Mario Trovarelli – Psicologia Naturalista * Scrittura espressiva, un racconto (2)

Figlia di guerra

*

lineamenti decisi e ben disegnati

il volto accattivante incorniciato da capelli biondi e lievemente ondulati

un’espressione intelligente inondata di dolcezza

occhi vivi

era giunta in ospedale di notte e immediatamente sistemata in fondo al corridoio del reparto maternità lontano dalle altre pazienti e al riparo da sguardi indiscreti

la vidi poche ore dopo il suo ricovero all’inizio del mio turno di lavoro

erano le sette del mattino della domenica delle palme

se ne stava in silenzio ma il suo sguardo appariva interessato a tutto quello che le si muoveva intorno

quegli occhi mobilissimi controllavano ogni cosa nella stanza

rimasi molto colpita da quella ragazza

aveva il corpo quasi interamente coperto di bende a protezione di un incredibile numero di ferite ecchimosi e contusioni ed era al settimo mese di gravidanza

mi dissero che si trattava di una profuga rimasta vittima di violenza in zona di guerra giunta nel nostro ospedale perché aveva scelto di curarsi e di tenersi il bambino frutto della violenza subita

mi piaceva molto osservare quella donna da vicino

lo facevo indugiando spesso accanto al suo letto

se si sentiva osservata un po’ più a lungo o se percepiva qualche movimento nella stanza i suoi occhi si aprivano immediatamente

quando guardavo quel volto angelico che si assopiva solo all’alba per dormire qualche ora di sonno fragilissimo riprovavo la commozione di un tempo

dopo anni e anni di vuoto dunque mi sorpresi nel percepirmi nuovamente interessata a una paziente

pensai o mi piacque immaginare che quella giovane fosse una donna soldato

le signore del reparto avevano cercato di parlare un po’ con lei ma avevano dovuto desistere a causa della barriera linguistica

ma io avevo osservato quel volto a lungo e molto attentamente perciò avevo imparato a distinguerne tutte le sfumature espressive

e avevo capito molto bene che quella ragazza era capace di comprendere perfettamente chiunque le rivolgesse la parola

notai anche come sapesse comunicare in modo assai eloquente attraverso piccoli movimenti degli zigomi e degli angoli della bocca

rispondeva così a qualunque stimolo

troppo poco per colpire la superficialità delle partorienti o per smuovere l’arrogante distrazione del personale sanitario

ma sufficiente per incuriosire me che prima di sprofondare nell’alcool e nell’inutilità mi ero occupata di pazienti per anni

lei comprendeva benissimo chiunque le si rivolgesse ma fingeva di non capire

potevo immaginare perché

sono un po’ arrugginita nell’osservazione del comportamento umano ma certe cose mi colpiscono ancora

io sono soltanto una donna delle pulizie

lavoro in questo reparto da una ventina d’anni ma non sono sempre stata un’inserviente

le mie colleghe più anziane infatti in ricordo dei vecchi tempi mi chiamano ancora dottoressa

in effetti sono laureata e per oltre un decennio ho svolto il ruolo che mi spettava per titolo e preparazione professionale

sono stata una psicologa specializzata nell’assistenza di malati terminali

ma non ce l’ho fatta

non ho retto allo strazio e ne sono stata travolta

ho visto morire praticamente tutti i miei pazienti

li prendevo in carico in occasione del loro ultimo ricovero e li accompagnavo fino alla destinazione finale

li vedevo morire sotto i miei occhi mentre parenti e familiari si tappavano gli occhi il naso e le orecchie per evitare di percepire la fine del congiunto

era mio dovere restare in campo per fronteggiare il trapasso di giovani e vecchi donne e bambini

la malattia non risparmia nessuno

la morte non porta rispetto

se a morire era un vecchio ai familiari non importava più che tanto ma per le persone giovani o per i bambini si straziavano tutti

il calvario dei familiari cominciava al momento della diagnosi e si arrestava bruscamente di fronte alla consapevolezza dell’ineluttabile

quando si era ormai vicini alla fine i parenti prendevano distanza dal dolore e cominciavano ad inventarsi comportamenti magici e neganti

di fronte al potere della morte ho visto molta gente regredire e mettere in atto sciocchi e inutili rituali

come se facessero la danza della pioggia

quasi tutti finivano per interpellare ciarlatani e fattucchiere per mettere a tacere una sofferenza che nessuno ormai sapeva più affrontare

era come se ad un certo punto i familiari non vedessero l’ora che il congiunto morisse per non assistere allo sfacelo del suo corpo e per evitare che il paziente si rendesse conto della morte imminente

dicevano

così loro si allontanavano dall’angoscia e io subentravo alla loro colpevole assenza cercando di sopperire a quella che ai miei occhi appariva come una grave carenza d’affetto di fronte all’evento cruciale

avevo scelto di occuparmi di quei moribondi perché non tolleravo che se n’andassero in solitudine

restavo per evitare di lasciarli morire da soli

per professione o per vocazione

non so

indubbiamente con irrefrenabile affetto

dal momento in cui mi piazzavo al capezzale del malato una forza gigantesca mi saliva lungo il corpo e non sentivo più la fame né avvertivo la stanchezza o il sonno

una fiamma mi nasceva dentro e si propagava fino al paziente unendomi a lui in modo misterioso

e parlavo

nella speranza di salvarlo parlavo in continuazione

non mi rendevo conto di essere intrisa di magia come i parenti che detestavo

con voce calma e serena solo occasionalmente rotta da un soffocato accenno di pianto parlavo e parlavo

ai bambini raccontavo interminabili favole anche dopo il loro ingresso nel coma irreversibile

ho visto malati agonizzanti piangere lacrime di commozione malgrado la loro totale assenza di coscienza

in quelle lunghe notti in cui non avvertivo né dolore né stanchezza ho visto accadere vicende miracolose

ma alla fine la morte atroce finiva sempre per trionfare ottenendo in ogni caso la sua inesorabile vittoria

a volte non percepivo più lo scorrere del tempo

una volta ero impegnata nell’assistenza di una ragazza di quindici anni malata di leucemia

alenka

avevo perso l’orientamento nello spazio e nel tempo accanto a quella creatura così delicata

poi mi venne riferito di essere rimasta sveglia e senza cibo accanto a lei per molte ore dopo il suo decesso

la dolce alenka mi morì tra le braccia

era entrata in coma al venerdì sera e al martedì pomeriggio ebbe la forza di socchiudere gli occhi per guardarmi

le avevo parlato a lungo

e quel tentativo di comunicarmi la sua gratitudine mi commosse al punto che non potei resistere alla tentazione di abbracciarla e tenerla stretta sussurrandole parole dolcissime

poi spirò

malgrado il mio amore alenka morì alle otto di sera

e continuai a tenerla stretta a lungo dopo il suo trapasso

ormai sentivo che mi apparteneva

non riuscivo più a staccarmi da quel viso innocente che mi aveva ascoltato in silenzio per giorni e notti

ininterrottamente

quando le infermiere mi convinsero a lasciarla andare crollai esausta

e come al solito andai a casa per ubriacarmi

dopo ogni morte il mio dolore per la perdita si faceva più lacerante

io li amavo tanto eppure li perdevo

con crudeltà

mi attaccavo alla magica speranza di salvarli per poi cadere gradualmente in un terrifico abisso d’angoscia

ad ogni nuovo caso mi ripromettevo di lavorare unicamente con motivazione professionale ma ben presto perdevo i confini per sentirmi colare a picco nel baratro che separa la vita dalla morte

e mettevo scioccamente me stessa in quella voragine nel tentativo di colmarla

all’inizio cercavo di resistere all’amore ma poi venivo regolarmente colta di sorpresa e quando lo avvertivo dentro di me era ormai troppo tardi

il legame era già diventato troppo forte per potermene liberare e cominciavo così a sprofondare in caduta libera

arrivava un momento in cui lo spazio mentale diventava insufficiente per contenere me stessa e il paziente

allora annullavo me stessa e il malato diventava l’unica cosa al mondo che contasse

in genere mi svegliavo dal torpore pochi istanti dopo la morte del paziente ma a volte come nel caso di alenka mi capitava di restare avvinghiata a quei corpi senza vita per ore e ore

e quando mi riprendevo dalla fatica la mia testa era pervasa dalla speranza di aver restituito la vita

ma immancabilmente mi ritrovavo col morto tra le braccia

bastava questo per farmi sentire inutile e per cadere in una sorta di vergogna mentre una crudele lucidità gradualmente si riappropriava della mia mente

tu non servi più

mi diceva una voce

e quando arrivavano le infermiere per comporre e ricoprire il corpo io restavo vuota e priva di dignità e di ogni significato

provando ad alzarmi dalla sedia sulla quale ero rimasta seduta per ore o per giorni sentivo tutta la rigidità delle membra e lo scricchiolio delle articolazioni

mi è anche capitato di invidiare il morto

lui ormai non soffriva più

così cominciava il mio calvario che proseguiva poi a casa davanti a stupidi programmi televisivi col bicchiere di grappa tra le mani e la testa inebetita dalla ferita

*

oggi in reparto una donna è morta di parto

non è una cosa che accade di frequente ai giorni nostri

ma qualche volta capita ancora

si chiamava natascia

io non mi ero affezionata a quella donna perché non era una mia paziente

e poi io non sono più un dottore

ora sono un’inserviente

è vero che per perdere l’abitudine alla morte ho impiegato molto tempo

ero troppo abituata a riconoscere il rischio di vita per fingere di non accorgermi di niente

anche qui nel reparto di maternità mi è capitato di percepire la morte con molto anticipo sui sanitari

ho fatto fatica per togliermi di dosso i sensori della morte

ma ormai mi occupo di pulizie da tanto tempo

e passo sempre con minore interesse accanto alla sofferenza e alla morte

ma questa volta è stata la paziente ad accorgersi di me e mi ha scelta per confidarmi il suo terribile segreto

è morta nella disperazione

violentata e ospitata in un ospedale di un paese ufficialmente nemico è stata scambiata per una vittima dei cattivi

ha creduto di essere stata accettata e curata per questo motivo pensando che non avrebbe potuto sopravvivere se in ospedale avessero conosciuto la verità

ha scelto di dare alla luce una figlia non cercata

ha donato se stessa alla sua creatura con grande amore e dignità

e io che ormai ho superato i cinquant’anni da tempo e non ho più niente e nessuno all’infuori del secchio della scopa e della bottiglia sono capitata di nuovo in questo vortice di tragedia

e di nuovo io soltanto conosco la verità

quella creatura neonata che per tutti è la figlia di una perseguitata in realtà è stata partorita da una donna violentata da buoni e bravi giovani europei bianchi

semmai dovessi averla in affido le direi tutta la verità sulla sua mamma eroica che ha saputo tacere la propria identità etnica perché convinta di essere ospite di un paese nemico

ha protetto la propria bimba da tutti i potenziali nemici come accade ormai solo in natura tra gli animali

la luce soffusa conferisce al reparto un’atmosfera surreale e al suo bianco letto vuoto e soffice come un nido un’aria di dolce tristezza

fuori è primavera

natascia è morta di parto

non mi ero mai accorta di quanto fosse bello avere un’amica

anche se non abbiamo mai parlato concretamente io e natascia abbiamo saputo tanto l’una dell’altra

mia piccola anima infelice

stasera mi piacerebbe andare in bicicletta con te o nuotare a corpo libero nell’aria calda della notte e poi passeggiare sulla spiaggia

a piedi nudi

stella maris stara mati

nonna

era bello il tuo sapore quando c’eri

lahko noc

felice notte piccola mia

improvvisamente ricordo la mia lingua madre

slava come la tua

la mia nonna slovena la tua serba

e tu mia preziosa amica anche tu ormai partita per sempre

balliamo sotto le stelle danziamo alla luce fioca del paradiso lontano

questo seme che tu hai maturato m’impregna la pancia e la mente

non mi lascia libera di odiare

tu mi spingi all’affetto

di nuovo

ne sono contrariata

ma preparerò tisane di frutta

per te e per me

e per la nostra piccina

non affogherò più nella bottiglia

non è necessario essere felici per vivere di nuovo

ora sono in attesa

sapessi almeno se è vero

non ti offendere lo so che esisti ancora da qualche parte

se non altro nella figlia che hai amato

dal mare tu l’hai fatta sorgere ricoperta di tanta spuma

no

è nata da te che sei la sua mamma e dal tuo dolore

ma anche dalla mia pancia

ti sono amica e spero di esserle mamma

la farò crescere per lasciarle invadere il mio giardino

se glielo impedissi essa m’invaderebbe la coscienza

mi fa sentire strana questa vita fatta di attesa non richiesta

ma ormai voluta

la bimba cattura i miei pensieri ma mi chiedo fino a che punto essa sia veramente mia

ormai avevo trovato la mia dimensione

nessuno avverte la lama cocente della mia umiliazione

i miei amori sono tutti morti e sepolti nella fossa comune della mia ottusa onnipotenza

essere felice per forza nel sentire le cosce fremere fino a sciogliersi

essere mamma senza mamma e senza padre

senza un lui

senza amore

volevo farlo da tanto tempo ma non avevo mai osato desiderarlo veramente fino in fondo

che sapore ha la maternità per una lesbica

io mi ero limitata a fantasticarla per ravvivare un’adolescenza sbiadita e assai diversa

oggi la realizzo senza merito

e mi sento come se avessi guadagnato l’anima e conquistato la libertà

quella in cui non serve alcuna dignità

solo la dedizione

e di quella un tempo ne avevo da vendere

lascio che gli eventi facciano il loro corso perché mi sono abituata a non fare più troppo caso a come mi sento

forse sto guarendo dalla mia onnipotenza

in fondo mi dà ancora un po’ fastidio passare per una tipa strana che pulisce lava lavora stira fa la spesa e cucina

ma che vita lunare la bellezza del matrimonio la dolcezza dell’amore la fantasia dell’attesa

orrore amore morte e dolore

onore

non sono la schiava del dovere e l’unica cosa che voglio è curarla

si apre con lei la speranza e il desiderio di dare ancora qualcosa

a lei che è l’unica cosa viva

e che forse sarà mia

mi è stata data da te che sei la sua mamma

forse sono felice

ma allora perché sto piangendo lacrime amare e mi sento così estranea in questa bella sala di un ospedale che ormai sento ostile

vedo intorno mamme vere che hanno dato il loro corpo all’amore

da bambina mi chiedevo che cosa contasse di più per me

avvertii tanta confusione quando indossai la mia prima minigonna accorgendomi con stupore che amavo essere guardata più dalle ragazze che dai ragazzi

provavo vergogna mentre mi eccitavo

forse per questa ragione non ho mai avuto un uomo

questo nodo in gola non mi abbandona mai accidenti

sono legata alla piccina

ormai la sento nella pancia e nella testa

nel cuore

lei è il frutto della barbarie più crudele

ma anche dell’amore più puro e delicato

io non voglio farle violenza

voglio amarla senza ucciderla

con i miei pazienti non ci sono riuscita

qualcuno vuole ancora credere che tu sia rimasta vittima dei cattivi invece dopo la tua morte ho scoperto che non eri quella che tutti credevano ma semplicemente una donna violentata e seviziata da bravi maschi di buona volontà

soltanto io conosco la verità

violentata da giovani europei bianchi e di buona famiglia che si trovavano nei territori a seguito di una missione umanitaria

il gruppo di ragazzi è uscito una sera per fare delle bravate girando per le strade con delle ragazze locali

tu eri la più giovane e generosamente sei rimasta a festeggiare con loro fino all’alba

ti avevano fatto credere che la guerra era finita e con essa le ostilità erano cessate da ogni parte

avevano bevuto per tutta la notte e al mattino ormai ubriachi avevano trovato riparo in un rudere bombardato

volevano approfittare di te e tu ne rimanesti stupita

credevi che loro ti fossero amici

così ti hanno picchiata e violentata poi ti hanno soccorsa fingendo di averti trovata per strada svenuta e ferita

pensavano che saresti morta presto perciò ti consegnarono ai soldati

da questi fosti trasferita da noi per le cure

non eri dunque un soldato ma hai ugualmente combattuto la tua brutta guerra

hai sempre taciuto la tua appartenenza nazionale perché temevi di essere linciata

hai trovato però la forza di scrivere tutto sul tuo diario che mi hai consegnato prima di entrare in sala operatoria

non avevamo mai scambiato una parola eppure tra noi era nato un legame tanto intenso

poco prima di andare a morire mi hai attirato con i tuoi occhi imploranti e furtivamente mi hai messo nella mano un libricino accompagnando il gesto con una sola piccola frase appena sussurrata

molim te

ti supplico

ho pianto lacrime amarissime su quelle paginette scritte nella tua lingua

messaggi d’amore per tutti nonostante l’inganno e la tortura

nessuna traccia di risentimento nelle tue parole

tutta la grandezza dell’universo racchiusa in una piccola creatura bionda piena di coraggio e d’umiltà

non si può sopprimere una vita solo perché mi hanno fatto del male nel generarla

hai scritto

grazie natascia

grazie per avermi insegnato il vero altruismo dopo lunghi anni di onnipotente narcisismo

grazie di cuore

sei stata la paziente dalla quale ho imparato di più

e sei diventata la mia prima e unica amica

ora vorrei tenere la piccina per chiamarla alenka come la ragazza che mi morì tanti anni fa di leucemia

per farla vivere

ma non so se me la daranno

perché sono un’omosessuale sola diventata un’inserviente alcolista e inaffidabile

*

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5 Responses to Mario Trovarelli – Psicologia Naturalista * Scrittura espressiva, un racconto (2)

  1. Loreley Tordi ha detto:

    I suoi racconti sono struggenti. E mi lasciano un sapore dolce-amaro. Molte volte mi fanno piangere di commozione. Ho pensato che tutto ciò che provo sia legato al fatto che i suoi racconti trasmettono vissuti molto reali, concreti. Non c’è “l’infiorettare per rendere più carino”. I contenuti di cui racconta e I suoi personaggi prendono vita nella mia mente in modo forte e concreto. vicini alla vita reale. quella vita che è appunto dolce e amara allo stesso tempo… ed è proprio questo che volevo chiederle: i personaggi di cui racconta, sono personaggi che lei ha conosciuto realmente o che sono frutto della sua fantasia e creatività?

    • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

      *

      ottima domanda Loreley.

      i miei racconti sono tutti “veri” perché raccontano fatti e avvenimenti che accadono laggiù, nella vita profonda della mente. e laggiù nel profondo, siamo tutti più uguali!

      perciò fantasia o realtà non sono più distinguibili, perché non si tratta di verificare un’improbabile oggettività, ma di vivere sentimenti, contenuti, legami, rapporti, situazioni che viviamo tutti… maschi, femmine, giovani, vecchi e bambini… tutti attraversiamo le cose che racconto. perciò posso affermare che i miei racconti sono autentici.
      anche se la sequenza degli episodi non è quasi mai quella riscontrabile nell’esistenza di un’unica persona… ma in tante, numerose vite!

      *

      • Loreley Tordi ha detto:

        … dunque è per questo che sento questa vicinanza con i personaggi. Perché ciò di cui racconta non riguarda solo loro ma anche il mio sentire profondo… grazie per la risposta… molto interessante … In ogni caso, il suo modo di dare forma a questi contenuti profondi è sorprendente… questa è la scrittura espressiva? E’ dar forma ai contenuti profondi? Lei è contadino, pilota, scrittore, psicoanalista con una vita intensa e molto varia. Molte vite in un’unica vita… lei parla di scrittura espressiva come se fosse accessibile a tutti, anche a chi conduce una vita più modesta e a chi non possiede grandi risorse intellettive… la mia domanda è questa: potenzialmente siamo tutti scrittori? o per essere scrittori bisogna avere delle doti o dei “talenti” particolari? e ancora… quanto un percorso di analisi personale può favorire lo scrivere espressivo e in che modo? … grazie ancora

        • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

          *

          sì. siamo tutti scrittori.
          perché tutti noi viviamo e incidiamo l’universo con la nostra esistenza.

          quanto ad esprimere la nostra vita sulla carta… citerò me stesso:

          “Quando scrivo mi limito semplicemente a seguire (per dirla col piccolo principe) le immagini percepite dal cuore, più che dagli occhi. Io non faccio altro che raccontare quello che spontaneamente emerge dal fondo del lago liberando la mente dai due cerberi che in genere ne impediscono la libera espressione: la paura e la vergogna.

          Lasciando che la mano segua un percorso naturale, in accordo con i sentimenti che le immagini le suggeriscono, scrivo in modo nitido, senza ostacoli.

          Ne esce una narrazione che attinge da profondità immani, in grado di portarsi dietro tutto il dolore che giace laggiù, sul fondo del lago. E ancora più giù.

          La scuola insegna a scrivere partendo da una serie interminabile e complicata di regole. Seguendo un orientamento innaturale. Cominciando dall’alto invece che dal basso. Dal prodotto finito piuttosto che dalle attività generatrici!

          Con la modalità espressiva esce sempre un testo più lungo rispetto a quello che poi verrà utilizzato. Scrivo in grande quantità e velocemente. Dopo la prima stesura veloce faccio qualche piccolo aggiustamento. Mai una nuova stesura. La fragranza originale tenderebbe a svanire.

          Scrivo in rapidità per evitare l’interferenza del pensiero. Lascio che siano gli strati profondi della mente ad emergere e a fissarsi sulla carta. Un modo del tutto originale. Lo stesso che insegno nel mio laboratorio di scrittura alle persone che hanno voglia di imparare.

          Agli insegnanti della lingua italiana
          non piacerà il mio modo di scrivere e di insegnare a scrivere. Me ne rendo
          conto. La mia punteggiatura, i miei accapo, le parole che utilizzo, tutte cose
          un po’ particolari. A volte strane. Ma quello che scrivo, si può esserne certi,
          corrisponde sempre a quello che sento, che provo dentro, e che penso.

          Quando il bambino va a scuola sa già parlare, conosce una modalità espressiva che ha imparato in anni di contatto con la famiglia e con l’ambiente. La scuola tende a distruggere questo patrimonio espressivo, costringendo i bambini ad adattare i loro contenuti mentali (pensieri e affetti) alle regole della grammatica, della sintassi, dello stile, dell’opportunità, delle convenzioni, ecc. Il bambino viene così “educato”, cioè allontanato da se stesso e indotto ad aderire a un rigido
          programma di standardizzazione.

          Tutti devono avvicinarsi, il più possibile, ad una sorta di barra livellatrice. Né troppo in su né troppo in giù.
          Viene ricercata la banale, avvilente, mortificante normalità! Una normalità
          statistica.

          Il bambino è portatore di ricchezza interiore e di rivoluzione creativa. Valori che dovrebbero essere incoraggiati a sbocciare e fiorire liberamente. A patto che questa esplosione di fantasia avvenga in un giardino protetto dall’autorità e dall’affetto dei genitori e degli insegnanti.

          Il patrimonio infantile è preziosissimo, proprio perché portatore di innovazione creativa rispetto ad altre generazioni.

          Non dovrebbe essere distrutto, né umiliato!

          La scrittura espressiva avviene di getto. Lasciando che la mano compia il gesto grafico, senza consentire al pensiero d’interferire. In genere accadrà che il testo iniziale risulti molto grezzo, incomprensibile, sconnesso e scorretto. Ma è solo l’inizio. Non si deve cedere alla tentazione di rileggere, di tornare indietro per correggere.

          Si deve solo andare avanti, procedere in modo fluido. Continuare a scrivere tutto, tutto quello che viene in punta di penna (o di tastiera). Sempre avanti.

          Gradualmente, se avremo seguito questa modalità, la scrittura si farà sempre più chiara e comprensibile. Perché
          i contenuti grezzi della mente affioreranno e incontreranno spontaneamente e
          liberamente le regole della comunicazione. Quelle che abbiamo già
          interiorizzato da bambini interagendo con i genitori, con la nonna, con gli
          animali. E con il vento.

          Allora, proprio come accade quando spilliamo il vino nuovo dalla botte, che dapprima ci apparirà torbido e scuro come feccia, ma che vedremo presto raffinarsi via via che continueremo a spillarlo, fino a stupirci del suo profumo e della sua limpidezza cristallina, così accadrà anche per il nostro testo. Perché diventerà gradualmente, e compiutamente, quello che volevamo che fosse. Un dipinto chiaro, congruo, lucido. Ma anche appassionante, coinvolgente. Perché conserverà tutto il
          profumo del fondo.

          Bene. Ma com’è possibile scrivere senza pensare? E quando avremo la necessità di scrivere a tema, come potremo dimenticare il titolo dell’argomento che dovrebbe guidarci nella congruenza?
          Queste solo alcune delle domande che i miei allievi mi rivolgono di solito.
          Ebbene, se consideriamo la mente come un magazzino di oggetti discreti, già
          confezionati e distinguibili tra loro (accantonati là e stivati chissà da chi…
          e chissà quando…), allora avremo a che fare con una concezione assai riduttiva,
          un tipo di mente capace unicamente di esprimere il solo pensiero cosciente. Una
          mente che farà apparire per magia ora questo ora quell’oggetto, solo orientandovi
          sopra il pennello luminoso del pensiero cosciente.

          Un errore grave ma frequente, considerando la struttura della mente e il suo modo di funzionare!

          Le cose non sono già pronte e disponili all’uso, né tanto meno sono in attesa di essere tirate fuori e utilizzate.
          Non esiste nessun ripostiglio che conservi le cose pronte. La mente è una
          fucina di forze e di colori in continuo movimento, in grado di creare sul
          momento tutto quello che serve, nel qui ed ora dello spazio e del tempo.

          Lo fa configurandosi e riconfigurandosi meravigliosamente, ogni volta che riceve uno stimolo.

          Insomma, ogni oggetto confezionato, ogni prodotto finito, non è altro che una figura dinamicamente assunta dalla mente in un determinato istante, e colta come un fotogramma ricco di particolari e sfumature.

          La mente si plasma e si modella, il nostro “Io operativo” coglie l’attimo e ne fotografa le infinite immagini che essa può assumere. Questi “oggetti”, prodotti in modo creativo, saranno utilizzabili nella realtà in modo progettuale e potente. La riconfigurazione mentale, dunque, avviene ogni volta che l’ambiente (interno o esterno) pone una richiesta. Gli oggetti mentali, dunque, altro non sono che istantanee colte nel corso delle operazioni plastiche di modellamento e rimodellamento della stessa mente.

          Attimi e momenti di una sintesi poderosa e magica, granelli di pulviscolo disseminati dal plasma caldo e fluido delle profondità affettive.

          A volte abbiamo la tentazione di considerarli definitivi, ma al pari dei mandala, altro non sono che disegni di sabbia colorata destinati a rompersi e disfarsi ogni volta, per essere ricostruiti e rifatti in modi sempre diversi e nuovi.

          Con meravigliosa creatività.

          Quando la mente possiede una buona struttura, ed è libera, elastica, aperta… è anche potente, e può confezionare ogni genere di oggetti in pochi istanti.

          La conoscenza, di fatto, non consiste
          nell’accumulo di nozioni e abilità, ma nella capacità di inventare quello che
          ti serve nel momento in cui ti serve, cioè al manifestarsi del bisogno.

          Così, rispondendo all’incalzare di bisogni affettivi intensi, con gli occhi socchiusi, e da “stupido ubriaco”, evitando per quanto possibile di pensare, la fucina della mia mente si è messa in movimento, si è organizzata e riconfigurata. Gli esiti di queste ristrutturazioni sono gli oggetti-racconto che ho raccolto in Nudità.

          I racconti più belli li scrivo così.
          Quando scrivo non so mai che cosa verrà fuori. Lascio fare alla mano. O meglio
          alle mani, visto che utilizzo il computer.

          E’ come suonare il piano a orecchio. All’inizio vengono fuori note confuse e scoordinate, ma lentamente emergono sinfonie commoventi. Che mi fanno piangere mentre le scrivo, e mi fanno piangere ogni volta che le rileggo.”

          *