La censura suona il Rock, 2

– di Maurizio Melani –

Censura parte seconda: squillino le trombe del giudizio in difesa della religione e dell’ordine costituito. Pollice verso per Dalla, Guccini, Gaber, De Andrè…i vizi di Vasco e l’ironia spiccia di Elio e Fabri Fibra.

 Nel primo appuntamento dedicato all’ars censoria, abbiamo parlato di artisti “classici” quali Renato Carosone, Domenico Modugno, Mina, Morandi e dei loro problemi legati a questioni di moralità. Erano gli anni ’50 e ’60. Credete che dopo andò meglio e che il ’68 spazzò via ogni conservatorismo in tema sessuale? Se siete curiosi, scopritelo insieme a noi.

Il nuovo decennio si aprì invece niente meno che col caso Lucio Battisti. La psichedelica “Dio mio no” fu bandita dalla Rai. Immorale anche solo immaginare una donna che si avvicina lasciva in pigiama e sentire un uomo gridare: “Cosa fai/Che cosa fai/Dio mio no”. Beato lui, verrebbe da dire. Era il 1971. Più comprensibili, nello stesso anno, i casi di Ron che parlava di pedofilia in “Il gigante e la bambina” descrivendo “Il gigante con la sua spada d’amore”, e Roberto Vecchioni che dovette modificare parti del testo originale di “Luci a San Siro” dove immaginava un produttore esortante: “Parli di sesso/Di coiti anali” e ancora “Scrivi Vecchioni/Fatti pagare/Fatti valere/Più lecchi il culo/E più ti dicono di sì”. Volgare o no, sacrosanta verità.

 

 

A niente valse al povero Nicola di Bari scegliersi un nome in odor di santità. “I giorni dell’arcobaleno”, vincitrice di Sanremo 1972, cambiò in corsa l’età della protagonista: ”Vivi la vita da donna importante/Perché a tredici anni hai già avuto un amante”. Che cosa? Scriviamo sedici e la chiudiamo qui. E Baglioni? Anche lui censurato? Certamente. “Questo piccolo grande amore” è stata dichiarata “canzone del secolo”. Ma “La paura e la voglia di essere nudi” non poteva passare in Rai e divenne la celebre “Voglia di essere soli”. Evviva il romanticismo. Altro anno, altra corsa. 1974. A Francesco De Gregori fu purgato il verso di “Niente da capire” che recitava “Però Giovanna io me la ricordo/Faceva dei giochetti da impazzire” con “Però Giovanna io me la ricordo bene/Ma è un ricordo che vale 10 lire”. Stessa sorte toccò a “Bella senz’anima” di Riccardo Cocciante. ”E quando a letto lui/Ti chiederà di più” diventò ”E quando un giorno lui”.

 

 

Letto: che tu sia maledetto. Anche per Loredana Bertè che a stento passò il vaglio per “Sei bellissima”, togliendolo dalla frase ”A letto mi diceva sempre/Non vali che un po’ più di niente”. Povera Loredana, già bacchettata per l’interno del primo Lp “Streaking” dove appariva completamente nuda. Nel 1977 rampognato Antonello Venditti che in “Compagno di scuola” ricordava ”Quella del primo banco/Che l’ha data a tutti meno che a te”. Meglio un più pudico ”Filava tutti meno che te”. Cinque anni dopo Antonello riuscì tranquillamente a cantare di Eleonora che, nuda sul divano, addirittura col naso ”tirava su”. Ma erano già gli anni ’80. E il Craxismo imperante (e il boom della cocaina) spazzò via gli ultimi freni di immoralità.

 

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 Loredana Bertè

E veniamo al religion affair. Il primo caso di musica leggera italiana censurata risale probabilmente al 1961. La canzone “La Novia” cantata da Tony Dallara dovette sostituire “Ave Maria” con “Anima mia”. E così sia. Poi arrivò Guccini o, per meglio dire, i Nomadi e l’Italia si spaccò di brutto. Il caso di “Dio è morto” fu paradossale. Anno domini 1965. Censurata dalla Rai, venne trasmessa niente meno che da Radio Vaticana dopo cortese spiegazione del testo. Per “Noi non ci saremo” non vi fu invece niente da fare. Quei “Manti di neve come un bianco sudario” non potevano ottenere il placet. Così come “Sono un simpatico” di Adriano Celentano, il cui incipit era “Ostia, mi gira le testa”. Ma ecco nuovamente il noto estremista Claudio Baglioni sul banco degli imputati. “Notte di Natale” venne giudicata blasfema e non trasmessa dalla Rai nel 1970. La frase incriminata? Niente meno che ”Dio tu stai nascendo e muoio io”. Blasfemia allo stato puro.

 

 

Più comprensibile che il brano “Gesù Bambino” di Lucio Dalla, per essere ammesso a Sanremo 1971, dovette cambiare nome in “4 marzo 1943” e modificare i versi ”Ancora adesso che bestemmio e bevo vino/Per ladri e puttane mi chiamo Gesù Bambino” in ”Ancora adesso che gioco a carte e bevo vino/Per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”. Censurati infine Edoardo Bennato per “Affacciati affacciati” (1975), i Decibel di Enrico Ruggeri per “Paparock” (1978) – il funzionario distorse la voce sul disco a tal punto da non poter distinguere le parole e appose la dicitura “testo censurato” – Vasco Rossi per “Portatemi Dio” (1983) e Simone Cristicchi, le cui canzoni “Prete” e “Bastonaci o Signore” non furono inserite nell’album “Fabbricante di sogni” (2005).

 

 

Per introdurre la censura politica, quale miglior esempio del grande Fabrizio De Andrè? Messo al bando per problemi morali, religiosi e appunto politici. En plein. Se “La guerra di Piero” ebbe la stessa sorte di “Dio è morto”, stracciata dalla Rai ma riabilitata da Radio Vaticana, “La città vecchia” dovette cambiare ”Quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia/Quella che di notte stabilisce il prezzo della tua gioia” con ”Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie/Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie”. Splendido però il caso di “Bocca di rosa”: non trasmettibile per questioni religiose, con l’accostamento “L’amore sacro e l’amor profano”, ma anche politiche per il verso “Spesso gli sbirri e i Carabinieri/Al loro dovere vengono meno/Ma non quando sono in alta uniforme/E l’accompagnarono al primo treno” che fu purgato in “Il cuore tenero non è una dote/Di cui sian colmi i Carabinieri/Ma quella volta a prendere il treno/L’accompagnarono malvolentieri”. Lode a te, o Faber.

 

 

Quando parliamo di politica, impossibile non citare un altro mostro sacro come Giorgio Gaber. Facili i panegirici post mortem. Ma prima? Prima, per il suo stile ironico e l’impegno politico, fu spesso criticato quando non bastonato. Vale la pena ricordare il brano “Il coscritto” (1965), storia di un ragazzo che si chiede cosa debba andare a fare sotto le armi, l’intero concept album “Sexus et politica” (bastava il titolo nel 1970) e la mitica “Io se fossi Dio”: considerata talmente pericolosa che nessun discografico volle pubblicarla. Ancora si respirava il triste vento del delitto Moro e il signor G. recitava il suo J’accuse: ”Per questo io/Se fossi dio/Avrei ancora il coraggio di dire che Aldo Moro/Insieme a tutta la Democrazia Cristiana/E’ il responsabile maggiore di trent’anni di cancrena italiana”. E non finiva qui, prendendosela con gli ”Untuosi Democristiani o i grigi compagni del PCI”   e con i Radicali (“La parola compagno non so chi te l’ha data/Ma in fondo ti sta bene/Tanto ormai è squalificata”) invitati a preparare un altro referendum ”Per sapere dov’è che i cani devono pisciare”. Tanto di cappello.

 

 

“Pugni chiusi” dei Ribelli, una delle hit più note del movimento beat italiano, era in origine intitolata “Pugno chiuso”. Il censore impose il plurale, chissà se per opportunità politica o perchè, parafrasando una vecchia reclame, ”Two pugn is megl che one”. Curioso il caso dei Giganti. Il disco “Terra in bocca”, una delle prime opere rock italiane, parlava troppo esplicitamente di mafia. Il funzionario pensò quindi di bloccarlo sia in radio che in tv perché, of course, “la mafia non esiste”. Nel 1977 Patty Pravo si fece punk e propose “Miss Italia” in cui si tuffava in una sequela di insulti niente meno che alla gloriosa Democrazia Cristiana. Bocciata. All’epoca chi toccava zio Giulio moriva. Se ne accorse anche Eugenio Finardi col celebre brano “La C.I.A.”: “La C.I.A. ci spia/E non vuole più andare via/La C.I.A. ci spia/Con l’aiuto della polizia/La C.I.A. ci spia/Con l’aiuto della Cristiana Democrazia”. Come si diceva un tempo: “E se non ti va bene, vai pure in Russia”.

 

 

Dopo aver censurato religione, politica, sesso e rock’n’roll, non restavano che droga e parolacce in una società in continuo e progressivo mutamento. Siamo infatti già a fine anni ’70 quando vizietti e volgarità cominciarono a farsi largo. Celeberrima e censurata nel 1978 “Una storia disonesta” di Stefano Rosso, citata anche da Elio. Vi ricordate ”Che bello/Due amici una chitarra e uno spinello“? Ma il vero protagonista del rock’n’roll style fu ovviamente Vasco Rossi. Pronti? Via. Anno 1980 “Colpa d’Alfredo”. Quel ”E’ andata a casa con il negro la troia” suscitò le ire delle femministe e non solo. L’anno dopo “Ieri ho sgozzato mio figlio” venne abbreviato su disco in “Ieri ho sg. mio figlio”. Inutili le scuse del cantautore al giudice: ”E’ stato uno sbaglio/Credevo fosse un coniglio”. Il 1982 è l’anno della sua prima volta a Sanremo. “Vado al massimo” in originale dichiarava “Voglio andare a vedere/Se come dice il droghiere/Laggiù masticano tutti/Foglie intere”. Rimandato. Al gabbio. Da rivedere la successiva partecipazione al Festival con “Vita spericolata”. Conservo ancora con orgoglio gli articoli del Movimento dei Genitori Cattolici che lo definivano “drogato”, “cretino” e “pessimo esempio per i giovani”. Ne è passata di strada, caro Blasco.

 

 

Per le parolacce vale la pena citare “L’avvelenata” di Guccini, cassata in toto, e il finale col bip di “Je so’ pazzo” di Pino Daniele a coprire il mitico “Nun ce scassate o cazz” (1979). Della serie membri & co, la censura fu invece benevola sia con quello di Zucchero (1987) – celebre il suo“Pippo che cazzo fai?” – che con Giorgio Faletti (1993), la cui “Minchia, signor tenente” fu tolta dal titolo ma mantenuta nel testo. Membri, derivati e “teste  di” apparivano infatti già in numerose canzoni, film e varietà insieme ad altre parole anche meno cortesi.

 

Negli anni ’90, come non citare Elio e le Storie Tese come campioni del politicamente scorretto? Nel 1991 la canzone “Cara ti amo” fu opportunamente modificata ma ugualmente censurata durante la diretta del concerto del Primo Maggio. L‘anno dopo stessa sorte toccò a “Gomito a gomito con l’aborto”. Nel 1999 fu la volgar dizione del sesso femminile e creare ulteriori problemi. Il singolo “La visione” fu rifiutato da tutte le radio tranne che da Deejay. La colpa? Il ritornello che insisteva nella “Visione della fica da vicino” e altre perle come ”Li mando affanculo e gli mostro lo scroto“. Che il “Parental advisory” sia con noi.

 

 

L’ultimo artista sempre sul filo è naturalmente Fabri Fibra. Celebri i bip in “Vip in trip” a coprire gli insulti nei confronti di artisti e colleghi. Su tutti la ex fiamma Laura Chiatti verso la quale il rapper, in stile Marzullesco, si domandava “Ma perché non te la fai?” e si rispondeva ”Perché ho paura di prendere l’Aids”. Pare che la Chiatti si sia fatta solo una risata.

 

Alla fine di questo viaggio, utile però riflettere sulla domanda che ai tempi si pose Edoardo Bennato: “Signor Censore da chi ricevi le istruzioni/Per compilare gli elenchi dei cattivi e buoni/Sei tu che dici/Quello che si deve o non si deve dire”. Amen.

 

LEGGETE IL PRIMO ARTICOLO DEDICATO ALLA CENSURA E AL ROCK

 

 

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