Kamal Mouzawak, dalla cucina del Libano al nuovo Umanesimo

– Raffaella Galamini –

“La cucina è cultura. Non mi interessa un approccio epicureo, non mi importa se una pietanza è buona o è cattiva. Il cibo esprime la tradizione, la storia. E’ uno strumento per comunicare emozioni”. Tradizione e storia, Kamal Mouzawak ripete con forza le due parole e subito capisci perché in Libano sia considerato più di un semplice chef.

Mouzawak è uno scrittore, un personaggio tv ma soprattutto il creatore di Souk El Tayeb, il mercato degli agricoltori che si tiene ogni sabato a Beirut e ha fondato il ristorante Tawlet per valorizzare la cucina tradizionale del suo paese. E’ quello che viene definito un food attivist, anche se, al primo impatto, ha l’aspetto di un gentiluomo d’altri tempi.

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Mouzawak è a Firenze, invitato dal Middle East Now Festival, la rassegna di cinema, arte e cultura contemporanea dal Medio Oriente organizzata da Roberto Ruta e Lisa Chiari. E’ qui per raccontare il Libano come sa fare lui: cucinando, riunendo persone di estrazioni diverse, sia culturale che religiosa, attorno a un tavolo. Un po’ come sapeva fare sua nonna, quando preparava da mangiare per la sua numerosa famiglia e tutti si sedevano uno accanto all’altro per condividere il pasto.“In Libano ci sono diverse religioni e idee politiche, ma c’è una cosa che ci accomuna tutti: abbiamo la stessa agricoltura, cuciniamo e mangiamo le stesse cose. Mi piace l’idea di riportare i libanesi su un terreno di incontro, e non di scontro. Insomma: Make Food, not War!”.

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Mouzawak è cresciuto in una famiglia di agricoltori a Jeita, 25 chilometri a nord di Beirut. La cucina, il cibo genuino sono nel suo Dna. Ha studiato graphic design ma è stata la realizzazione di una guida turistica ad avvicinarlo alla cucina, dopo aver girato in lungo e in largo il paese. Poi c’è stato un programma tv Sohtak bil Sahenn (La tua salute nel tuo piatto). Sono poi venuti la sua scuola di cucina e nel 2004 è nato il Souk El Tayeb. Un mercato dove si ritrovano gli agricoltori a vendere i loro prodotti. Nel 2007 è nato il ristorante Tawlet, all’ottavo posto della classifica di Monocle dei migliori ristoranti al mondo, dove sono le mamme, le nonne che si mettono ai fornelli per far conoscere le specialità regionali.

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Mouzawak è a Firenze per raccontare la sua esperienza e condividere la sua cucina con gli altri. In questo momento è impegnato a preparare una cena italo-libanese al Teatro del Sale. Lo chef Fabio Picchi lo ha accolto nel suo circolo culturale: Firenze incontrerà il Libano per una sera. Mouzawak non vuole però sentire parlare di cucina fusion: “io preparerò alcuni dei miei piatti, Picchi e lo staff del Teatro del Sale i loro. Cosa aspettarsi? Fatoush che dialoga con la panzanella, reshta che si confronta con la pasta e fagioli. Disporremo i nostri piatti sulla stessa tavola, in modo che ognuno possa scegliere cosa assaggiare. Ecco, per me più che di fusion si dovrebbe parlare di evoluzione. La cucina italiana non conosceva il pomodoro finché non è arrivato in Europa dalle Americhe. Con il tempo è diventato parte della vostra cucina”.

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Mouzawak ammette che l’approccio del collega italiano è quello che ama di più. “Per me è un sogno lavorare con lui. Basta guardare il suo ultimo libro Firenze. Passeggiate tra cibo e laica civiltà (Giunti Editore, 2015) per capire perché: non ci sono ricette, Picchi racconta le storie, le emozioni di una città, della sua terra. E’ un uomo che rispetto e sono onorato di essere qui”. Mouzawak ha un approccio diverso, per l’italiano medio, con la cucina. Un mondo del food dove non sono i masterchef e le Stelle Michelin a farla da padroni, dove contano i rapporti umani, le tradizioni culinarie che ancora resistono alla globalizzazione. “Se pensi all’Italia, pensi alla pasta, alla pizza. Sono elementi che ancora rappresentano il vostro paese, che ne rappresentano l’identità. Nella moda, nell’arte non è più così”. E aggiunge: “Il cibo serve a comunicare. Basta che ti serva il tabbouleh una volta perché tu capisca il Libano”. Il suo ristorante Tawlet non è quindi solo un luogo dove assaggiare i piatti della tradizione. E’ qualcosa di più. “Il mio è un progetto che si basa sugli esseri umani: voglio aiutare i piccoli agricoltori, i produttori indipendenti e i cuochi a migliorare quello che già fanno. Parlo di identità, radici, tradizioni”.

Per le stesse ragioni ha lanciato un progetto che vede le donne siriane e palestinesi, nei rispettivi campi profughi, cucinare i loro piatti tradizionali invece di ricevere quelli già pronti: “Un modo per esprimere la loro cultura, attraverso la cucina, ritrovare le loro origini e al tempo stesso guadagnare qualcosa”. Insomma l’uomo è al centro, per Mouzawak, come in un nuovo Rinascimento. “E’ una riflessione che stavo facendo in questi giorni a Firenze -conclude-. Pensavo a Leonardo e a Michelangelo e mi chiedevo: dov’è l’umanesimo oggi? Il Rinascimento è rinascita, ha segnato l’uscita da un periodo buio e, va ricordato, ha posto al centro l’uomo. Oggi credo sia nelle persone, negli esseri umani. Nelle loro storie. Io non sto cucinando per una cena stasera, sto cercando di suscitare l’attenzione di altre persone per condividere con loro qualcosa: le mie tradizioni, la mia cultura, la mia storia”. Scusate se è poco.

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