Mario Trovarelli – Psicologia Naturalista * Incongruenza e psicosi

 

l’incongruenza impazzisce, nel senso che induce malattia.

l’incongruenza è un messaggio che contiene aspetti contraddittori con significati opposti.

il verbo impazzire usato al transitivo (impazzire qualcuno) l’ho coniato qualche anno fa, in occasione dell’incontro con una signora che impazziva sistematicamente marito e figli. 
perché lei stessa era stata impazzita a sua volta 
da mamma e papà e nonna
 col supporto attivo di fratello e altri famigliari.

c’è una sottile ma significativa differenza tra le due forme del verbo impazzire:

. impazzire per qualche motivo (forma classica, intransitiva);

. impazzire qualcuno (neologismo originale, forma transitiva).

utilizzo la seconda forma (quella transitiva) quando chi viene impazzito intrattiene una relazione significativa con un soggetto che attivamente attua un processo di psicotizzazione. un’attività mentale e relazionale che prevede l’uso sistematico di tutti gli strumenti sadici di cui dispone (il più micidiale dei quali è l’iniezione proiettiva) per colpire le persone vicine (quelli che lo amano).

questi soggetti sono difficili da gestire, a volte impossibili, perché non riescono a contenere la sofferenza personale all’interno della propria persona, e la scagliano contro chi per loro nutre un affetto (configurando in tal modo un capro espiatorio).

 

 

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17 Responses to Mario Trovarelli – Psicologia Naturalista * Incongruenza e psicosi

  1. Loreley Tordi ha detto:

    Trovo interessante l’uso che lei fa del verbo impazzire. Lei distingue “impazzire per qualche motivo” e “impazzire qualcuno” … la pazzia come risultato di messaggi incongruenti ….. iniezione proiettiva … ti inietto una parte di me che non riesco a riconoscere e poi tento di distruggerti … sei tu che non funzioni, la colpa è tua del mio star male… trovo nella persona che mi ama (e quindi vulnerabile) una “ragione” della mia incapacità di gestire contenuti che non sono in grado di rendere coerenti dentro di me… le parti staccate e separate che non si riesce ad unificare in una rappresentazione unitaria…l’unica coerenza si ottiene nella distruzione dell’altro … è così? e si può dire che la mente nel momento in cui si trova ripetutamente dinnanzi a informazioni ambigue che non riesce a decodificare in modo univoco… “si spacca”? lei parla di strumenti sadici di cui il più micidiale è l’iniezione proiettiva… quali sono gli altri? grazie.

    • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

      *

      domanda complessa. ci vorrebbe un compendio di psicopatologia per rispondere…

      mi limiterò a dire che ogni meccanismo proiettivo, che tende a individuare l’interlocutore come portatore dei problemi che non possono essere riconosciuti come propri, è destinato a fallire. perché la persona che proietta non percepisce il problema nella corretta collocazione, la propria mente! e quindi non se ne potrà occupare né sottoporlo a cura.

      il paradigma è questo: “perché mai dovrei curarmi se il problema è lui, lei… loro?”

      quanto a meccani simili destinati a distruggere la relazione affettiva… ce ne sono tanti.

      ne citerò alcuni.

      oltre alla costellazione proiettiva, nelle sue svariate forme, abbiamo tutte quelle configurazioni che non consentono alla persona di contenere la propria sofferenza e sentono il bisogno di coinvolgere l’altro nella propria sofferenza.
      in fondo quella persona sta chiedendo aiuto… ma lo fa attaccando. quindi non riceverà sostegno né comprensione.

      vale la pena ricordare che le possibili vie di deflusso di un nucleo di dolore non risolto sono tre:
      . la via mentale (psicopatologia)
      . la via somatica (malattia biologica)
      . la via relazionale (spargimento d’angoscia e distruzione delle relazioni affettive)

      ricorderò infine che la malattia andrebbe sempre considerata come un tentativo di autocura.
      inefficace quanto si vuole, pur tuttavia uno spiraglio utile, ammesso che vi sia la possibilità di trattarla da un punto di vista terapeutico.

      madre natura, Dio per i credenti, ha inventato la malattia anche per questo, per segnalarci che dentro di noi c’è qualcosa che non va. e che sarebbe opportuno prenderci cura di noi.
      ma nel mondo caotico di oggi, in cui viviamo in perenne anestesia nel tentativo di annullare e distruggere il dolore, invece di lasciarlo fluire per comprenderne il significato, l’angoscia tende ad accentuarsi e la malattia a dilagare.

      *

      • Loreley Tordi ha detto:

        Grazie per la risposta. E’ molto preciso e chiaro nel fornire le spiegazioni e questo mi consente di comprendere bene e di chiarire i miei dubbi.. la distinzione che fa riguardo le tre vie di manifestazioni di un nucleo di dolore non risolto mi chiarisce molte cose. approfitto di questa sede per chiederle ancora una cosa: per nucleo di dolore non risolto si intende dolore che non è stato metalizzato? cioè la persona che prova quello stato di malessere (dolore) non riesce a renderlo pensabile, cioè ad attribuirgli un significato e dunque rappresentarlo a livello cosciente? E’ corretto se dico così? grazie ancora

        • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

          *

          un grumo di dolore non simbolizzato… non affrontato… non trasformato in pensieri e parole percorribili… tende a trasformarsi in angoscia.
          e l’angoscia perde il contatto con la causa che aveva provocato il dolore originario.

          l’angoscia devasta e non conduce a soluzione. sottrae risorse mentali e non restituisce alcun sollievo, anzi accentua le difficoltà e sclerotizza i processi mentali rendendoli rigidi e inutili.

          per sciogliere l’angoscia è necessario fare un percorso a ritroso e ritrovare il dolore originario. a partire dal quale sarà poi facile rintracciare le cause che l’avevano provocato.

          solo così ci si può riappropriare del proprio territorio mentale e percorrerlo liberamente in tutti i suoi spazi.
          altrimenti, la mente sarà sempre più ristretta, asfittica, e terrifica.

          una mente così produrrà tanta sofferenza e non potrà mai essere creativa.

          *

  2. Alessandra Iurincich ha detto:

    Cos’è l’iniezione proiettiva?

    • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

      *

      è un meccanismo di difesa dell’Io molto regredito, quindi molto grave, per cui la persona proiettante inietta dentro una persona ricevente i propri contenuti malati e poi la odia e la teme per il veleno che si porta dentro.

      *

      • Giuliana Ocovich ha detto:

        Ed è possibile diventare consapevoli di questo meccanismo e riconoscerlo su se stessi? E come?

        • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

          *

          l’acquisizione di consapevolezza è sempre una battaglia dura.
          quando sono presenti meccanismi così gravi la battaglia diventa impari.
          anche perché il terapeuta stesso viene coinvolto nei meccanismi patologici del paziente. e questo coinvolgimento spesso rende vano ogni tentativo di cura.

          una collaborazione tra farmaci e terapia psicologica potrebbe sortire qualche effetto… ammesso che il paziente riesca ad accettare qualche occasione di cura.

          da soli o con un amico al bar… no!

          *

      • Alessandra Iurincich ha detto:

        Quello che si fa iniettare i contenuti mentali malati, è malato a sua volta?

        • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

          *

          la proiezione, in particolare l’iniezione proiettiva, di cui ci stiamo occupando, è un meccanismo inconscio. sia per chi attua il meccanismo (soggetto della proiezione) sia per chi lo riceve (oggetto della proiezione).
          per cui è improprio dire “Quello che si fa iniettare i contenuti mentali malati…”.

          il soggetto non sa che cosa gli succede, sa solo che il suo interlocutore è molto cattivo ed è capace di procurargli un malessere intenso e gratuito.
          l’oggetto, dal suo canto, percepisce un legame molto intenso e sofferente col soggetto ma non capisce perché non riesca a separarsene.

          l’iniezione proiettiva è una difesa psicotica grave che caratterizza chi ne è portatore, indipendentemente da chi la riceve. l’interlocutore perciò, chiunque sia, ne verrà investito.

          trattandosi di un meccanismo che passa al di sotto del livello di coscienza, la gestione dei contenuti ricevuti dipende dalla relazione che c’è tra i due attori.

          una persona che ha scelto un portatore grave di psicosi, molto probabilmente ha egli stesso problemi nell’area mentale destinata alla scelta del partner. una questione molto studiata in psicoanalisi.

          per cui difficilmente riuscirà a gestire i contenuti ricevuti per iniezione proiettiva.

          anche un terapeuta, chiamato a occuparsi di un paziente di questo tipo, sarà dunque investito da contenuti proiettati. ma si ipotizza che questi, a differenza di altri interlocutori, sia in grado di utilizzare il materiale ricevuto a fini curativi, trasformando i contenuti grezzi in rappresentazioni e interpretazioni utili al paziente.

          *

  3. Loreley Tordi ha detto:

    in attesa di una sua risposta aggiungo una considerazione. ci sto pensando da un po’ sull’utilizzo che fa del verbo impazzire. trovo interessante come utilizzando il verbo come fa lei il punto a cui si rivolge l’attenzione non è più il punto d’arrivo ma il punto d’origine della malattia mentale…. in questo modo la dinamica diventa più chiara e si coglie immediatamente la relazione tra due individui invece di considerare solo la persona presa singolarmente… (quella che impazzisce) … sottolineando l’aspetto relazionale della malattia mentale …

    • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

      *

      naturalmente questa è solo una delle possibili modalità per interpretare la malattia.
      ve ne sono altre.

      ma lei ha colto l’aspetto più interessante di questo contributo relazionale: la presa in carico del punto di partenza (l’origine schizofrenogena), piuttosto che del punto d’arrivo (il malato stesso).

      impazzire qualcuno, in forma transitiva, diventa ancora più interessante se la relazione alla quale pensiamo è quella primaria (madre-bambino).

      in questo caso (esiste una vasta letteratura a riguardo) il problema viene visto e considerato sin dall’origine!

      *

  4. Martina Gregoris ha detto:

    ecco perchè ti ho scelto. Ti ringrazio Mario, e trovo estremamente interessante e nutriente la parte dedicata ai commenti e alle risposte ai commenti. E grazie Loreley e Alessandra. Ho avuto esperienza di colui/colei che impazzisce, in entrambe le forme. Lo sfalsamento dei piani è terrificante, la quasi impalpabilità delle dinamiche difensive fa dire cose che non hanno dimora, nè in cielo nè in terra, ma la trovano nello spazio separato e asfittico, dipinto come la più maestosa reggia… grazie, ancora. Alla prossima riflessione..

    • Mario Trovarelli Mario Trovarelli ha detto:

      *

      grazie a te Martina per aver letto le mie riflessioni. e per averle commentate.

      *

    • Alessandra Iurincich ha detto:

      ” fa dire cose che non hanno dimora, nè in cielo nè in terra, ma la
      trovano nello spazio separato e asfittico, dipinto come la più maestosa
      reggia…” infatti, l’adulto non cresciuto, si santifica, quasi, e crede che il suo mondo sia il migliore possibile. Ha bisogno di credere di essere speciale e non si rende conto degli spazi ristretti e spaccati in cui vive la sua mente. Ho capito giusto?