Mario Balsamo: io, me e mia madre

Data: novembre 21, 2016

In: TOP, CINEMA E DINTORNI, CULTURA,

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INTERVISTA ESCLUSIVA AL REGISTA MARIO BALSAMO

-di Tommaso Tronconi-

Abbiamo intervistato Mario Balsamo, uno dei più noti e apprezzati registi documentaristi italiani. Dopo Noi non siamo come James Bond del 2012, è tornato quest’anno nei cinema con Mia madre fa l’attrice, dove condivide la scena con la mamma Silvana Stefanini. Ecco cosa ci ha raccontato in bilico tra cinema e vita privata, essere regista di se stesso e di una mamma ingombrante.

Mario Balsamo e Silvana Stefanini

Mario Balsamo e Silvana Stefanini

Come nasce l’idea del tuo ultimo film, Mia madre fa l’attrice? Te lo chiedo perché il tuo film si apre con un filmino girato nel 1996. È un’idea lunga vent’anni?

Sì e ha avuto un periodo di gestazione così lungo perché è stato complesso gestire psicologicamente ed emotivamente un film con mia madre e su mia madre, donna dalla personalità titanica. Ho dovuto aspettare che gli anni l’ammorbidissero giusto quel pochino per poterla mettere davanti a una telecamera, con me vicino.

Come è stato dirigere tua madre sul set? Nel senso, è stato difficile scindere la madre e l’attrice? E lei come ha reagito a questo tuo “esperimento”?

Non so bene chi ha diretto chi! Scherzo… È stato impegnativo, sempre a livello emotivo, ma mia madre di fronte alla telecamera ci sa stare benissimo, sempre che la si lasci improvvisare: ed è andata così. Per cui io producevo delle ‘messe in situazione’, dopo il ciak partivo con le provocazioni su alcuni argomenti ma dove lei avrebbe portato la scena e gli argomenti nessuno lo sapeva, forse nemmeno lei! Per il resto l’assunto del film (visibilmente confermato) è che non esiste in Silvana Stefanini alcuna distinzione possibile tra l’attrice e la madre (attenzione: questa non è una critica). E la sua reazione al film è stata brillante: progressivamente ha chiesto sempre di più lei luoghi in cui proseguire l’on the road e nuove scene da girare!

Una scena del film "Mia madre fa l'attrice"

Una scena del film “Mia madre fa l’attrice”

Come è stato, invece, scindere te stesso tra attore e regista?

Faticosissimo. Quando entravo in scena, dopo la riunione registica con la troupe, dovevo cacciare il cineasta e fare spazio all’interprete di… me stesso. Uno sdoppiamento non facile quando si tratta di temi reali che riguardano la propria storia e la propria vita. E poi a volte vivevo condizioni di ‘imbambolamento’ di fronte all’imprevedibilità di una donna (che sa molto di cinema) rimasta ancora intatta. Per fortuna queste mie paralisi espressive a molti hanno ricordato una citazione della fissità di Buster Keaton, mio adorato punto di riferimento. E quindi, ben venga!

Come distribuzione in sala Mia madre fa l’attrice segue Noi non siamo come James Bond. Anche se in alcuni frangenti ci sono delle piccole interferenze tra i due. Possiamo dire che suonano un po’ come un dittico? E hai in ponte di realizzare un “terzo capitolo”?

Li ho concepiti in effetti come un dittico passibile di divenire una trilogia. Nascono da un humus comune che è la rivoluzione generata in me dal mio tumore e quindi anche dalla necessità di affrontare storie in sospensione nella mia vita, sempre però assicurandomi che avessero una loro portata universale. Però per il terzo capitolo (se mai ci sarà!) bisogna aspettare! Eh, sì…

Silvana Stefanini

Silvana Stefanini

In entrambi i film si ha un po’ l’impressione di essere di fronte a delle auto-sedute di psicoanalisi. È stata dura guardarsi dentro tramite il cinema? Ti senti diverso dopo averli girati?

Oltre all’aspetto della narrazione cinematografica, la perlustrazione interiore è stato un elemento molto forte, sempre però in relazione con la forma e la sostanza ‘cinema’. Inscindibile. Credo che dopo qualsiasi opera creativa ci si senta diversi, certo: quando i temi sono così intimi i cambiamenti sono ancora più visibili e veloci.

Tu sei regista documentarista da sempre. Sei anche docente di ideazione e regia documentaria. Il cinema è per te “documento” prima che racconto? Anche se tu attivi un “gioco di specchi” che coinvolge la finzione, credi che il cinema sia primariamente atto di registrazione della realtà?

Non c’è atto di registrazione della realtà, c’è invece operazione continua di trasformazione e trasfigurazione delle realtà, e una delle realtà è proprio l’autore, che si mette, come nel mio caso, costantemente in gioco. Nell’intrecciarsi di piani rientra anche la confusione, per me poetica, tra il vecchio binomio realtà/finzione (che ormai dovrebbe essere superato parlando di diversi, paritetici, gradi del reale).

Pensi che taglierai mai il “cordone ombelicale” del documentario passando del tutto al cinema di finzione?

Non vedo questa contrapposizione, piuttosto un fatto di piatti di una bilancia. Potranno tendere di più verso la ‘finzione’ (come sta succedendo) ma senza mai abbandonare le sane interferenze di una realtà impertinente e ingombrante, seppur fascinosissima: esattamente come mia madre!

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