontano fatti e avvenimenti che accadono laggiù, nella vita profonda della mente. e laggiù nel profondo, siamo tutti più uguali!
perciò fantasia o realtà non sono più distinguibili, perché non si tratta di verificare un’improbabile oggettività, ma di vivere sentimenti, contenuti, legami, rapporti, situazioni che viviamo tutti… maschi, femmine, giovani, vecchi e bambini… tutti attraversiamo le cose che racconto. perciò posso affermare che i miei racconti sono autentici.
anche se la sequenza degli episodi non è quasi mai quella riscontrabile nell’esistenza di un’unica persona… ma in tante, numerose vite!
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… dunque è per questo che sento questa vicinanza con i personaggi. Perché ciò di cui racconta non riguarda solo loro ma anche il mio sentire profondo… grazie per la risposta… molto interessante … In ogni caso, il suo modo di dare forma a questi contenuti profondi è sorprendente… questa è la scrittura espressiva? E’ dar forma ai contenuti profondi? Lei è contadino, pilota, scrittore, psicoanalista con una vita intensa e molto varia. Molte vite in un’unica vita… lei parla di scrittura espressiva come se fosse accessibile a tutti, anche a chi conduce una vita più modesta e a chi non possiede grandi risorse intellettive… la mia domanda è questa: potenzialmente siamo tutti scrittori? o per essere scrittori bisogna avere delle doti o dei “talenti” particolari? e ancora… quanto un percorso di analisi personale può favorire lo scrivere espressivo e in che modo? … grazie ancora
*
sì. siamo tutti scrittori.
perché tutti noi viviamo e incidiamo l’universo con la nostra esistenza.
quanto ad esprimere la nostra vita sulla carta… citerò me stesso:
“Quando scrivo mi limito semplicemente a seguire (per dirla col piccolo principe) le immagini percepite dal cuore, più che dagli occhi. Io non faccio altro che raccontare quello che spontaneamente emerge dal fondo del lago liberando la mente dai due cerberi che in genere ne impediscono la libera espressione: la paura e la vergogna.
Lasciando che la mano segua un percorso naturale, in accordo con i sentimenti che le immagini le suggeriscono, scrivo in modo nitido, senza ostacoli.
Ne esce una narrazione che attinge da profondità immani, in grado di portarsi dietro tutto il dolore che giace laggiù, sul fondo del lago. E ancora più giù.
La scuola insegna a scrivere partendo da una serie interminabile e complicata di regole. Seguendo un orientamento innaturale. Cominciando dall’alto invece che dal basso. Dal prodotto finito piuttosto che dalle attività generatrici!
Con la modalità espressiva esce sempre un testo più lungo rispetto a quello che poi verrà utilizzato. Scrivo in grande quantità e velocemente. Dopo la prima stesura veloce faccio qualche piccolo aggiustamento. Mai una nuova stesura. La fragranza originale tenderebbe a svanire.
Scrivo in rapidità per evitare l’interferenza del pensiero. Lascio che siano gli strati profondi della mente ad emergere e a fissarsi sulla carta. Un modo del tutto originale. Lo stesso che insegno nel mio laboratorio di scrittura alle persone che hanno voglia di imparare.
Agli insegnanti della lingua italiana
non piacerà il mio modo di scrivere e di insegnare a scrivere. Me ne rendo
conto. La mia punteggiatura, i miei accapo, le parole che utilizzo, tutte cose
un po’ particolari. A volte strane. Ma quello che scrivo, si può esserne certi,
corrisponde sempre a quello che sento, che provo dentro, e che penso.
Quando il bambino va a scuola sa già parlare, conosce una modalità espressiva che ha imparato in anni di contatto con la famiglia e con l’ambiente. La scuola tende a distruggere questo patrimonio espressivo, costringendo i bambini ad adattare i loro contenuti mentali (pensieri e affetti) alle regole della grammatica, della sintassi, dello stile, dell’opportunità, delle convenzioni, ecc. Il bambino viene così “educato”, cioè allontanato da se stesso e indotto ad aderire a un rigido
programma di standardizzazione.
Tutti devono avvicinarsi, il più possibile, ad una sorta di barra livellatrice. Né troppo in su né troppo in giù.
Viene ricercata la banale, avvilente, mortificante normalità! Una normalità
statistica.
Il bambino è portatore di ricchezza interiore e di rivoluzione creativa. Valori che dovrebbero essere incoraggiati a sbocciare e fiorire liberamente. A patto che questa esplosione di fantasia avvenga in un giardino protetto dall’autorità e dall’affetto dei genitori e degli insegnanti.
Il patrimonio infantile è preziosissimo, proprio perché portatore di innovazione creativa rispetto ad altre generazioni.
Non dovrebbe essere distrutto, né umiliato!
La scrittura espressiva avviene di getto. Lasciando che la mano compia il gesto grafico, senza consentire al pensiero d’interferire. In genere accadrà che il testo iniziale risulti molto grezzo, incomprensibile, sconnesso e scorretto. Ma è solo l’inizio. Non si deve cedere alla tentazione di rileggere, di tornare indietro per correggere.
Si deve solo andare avanti, procedere in modo fluido. Continuare a scrivere tutto, tutto quello che viene in punta di penna (o di tastiera). Sempre avanti.
Gradualmente, se avremo seguito questa modalità, la scrittura si farà sempre più chiara e comprensibile. Perché
i contenuti grezzi della mente affioreranno e incontreranno spontaneamente e
liberamente le regole della comunicazione. Quelle che abbiamo già
interiorizzato da bambini interagendo con i genitori, con la nonna, con gli
animali. E con il vento.
Allora, proprio come accade quando spilliamo il vino nuovo dalla botte, che dapprima ci apparirà torbido e scuro come feccia, ma che vedremo presto raffinarsi via via che continueremo a spillarlo, fino a stupirci del suo profumo e della sua limpidezza cristallina, così accadrà anche per il nostro testo. Perché diventerà gradualmente, e compiutamente, quello che volevamo che fosse. Un dipinto chiaro, congruo, lucido. Ma anche appassionante, coinvolgente. Perché conserverà tutto il
profumo del fondo.
Bene. Ma com’è possibile scrivere senza pensare? E quando avremo la necessità di scrivere a tema, come potremo dimenticare il titolo dell’argomento che dovrebbe guidarci nella congruenza?
Queste solo alcune delle domande che i miei allievi mi rivolgono di solito.
Ebbene, se consideriamo la mente come un magazzino di oggetti discreti, già
confezionati e distinguibili tra loro (accantonati là e stivati chissà da chi…
e chissà quando…), allora avremo a che fare con una concezione assai riduttiva,
un tipo di mente capace unicamente di esprimere il solo pensiero cosciente. Una
mente che farà apparire per magia ora questo ora quell’oggetto, solo orientandovi
sopra il pennello luminoso del pensiero cosciente.
Un errore grave ma frequente, considerando la struttura della mente e il suo modo di funzionare!
Le cose non sono già pronte e disponili all’uso, né tanto meno sono in attesa di essere tirate fuori e utilizzate.
Non esiste nessun ripostiglio che conservi le cose pronte. La mente è una
fucina di forze e di colori in continuo movimento, in grado di creare sul
momento tutto quello che serve, nel qui ed ora dello spazio e del tempo.
Lo fa configurandosi e riconfigurandosi meravigliosamente, ogni volta che riceve uno stimolo.
Insomma, ogni oggetto confezionato, ogni prodotto finito, non è altro che una figura dinamicamente assunta dalla mente in un determinato istante, e colta come un fotogramma ricco di particolari e sfumature.
La mente si plasma e si modella, il nostro “Io operativo” coglie l’attimo e ne fotografa le infinite immagini che essa può assumere. Questi “oggetti”, prodotti in modo creativo, saranno utilizzabili nella realtà in modo progettuale e potente. La riconfigurazione mentale, dunque, avviene ogni volta che l’ambiente (interno o esterno) pone una richiesta. Gli oggetti mentali, dunque, altro non sono che istantanee colte nel corso delle operazioni plastiche di modellamento e rimodellamento della stessa mente.
Attimi e momenti di una sintesi poderosa e magica, granelli di pulviscolo disseminati dal plasma caldo e fluido delle profondità affettive.
A volte abbiamo la tentazione di considerarli definitivi, ma al pari dei mandala, altro non sono che disegni di sabbia colorata destinati a rompersi e disfarsi ogni volta, per essere ricostruiti e rifatti in modi sempre diversi e nuovi.
Con meravigliosa creatività.
Quando la mente possiede una buona struttura, ed è libera, elastica, aperta… è anche potente, e può confezionare ogni genere di oggetti in pochi istanti.
La conoscenza, di fatto, non consiste
nell’accumulo di nozioni e abilità, ma nella capacità di inventare quello che
ti serve nel momento in cui ti serve, cioè al manifestarsi del bisogno.
Così, rispondendo all’incalzare di bisogni affettivi intensi, con gli occhi socchiusi, e da “stupido ubriaco”, evitando per quanto possibile di pensare, la fucina della mia mente si è messa in movimento, si è organizzata e riconfigurata. Gli esiti di queste ristrutturazioni sono gli oggetti-racconto che ho raccolto in Nudità.
I racconti più belli li scrivo così.
Quando scrivo non so mai che cosa verrà fuori. Lascio fare alla mano. O meglio
alle mani, visto che utilizzo il computer.
E’ come suonare il piano a orecchio. All’inizio vengono fuori note confuse e scoordinate, ma lentamente emergono sinfonie commoventi. Che mi fanno piangere mentre le scrivo, e mi fanno piangere ogni volta che le rileggo.”
*
grazie per la risposta più che esauriente