– di Claudio Ceschin – Da piccolo mio padre mi portava sulle scogliere vicine alla nostra città e mi insegnava una pesca davvero semplice e divertente, la pesca dell’aguglia.
L’aguglia è un pesce luccicante e smilzo simile ad uno spada in miniatura. Bastava una lenza con un pezzetto di candela attaccato all’amo ed un’esca lucente di sarda o di alice e poi, grazie al peso della cera, un lancio il più lontano possibile. Non si aspettava mai tanto, la cera spariva sott’acqua e poi sentivi lo strattone sulle dita. Che divertimento, che lotta.

L’aguglia non era apprezzata nelle nostre case, innanzitutto per il colore verde/azzurro delle sue carni e poi per il sapore aspro, difficile, non gradevolissimo.
Mezzo secolo fa, questo pesce si poteva trovare sui banchi delle pescherie, ma è da tanto tempo ormai che non compare più dalle nostre parti.
La passione per questo tipo di pesca sono poi riuscito a trasferirla, trent’anni dopo, a mio figlio ed ora lui sta facendo la stessa cosa con il suo.
Una decina di anni fa mi trovavo in vacanza sulla costa calabra, vicino a Tropea, e una sera, su specifica raccomandazione, io e mia moglie siamo andati a cena in un ristorante allora famoso. Mi dissero che qualche giorno prima c’era stata a cena Madonna con il suo staff, ad ogni modo un evento non fondamentale per la scelta.
Bellissimo posto, un arredamento di gran gusto, ottima ambientazione e un bravo musicista al pianoforte, arriva il menu: dopo antipasti e primi piatti, i piatti di pesce, vanto di tutte le vetrine e d’ispirazione degli chef. Spigole, orate, ricciole, molluschi, insomma, ogni ben di Dio, ma la mia attenzione venne attratta da una mia vecchia conoscenza, proprio lei l’aguglia imperiale su lardo di colonnata.
Ma come, cinquant’anni dopo eccola ancora qua, vestita anche lei elegantemente ed ammiccante, da non riconoscerla. Curiosità immediata, non me la sarei mai fatta scappare e così la ordinai subito per la modica cifra di 38 Euro per un “trancetto” dal profumo sospettosamente coinvolgente.
Poi si dice che l’abito non fa il monaco. Certo che lo fa.