– di Claudia Porrello-
Con Suffragette la regista Sarah Gavron ha portato al cinema la battaglia delle donne per il riconoscimento dei propri diritti nella Gran Bretagna degli anni ’20. LEGGI L’ARTICOLO DI GIULIA CARUSO SUL MOVIMENTO DELLE SUFFRAGETTE
Londra, 1912. Maud Watts fa la lavandaia da quando ha sette anni, in un luogo di lavoro poco sicuro, dominato dalle prepotenze del proprietario, ed è sposata a un uomo che la maltratta. Trovatasi per caso nel mezzo di una sommossa organizzata dalle suffragette, dopo l’iniziale riluttanza aderisce al movimento, nella speranza di ottenere quella libertà che a lei, come a tante altre, è sempre stata negata. Ma la lotta è difficile e dolorosa.
Suffragette è un film che tocca per la prima volta il tema dei pari diritti, e lo fa evitando facili retoriche e altrettanto scontate frasi pompose e ad effetto; al contrario, cerca di presentare gli eventi quanto più sobriamente e fedelmente possibile, e il risultato finale convince e piace, al punto che gli si perdonano facilmente alcuni scivoloni di ritmo e qualche volta di troppo in cui l’elemento materno – usato per sottolineare il compito di child bearer/carer, unica caratteristica con cui le donne di allora venivano identificate – viene sottolineato. Ma come detto, a fronte di un lavoro davvero ben fatto, sono sottigliezze assai facilmente perdonabili.
Attesissimo alla prima italiana in occasione dello scorso Torino Film Festival, è una pellicola che ci spiega, in parte romanzando e in parte ricostruendo fedelmente i fatti, una stagione della lunga lotta delle donne britanniche per il voto femminile, e il suffragio universale senza discriminazione alcuna, tantomeno di sesso. Di contro però, pur realizzato con ottimo mestiere e ottimi attori, anzi attrici, non riesce a evitare il rischio dello schematismo e dell’effetto didascalia. Dove a contare, più che il modo e i mezzi, è il messaggio (politico). Comunque utile abbastanza, perché riporta alla luce una fase del primo Novecento abbastanza dimenticata. Le autrici (la sceneggiatrice e la regista) evitano il puro film politico inventandosi una protagonista intorno a cui far muovere e ballare personaggi, fatti, eventi storici. La presa di conscienza della protagonista Maud (Carey Mulligan) è un po’ troppo repentina e non benissimo motivata, e facciamo fatica a credere come la giovane, timida e impolitica, si trasformi in una tosta guerrigliera dei diritti delle donne.
Il film non si decide mai tra patetico racconto privato e affrescone collettivo, e forse meglio sarebbe stato andare sul secondo, sulle fase più calda e dura della lotta delle suffragette. Carey Mulligan è ormai l’attrice perfetta per questi ruoli, non poteva mancare Helena Bonham-Carter, e Meryl Streep appare quale leader del movimento, nei panni della leggendaria Emmeline Pankhurst. Quest’ultima, spesso menzionata ma quasi mai inquadrata, fatto salvo per una scena cruciale – girata magistralmente – in cui, in una rarissima apparizione dall’alto di un balcone davanti ad una folla di sostenitrici – e sostenitori – inneggia a stringere i denti e continuare a lottare, nonostante le tante avversità. Questa sua arringa dal balcone con quella voce e quell’accento è l’ennesima sua prova di istrionico mimetismo della Streep. È quindi non un caso se troviamo qualcuno come lei in questo ruolo, che ovviamente sa catturare al meglio la figura della Pankhurst nonostante la ridotta quantità di screen time a sua disposizione.
Il ruolo di Carey Mulligan sembra quasi messo lì apposta, per prendere lo spettatore per mano e condurlo – catapultarlo, si potrebbe quasi dire – non solo nella storia, ma nelle sporche e nebbiose strade della Londra di inizio secolo scorso. La scelta del verbo ben si addice infatti a Maud, figura molto reticente sin dall’inizio del film a farsi coinvolgere in qualsivoglia diatriba, ancor meno di tipo politico. Come marito di Carey Mulligan compare Ben Whishaw: infaticabile, lo si è visto negli ultimi mesi in almeno quattro o cinque film. A proposito di uomini, vale la pena spendere qualche parola al riguardo poiché il film si dimostra molto intelligente nel modo in cui li presenta, nonostante le diverse prese di posizione proposte. Per la maggior parte comunque abbiamo a che fare con personaggi che sono più o meno solidali alla causa delle suffragette, e che, seppur la maggior parte delle volte rimangono statici e non passano all’azione, tuttavia collaborano all’affresco sociale dipinto nella pellicola, evitando così il rischio alla sceneggiatrice e alla regista di incappare in critiche – davvero fuori luogo – per una supposta parzialità.