-di Paolo Pellegrini –
Qualche idea per un giretto “bistronomique” da non svenarsi? Non difficile, a un patto: chi legge accetti, magari accolga, magari provi. Non ha senso sentirsi dire “eh ma qui manca”, “eh ma non sei stato”, “eh ma come non conosci”, eh ma come di qua, e ma come di là… Idee, luoghi provati, luoghi cercati. In qualche caso anche luoghi cult, con due precisi paletti: niente stellati, soprattutto quelli che non si prenotano se non con precedenze o attese di mesi; niente etnici, lì ognuno fa come vuole, cerca quello che gli pare. FOTO
Soupe à l’oignon, certo. E poulet roti, magari. Di sicuro i primi sinonomi di Parigi a tavola, per la stragrande parte della folla che ogni tanto prende aerei treni macchine moto e chissà che altro per avventurarsi, per tuffarsi nella Ville Lumière. I primi, forse; non gli unici, spero.
Parigi a tavola. Eh, bell’affare. Per tutti i gusti, chi la vuole cotta e chi cruda, chi la vuole tradizionale chi moderna, chi la vuole rigorosa chi etnica e senza confini. Chi stellata e raffinata chi invece economica. Chi, magari, anche un pizzichino proprio italiana.
Qualche idea per un giretto “bistronomique” da non svenarsi? Non difficile, a un patto: chi legge accetti, magari accolga, magari provi. Non ha senso sentirsi dire “eh ma qui manca”, “eh ma non sei stato”, “eh ma come non conosci”, eh ma come di qua, e ma come di là… Idee, luoghi provati, luoghi cercati. In qualche caso anche luoghi cult, con due precisi paletti: niente stellati, soprattutto quelli che non si prenotano se non con precedenze o attese di mesi; niente etnici, lì ognuno fa come vuole, cerca quello che gli pare. Onestamente, cinesi e kebab li lascio proprio perdere.
BRASSERIE – Non lascio perdere, al contrario, le brasserie e i bistrot “da strada”, classici, con i tavoli sul marciapiede, con il chiasso e l’animazione tipici di quei locali. Acchiappaturisti, direte; beh, ribatto, in qualche circostanza vale la pena lasciarsi acchiappare. Come da Paul Bert, nell’omonima via dell’11°, tra Bastille e Place des Nations. Camerierina bruttina ma simpatica e svelta, in un attimo seri servito,
pâté en croute per cominciare, un buon Bordeaux al calice senza classement, finale pressoché incomparabile perché da Paul Bert si mangia il miglior Paris Brest (dolce a ciambella che ricorda una ruota da bici, omaggio alla più epica delle antiche sfide en vélo…) di tutta la Ville; come accade in molti casi, c’è anche un’appendice poco distante, Le Six de Paul Bert, cucina un tantino più creativa. La moda del “doppio” è diffusa, la ritrovi anche al Comptoir du Relais, siamo al Carrefour de l’Odéon, insomma Quartier Latin zona St. Germain des Prés: ben trafficato, ma il servizio è gentilissimo e rapido. E un “oeuf mayo”, l’uovo alla maionese, davvero da sballo, nelle più affidabili top ten dei migliori di Parigi. Vini al calice più che decorosi, bella carne (ottima tranche de larde Béarnaise rôtie aux olives noires), ottimi dolci; accanto, l’inferno più scatenato del mondo intorno a prosciutti, salami, appetizers d’ogni genere, gastronomia raffinata e vini al calice, tutto scritto sulle lavagne: è l’inferno dell’Avant Comptoir, nemmeno una sedia, coltellate per farsi servire. Ma luogo “cult”, e tutto sommato divertente da morire.
Una scommessa: quanti di voi sono stati all’Ile St. Louis, appena dietro Notre Dame? Pochi? Male! Luogo bello, silenzioso ma di buon movimento, bei palazzi, begli scorci, bei negozi, buon mangiare, non per nulla c’è Tastevin, non per nulla c’è la Tour d’Argent appena lì di fronte. Consiglio una sosta, ancora chiassosa ma divertente, appena si passa il ponte, alla Chaumière en l’Ile, ottima soupe è l’oignon (eccola là…), ottimo poulet, buone birre, ambiente elettrico e vivacissimo. (A due passi un’altra super-chicca, ma d’altro genere, e ne parliamo nel capitolo dedicato). Come, per cambiare completamente zona, al Khédive di place Victor Hugo, proprio in faccia alla splendida basilica-cattedrale di St. Dénis, necropoli dei re di Francia (ma imparerete bene cosa pensino davvero i “cugini” delle due reines italiennes, Caterina et Maria des Medicis…) e soprattutto culla del gotico francese, hai detto poco.
ITALIANO – Eh lo so, la tentazione è dura. Uno fa certi propositi, no l’italiano questa volta no, tanto non sanno fare, ma lascia perdere… poi però ci ricasca. E se non sa dove cascare, rischia di farsi male. Anche perché siamo vedovi di un altro “cult”, il Caffè dei Cioppi, minuscola enclave di veri sapori italici, soprattutto sudisti: Fabrizio Ferrara però promette che in due anni il Caffè rinascerà “più bello e più superbo che pria”, e intanto ci titilla le papille con la pizza a taglio della Pizzeria dei Cioppi (da Macioppi, il cognome dell’altra metà della mela…), giusto a due passi dal vecchio Caffè, in rue Trousseau, ancora 11°, non lontano da Bastille ma verso Ménilmontant, da lontano c’è odore di Belleville,
di Malaussène. E di Père Lachaise, certo. E in quella zona il Caffè ha lanciato un seme: perché il suo cuoco è andato a lavorare a La Dispensa, piccola épicerie-charcuterie al numero 9 di rue Taylor , pochissimo cucinato e tanti salumi e formaggi e altre ghiottonerie made in Italy, ma tutto davvero buonissimi. E ancora nel segno delle ghiottonerie, con poca cucina ma tanto gusto, proprio al 159 di Faubourg St. Antoine, storica sede del Caffè dei Cioppi, ecco ancora Italia, per meglio dire Sardegna, perché è la ventisettenne Stefania Melis ad aprire Capucine, localino mini mini ma davvero bellino e gustoso.
ESPERIENZE – Sì, però. Vabbene brasserie, vabbene non svenarsi. Ma insomma, che cos’è un tour bistronomique di Parigi senza mettere il naso tra le stelle, anche lasciando perdere l’imprenotabile Septime, la costosissima Ambroisie (però che fascino, place des Vosges…), il controverso Epicure, l’inarrivabile Pavillon Ledoyen (menu degustazione a 400 euro), Le Cinq elegantissimo al Four Seasons Georges V… E mettiamolo pure in casa degli stellati, il naso, ma senza scottarcelo. Prima idea. L’Atelier Etoile sugli Champs Elysées: in casa di Joel Robuchon, chapeau, una table dove a mezzogiorno si mangia, e bene, con 45 euro. In cucina, in brigata, un giovane cuoco fiorentino,
Antonio Badalamenti. Sentiremo parlare di lui. Seconda idea. Fatevi una passeggiata per rue du Faubourg St. Honoré, la Montenapo parigina, ma percorretela tutta, anche dopo l’Eliseo, anche dopo i negozi, anche quando comincia a salire verso la Concorde. Lassù, e sembra già un altro mondo, l’indirizzo più divertente per chi ama mangiare e bere a buon livello. Costosetto, i 90-100 euro sono da mettere in conto per una buona degustazione (però c’è un menu che parte da 44), ma udite: sia chiama 110 De Taillevent, ed è un po’ il… Calandrino o la Franceschetta o il Cibreino del più titolato Taillevent. Che di stelle ne ha due, mentre il 110 l’aveva ma vi ha rinunciato. Giusto per mantenersi più easy. Però chic, non c’è dubbio. Si mangia ai tavolini, pochi, o al comptoir, il bancone. Che è più bello: di fronte hai il “tesoro”, le 110 bottiglie (ecco il nome) ogni sera sotto azoto e disponibili al calice. Idea di un giovane italiano, Nicola Munari, che oggi nell’impero
Taillevent è il direttore della “cave”, un negozio che vale una visita: Nicola è gentilissimo, si diventa amici in un amen. Particolarità del locale, il menu che si vede bene in foto: un tot di piatti, non moltissimi, e per ognuno quattro vini al bicchiere. A prezzi tra i 7 e i 25 euro, che calano però se la porzione nel calice cala a metà dose; abbinamento libero, bevi cosa vuoi con quello che mangi, ma hai 110 proposte. Cucina di livello, ricordo ancora un delizioso pâté en croute, uno spettacolare vol-au-vent à la Financière, una splendida sphère chocolat noir… delizia!!!
Altro giro altra corsa, ci si sposta tra i palazzi eleganti del 7°. Dove, in Avenue de la Bourdonnais, ci si imbatte in un localino preziosissimo, Au Petit Sud-Ouest. Motivo della preziosità? Una infinita proposta di diversi e differenti e incredibili pâté: dove, insomma, il foie-gras è il cibo, ed è garantito dai maltrattamenti animali, e non è solo d’oca, e lo chef Christian, “figlio di contadini”, si diverte a cucinarvelo in mille modi, e c’è poi anche la boutique… Non lontano, altra intrusione in casa stellata. Rue St Dominique, Hotel Le Thoumieux. Già: dove Jean-Nicholas Piège cucina per un grande e celebre bistellato, appunto Thoumieux. Ma al primo piano. Perché giù, al piano strada, ecco la “Brasserie”. Virgolette d’obbligo: ambiente elegante, conto da 70 euro, menu da brasserie. Ma che cucina, che servizio. Che carta dei vini, magari un po’ meno al bicchiere, però la scelta non manca. In memoria un tenerissimo “Quasi de veau cuit tout dolcemente” e un altrettanto pregevolissimo “pigeonneau en feuille de chou”. E alla fine… e qui si accendono le battaglie, e conviene passare al capitolo successivo. L’ultimo, prometto.
I DOLCI – Già, perché si accende la guerra tra le fazioni della mille-feuilles. Che si chiama così, non millefoglie, non cambiamo la prospettiva, da noi nessuno la saprebbe riprodurre. A parte il fatto che da Thoumieux si gode, più che gusta, anche una ineffabile crème brûlée, tra le migliori sentite in una vita di assaggi (eh però mi ricordo al Forte… ma la Franca le farà ancora? E dove?), a parte questo, scoppia la guerra appunto delle mille-feuilles. Meglio quella di Thoumieux o quella di Jacques Genin? Nel dubbio, che fare? Provare! Allora, colazione (ma dopo le 11…) o merenda o quel che volete anche da Genin: attenzione, il negozio di rue Turenne (3°, vicino al Cirque d’Hiver), perché quello di rue Varenne non vende torte ma solo praline e le terribilmente celebri gélées, buono da morire. Come la mille-feuilles: non fate viaggi a vuoto, dopo una certa ora è difficile trovarne, meglio una telefonata; ma l’alternativa è un’altrettanto poco eguagliabile Tarte au citron… Ma già, tra due parentesi poc’anzi, cioè molt’anzi, vi avevo lasciato un sospesino. Ebbene, Ile St. Luois: a due passi due dalla Chaumière, un negozietto. La Maison du Chou. La Casa del Bigné: fatti da Manuel Martinez, premiato come “meilleur ouvrier de France”, e riempiti al momento da una sorridente biondina. Creme di cioccolato, pistacchio, vaniglia e altro. Da favola. Attenzione, rischio di eccedere.
FOTO DI PAOLO PELLEGRINI La Dispensa – foto La Dispensa (da profilo Fb)