Il mio stile di scrittura? Per essere sincero non mi sono mai orientato verso questo o quello stile. Non saprei farlo.
Quando scrivo mi limito semplicemente a seguire (per dirla col piccolo principe) le immagini percepite dal cuore, più che dagli occhi. Io non faccio altro che raccontare quello che spontaneamente emerge dal fondo del lago liberando la mente dai due cerberi che in genere ne impediscono la libera espressione: la paura e la vergogna.
Lasciando che la mano segua un percorso naturale, in accordo con i sentimenti che le immagini le suggeriscono, scrivo in modo nitido, senza ostacoli.
Ne esce una narrazione che attinge da profondità immani, in grado di portarsi dietro tutto il dolore che giace laggiù, sul fondo del lago. E ancora più giù.
E’ vero… guardando i miei racconti appare la vulnerabilità dei viventi. E’ proprio così. Ma questo accade proprio perché ho capito che la forza non è un valore assoluto. Essa è il risultato della fatica che si compie nell’attraversare e nel superare il dolore. Allora lascio che i contenuti teneri, che sono i più dolorosi, escano liberamente. E li attraverso per sbucare dalla parte opposta. Verso la luce.
Ciascuno dei miei racconti, in questa accezione, testimonia di un processo di guarigione. Esso consiste nell’attraversamento di contenuti dolorosi al fine di neutralizzarne la virulenza e impadronirsi della loro forza. Quanto più riusciremo in questa operazione, tanto più il dolore verrà trasformato in capacità di tollerare carichi sempre più grandi. Un po’ come succede quando si va in palestra. Più si soffre nel fare esercizi, più se ne esce rinforzati e capaci di sopportare sforzi sempre maggiori.
In un’ottica di questo tipo la vulnerabilità è una condizione iniziale dell’uomo. Quella infantile. Essa è caratterizzata dalla formazione dei primi contenuti mentali. Quelli che con la crescita poi tenderanno ad essere abbandonati sul fondo.
Se i genitori sapranno accompagnare i loro bambini verso il recupero e l’attraversamento di queste “primizie”, piuttosto che cedere alla rinuncia, il mondo avrà persone sempre più forti.
La scuola insegna a scrivere partendo da una serie interminabile e complicata di regole. Seguendo un orientamento innaturale. Cominciando dall’alto invece che dal basso. Dal prodotto finito piuttosto che dalle attività generatrici!
Con la modalità espressiva esce sempre un testo più lungo rispetto a quello che poi verrà utilizzato. Scrivo in grande quantità e velocemente. Dopo la prima stesura veloce faccio qualche piccolo aggiustamento. Mai una nuova stesura. La fragranza originale tenderebbe a svanire.
Scrivo in rapidità per evitare l’interferenza del pensiero. Lascio che siano gli strati profondi della mente ad emergere e a fissarsi sulla carta. Un modo del tutto originale. Lo stesso che insegno nel mio laboratorio di scrittura alle persone che hanno voglia di imparare.
Agli insegnanti della lingua italiana non piacerà il mio modo di scrivere e di insegnare a scrivere. Me ne rendo conto. La mia punteggiatura, i miei accapo, le parole che utilizzo, tutte cose un po’ particolari. A volte strane. Ma quello che scrivo, si può esserne certi, corrisponde sempre a quello che sento, che provo dentro, e che penso.
Quando il bambino va a scuola sa già parlare, conosce una modalità espressiva che ha imparato in anni di contatto con la famiglia e con l’ambiente. La scuola tende a distruggere questo patrimonio espressivo, costringendo i bambini ad adattare i loro contenuti mentali (pensieri e affetti) alle regole della grammatica, della sintassi, dello stile, dell’opportunità, delle convenzioni, ecc. Il bambino viene così “educato”, cioè allontanato da se stesso e indotto ad aderire a un rigido programma di standardizzazione.
Tutti devono avvicinarsi, il più possibile, ad una sorta di barra livellatrice. Né troppo in su né troppo in giù. Viene ricercata la banale, avvilente, mortificante normalità! Una normalità statistica.
Il bambino è portatore di ricchezza interiore e di rivoluzione creativa. Valori che dovrebbero essere incoraggiati a sbocciare e fiorire liberamente. A patto che questa esplosione di fantasia avvenga in un giardino protetto dall’autorità e dall’affetto dei genitori e degli insegnanti.
Il patrimonio infantile è preziosissimo, proprio perché portatore di innovazione creativa rispetto ad altre generazioni.
Non dovrebbe essere distrutto, né umiliato!
Assistiamo invece ad un sistematico richiamo del bambino all’ordine, a rimproveri e punizioni solenni ogni volta che devia, o non si attiene, o non risponde al sistema, o non si appiattisce. Il risultato è che a scuola nessuno impara a scrivere. E non mi riferisco solo alla capacità di scrivere romanzi e racconti, ma anche alla possibilità di fare un buon tema, stendere una relazione, tenere un diario, buttare giù dei pensieri, comporre una lettera, ecc.
Quante persone denunciano un vero e proprio panico di fronte al foglio bianco! E quanti, rileggendo il testo appena scritto, lo accartocciano e lo gettano via con amarezza perché non corrisponde a quello che avrebbero voluto scrivere…
Ecco. Queste sono solo alcune delle incongruenze tra contenuti della mente, e processi mentali capaci di creazione. La mente è in grado di generare oggetti finiti, talvolta molto raffinati. Come ad esempio una scrittura comprensibile e congrua, capace di porgere con semplicità e chiarezza il contenuto che vuole esporre. Ma dev’essere lasciata libera.
La scrittura espressiva avviene di getto. Lasciando che la mano compia il gesto grafico, senza consentire al pensiero d’interferire. In genere accadrà che il testo iniziale risulti molto grezzo, incomprensibile, sconnesso e scorretto. Ma è solo l’inizio. Non si deve cedere alla tentazione di rileggere, di tornare indietro per correggere.
Si deve solo andare avanti, procedere in modo fluido. Continuare a scrivere tutto, tutto quello che viene in punta di penna (o di tastiera). Sempre avanti.
Gradualmente, se avremo seguito questa modalità, la scrittura si farà sempre più chiara e comprensibile. Perché i contenuti grezzi della mente affioreranno e incontreranno spontaneamente e liberamente le regole della comunicazione. Quelle che abbiamo già interiorizzato da bambini interagendo con i genitori, con la nonna, con gli animali. E con il vento.
Allora, proprio come accade quando spilliamo il vino nuovo dalla botte, che dapprima ci apparirà torbido e scuro come feccia, ma che vedremo presto raffinarsi via via che continueremo a spillarlo, fino a stupirci del suo profumo e della sua limpidezza cristallina, così accadrà anche per il nostro testo. Perché diventerà gradualmente, e compiutamente, quello che volevamo che fosse. Un dipinto chiaro, congruo, lucido. Ma anche appassionante, coinvolgente. Perché conserverà tutto il profumo del fondo.
Bene. Ma com’è possibile scrivere senza pensare? E quando avremo la necessità di scrivere a tema, come potremo dimenticare il titolo dell’argomento che dovrebbe guidarci nella congruenza? Queste solo alcune delle domande che i miei allievi mi rivolgono di solito. Ebbene, se consideriamo la mente come un magazzino di oggetti discreti, già confezionati e distinguibili tra loro (accantonati là e stivati chissà da chi… e chissà quando…), allora avremo a che fare con una concezione assai riduttiva, un tipo di mente capace unicamente di esprimere il solo pensiero cosciente. Una mente che farà apparire per magia ora questo ora quell’oggetto, solo orientandovi sopra il pennello luminoso del pensiero cosciente.
Un errore grave ma frequente, considerando la struttura della mente e il suo modo di funzionare!
Le cose non sono già pronte e disponili all’uso, né tanto meno sono in attesa di essere tirate fuori e utilizzate. Non esiste nessun ripostiglio che conservi le cose pronte. La mente è una fucina di forze e di colori in continuo movimento, in grado di creare sul momento tutto quello che serve, nel qui ed ora dello spazio e del tempo.
Lo fa configurandosi e riconfigurandosi meravigliosamente, ogni volta che riceve uno stimolo.
Insomma, ogni oggetto confezionato, ogni prodotto finito, non è altro che una figura dinamicamente assunta dalla mente in un determinato istante, e colta come un fotogramma ricco di particolari e sfumature.
La mente si plasma e si modella, il nostro “Io operativo” coglie l’attimo e ne fotografa le infinite immagini che essa può assumere. Questi “oggetti”, prodotti in modo creativo, saranno utilizzabili nella realtà in modo progettuale e potente. La riconfigurazione mentale, dunque, avviene ogni volta che l’ambiente (interno o esterno) pone una richiesta. Gli oggetti mentali, dunque, altro non sono che istantanee colte nel corso delle operazioni plastiche di modellamento e rimodellamento della stessa mente.
Attimi e momenti di una sintesi poderosa e magica, granelli di pulviscolo disseminati dal plasma caldo e fluido delle profondità affettive.
A volte abbiamo la tentazione di considerarli definitivi, ma al pari dei mandala, altro non sono che disegni di sabbia colorata destinati a rompersi e disfarsi ogni volta, per essere ricostruiti e rifatti in modi sempre diversi e nuovi.
Con meravigliosa creatività.
Nel mio libro “Nudità”, che è una raccolta di racconti, sono presenti ventidue racconti. Testi che ho scritto negli ultimi dieci o dodici anni. Ma ciascuno di essi è stato scritto in pochissimo tempo. Da un minimo di dieci a un massimo di venti minuti.
Quando la mente possiede una buona struttura, ed è libera, elastica, aperta… è anche potente, e può confezionare ogni genere di oggetti in pochi istanti.
La conoscenza, di fatto, non consiste nell’accumulo di nozioni e abilità, ma nella capacità di inventare quello che ti serve nel momento in cui ti serve, cioè al manifestarsi del bisogno.
Così, rispondendo all’incalzare di bisogni affettivi intensi, con gli occhi socchiusi, e da “stupido ubriaco”, evitando per quanto possibile di pensare, la fucina della mia mente si è messa in movimento, si è organizzata e riconfigurata. Gli esiti di queste ristrutturazioni sono gli oggetti-racconto che ho raccolto in Nudità.
I racconti più belli li scrivo così. Quando scrivo non so mai che cosa verrà fuori. Lascio fare alla mano. O meglio alle mani, visto che utilizzo il computer.
E’ come suonare il piano a orecchio. All’inizio vengono fuori note confuse e scoordinate, ma lentamente emergono sinfonie commoventi. Che mi fanno piangere mentre le scrivo, e mi fanno piangere ogni volta che le rileggo.