Luca Attanasio e Kindu: l’Africa assassina

di Stefano Fabbri – L’uccisione dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, del carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci  e del loro autista Mustapha Milambo pone mille interrogativi, a cominciare dal ruolo dell’Italia nell’area centroafricana per proseguire con quelli relativi ad una situazione che non riesce a trovare stabilità e su chi trae vantaggio da questo. Ma riporta alla mente anche un altro episodio che ha segnato, proprio 60 anni fa, e anche in quel caso col sangue, il tentativo italiano di intervenire sul piano umanitario.

La strage di Kindu

La strage di Kindu, la località congolese in cui 13 aviatori italiani che con due velivoli avevano trasportato viveri e materiali per conto delle Nazioni Unite, furono trucidati, vittime dello scontro allora in atto nella regione che aveva portato pochi mesi prima all’uccisione del presidente congolese Patrice Lumumba e che aveva come protagonista un signore della guerra, il leader della provincia secessionista del Katanga, Moisè Tshombè. La loro era la prima missione umanitaria internazionale dell’Italia nel dopoguerra: la ricostruzione ufficiale si basò sul fatto che i 13 militari fossero stati scambiati dai rivoltosi inferociti per mercenari o per soldati europei in missione bellica.

L’attentato all’ambasciatore italiano Attanasio

Ed anche questa volta l’ambasciatore Attanasio guidava la piccola colonna di due veicoli del Programma alimentare mondiale impegnato negli aiuti alle popolazioni della zona. Un’analogia impressionante. Ma non basta.  Allora, 60 anni fa, all’origine dello scontro i ricchi giacimenti minerari della zona. E c’è da scommettere con buona possibilità di successo che ancora oggi, dopo decenni, le tensioni, le rivalità e gli scontri armati in atto siano da legare a quel quadro, ancora oggi immutato. Così come viene da chiedersi chi, anche al di fuori dell’area, possa interessare per gli stessi motivi economici una situazione di instabilità oppure porsi la domanda con quali armi, e fornite da chi, da decenni si combatta nella zona: le stesse, probabilmente, utilizzate per uccidere il diplomatico, il carabiniere e l’autista.

Miliziani e Jihadisti

Sebbene non sia ancora chiaro da quale arma siano stati esplosi i colpi mortali, se da quelle dei sequestratori, una tra le tante milizie che si contendono il controllo del territorio del Nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo, tra cui quelle di etnia Hutu sulle quali gravano le responsabilità degli eccidi in Ruanda, o se quelle impugnate dai rangers governativi che stavano tendando di sventare un rapimento in piena regola nel quale i tre, insieme ad altre persone, erano stati preso in ostaggio.

Del giovane diplomatico italiano, della sua disperata fiducia nella possibilità di contribuire a cambiare qualcosa in questo angolo, seppure enorme, del continente africano, resta un’ultima immagine: lui ferito a morte tenuto tra le braccia da un soccorritore congolese che lo tiene con la testa sul petto e le mani strette tra le sue. Una deposizione in piena regola, il cui senso di pietà, nel cuore dell’Africa, rimanda a quello dei dipinti di Caravaggio e di Raffaello

Gli interessi Internazionali

In più c’è la lucida e drammatica, ma comprovata dall’esperienza del cronista, di Domenico Quirico che ha ricordato come sulla sponda dei grandi laghi della regione stiano sventolando le bandiere nere del califfato e come il Gruppo armato delle forze democratiche alleate, nato in Uganda, alleato dei tagliagole dell’Isis, sia uno dei players in questo territorio in cui rame, uranio e coltan così conteso dalle grandi aziende di informatica, al quale è quantomeno improbabile che le grandi potenze si siano limitate e si limitino a gettare uno sguardo distratto, saranno il tesoro nascosto dei gruppi del terrorismo mondiale.

FacebooktwitterlinkedinFacebooktwitterlinkedin

I commenti sono chiusi.