I demoni e i mondi fantastici di Lamberto Bava

INTERVISTA ESCLUSIVA Lamberto Bava, recentemente premiato in occasione del Lucca Underground Festival, si racconta a Gianmarco Caselli, organizzatore del festival e nostro collaboratore.

-di Gianmarco Caselli –

Lamberto Bava, un nome che non ha bisogno di presentazioni, un nome che è entrato nella storia del cinema e che negli anni ’80 ci ha terrorizzato con film come Demoni e Demoni 2, per poi far sognare tantissimi bambini con la storia di Fantaghirò negli anni ’90. La vita di Bava è nata nel cinema, visto che non solo il padre, Mario Bava, ma addirittura il nonno lavoravano in questo campo. Conosciamolo meglio, grazie all’intervista che ha accettato di rilasciarci.

La sua vita è stata dedicata al fantastico: dall’horror, genere per il quale è maggiormente conosciuto, al fantasy, passando anche per altri generi come il giallo. Si è mai sentito estraneo alla dimensione quotidiana reale?

Sempre! Sto meglio lontano dalle persone, ho un mondo tutto mio. Sicuramente preferirei vivere in un mondo fantastico con folletti o vampiri.

Suo nonno e suo padre furono “artigiani” del cinema. Pensa che le nuove tecnologie abbiano in parte ucciso la poesia che sta dietro alla preparazione dei film?

Quello che dico io ogni tanto è che la televisione e internet vanno avanti, però esistono anche gli artigiani del computer. Chi inventa giochi e quant’altro, esiste sempre. Magari quando leggi i credits di un film di oggi leggi i nomi di 200 persone ma sono persone che lavorano davanti a un computer creando cose che da piccole diventano grandi. Il bello di oggi è che può lavorare uno in Nuova Zelanda, uno in Cina, uno a Los Angeles e poi metti i loro lavori tutti insieme. Questa è la straordinaria novità. Certo, quando ha cominciato mio nonno c’era da poco l’energia elettrica nelle città. Mio nonno da giovane studiava il moto perpetuo, quando ancora non esisteva lo stereo se lo era costruito da poco collegando vari altoparlanti a una radio tedesca, e suonava molto bene. Nel camerino di casa aveva un accrocco di legno e di vari ferri che era il primo modo per fare effetti in Italia. È cambiato tutto. Non è più artigianato inteso nel vecchio modo in cui lo intendevamo. Anche mio padre inventava le cose. Spesso mi chiedo cosa avrebbe potuto fare oggi con la computer grafica.

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C’è mai stato un tuo film che non sia stato compreso a pieno? Non dico che non sia piaciuto, ma di cui magari non sia stata percepita del tutto la poeticità.

L’ultimo film grande che ho fatto per il cinema, Ghost Son: tutti quelli che lo hanno visto ne hanno parlato sempre bene dicendo che è un piccolo tesoro, che è una storia meravigliosa e che è un gran bel film. Ma il successo di pubblico non l’ha avuto in nessuna parte del mondo per quanto l’abbiano visto in parecchi dappertutto. Un po’ perché ha avuto problemi di distribuzione, un po’ perché è uscito due anni dopo che era stato fatto.

Di recente ha scritto un romanzo, Solo per noi vampiri. Si è divertito a scrivere un testo diverso da una sceneggiatura? Pensa di trasporlo in un film?

Avevo scritto poche pagine… all’inizio del secolo! Poi un giorno prendo il computer e rivedo queste pagine. Erano pagine per un soggetto cinematografico e l’idea non mi dispiaceva. Continuai quindi a scriverla. Ma poco dopo mi sono accorto che non era un soggetto cinematografico: assomigliava di più a una storia scritta non per il cinema. E ho continuato a scrivere così, liberamente, senza neppure uno schema o una scaletta. Alla fine è venuto questo romanzo che è un “figlio” diverso. Ci tengo perché il cinema è sempre un lavoro di collaborazione, un disegno comune; il romanzo è una cosa tua.

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È risaputo che quando deve girare un film svolge un’indagine accurata dei luoghi dove si gireranno le scene. Ci sono ambienti che la ispirano particolarmente?

Quando fai un film scrivi una storia e a quel punto cerchi con l’immaginazione, guardando i posti del mondo, anche in foto e cartoline, tentando di capire come lo puoi fare. Faccio sempre uno scouting da solo e mi vado a vedere posti che per me possono essere evocativi per quella storia. Una volta che ho deciso il luogo ci vado con i direttori della fotografia e gli altri professionisti. Da quel momento si ricreano o ricercano ambienti secondo quell’impronta.

C’è una curiosità riguardo ai luoghi dei film?

L’idea di Desideria mi era nata facendo il presepio per mio figlio piccolo. Da una parte era tutto di neve, dall’altra tutto deserto. Da lì mi è nata l’idea di fare mezzo film in Marocco e l’altra metà in Repubblica Ceca.

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C’è un genere filmico che predilige girare? O un genere in cui non si è ancora cimentato ma che sarebbe interessato a sperimentare? Ha mai pensato alla fantascienza?

La fantascienza da noi è abbastanza difficile, è un problema legato ai mezzi. Io ho una certa età, per cui non credo di volermi cimentare con certe cose; mi piacciono le belle storie, poi le ambienti, le vivi, le vedi. Se dovessi rifare un Demoni o Fantaghirò sarebbero completamente diversi. Ma anche se li avessi girati due anni dopo. Come quando scrivi un libro: se scrivi la stessa storia dopo dieci anni, può essere la stessa ma solo per sommi capi. Basta passino due mesi e sei influenzato diversamente. Così è anche con gli attori: un anno dopo, con attori diversi, cambia tutto.

Quali sono state le maggiori soddisfazioni professionali che ha avuto? E quali quelle personali legate al suo mestiere che ricorda con maggior piacere?

Soddisfazioni professionali in Italia, finché facevi film horror di un certo tipo, c’erano. La mia soddisfazione professionale più recente è stata quando in America c’è stata una convetion l’anno scorso sul film Demoni per il suo trentennale. Ma la cosa che mi ha fatto più piacere in assoluto in tutta la mia vita è quando ho fatto il primo Fantaghirò. Un giorno andai a prendere mio figlio più piccolo a scuola: lui mi venne incontro con tutti i suoi amici all’uscita. Loro sapevano chi ero e un coro di bambini mi chiese: “Quando ci fai un’altra fiaba?” Questa è stata la più grande soddisfazione della mia vita.

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Da un horror come Demoni al fantasy Fantaghirò

Anche Fantaghirò ha dentro di sé la paura. Il primo film che ho visto quando ero piccolo al cinema penso fosse Bambi. Quando vidi la mamma di Bambi uccisa dal cacciatore mi sono spaventato tanto che hanno dovuto portarmi fuori dal cinema. Piansi per tre giorni di fila. Da qui forse nasce il mio amore e la mia paura per un certo genere di film.

A questo proposito: cosa terrorizza, nel quotidiano, un regista di film horror?

Per fare film horror occorre essere un po’ fifoni. C’è una casa in campagna dove dormivo da solo, però prima facevo un giro totale della casa e mi chiudevo bene dentro. Ci sono paure cinematografiche, ma quelle sono piacevoli. Invece se vai per la strada e ti rincorre qualcuno con idee non buone, quelle sono paure che è meglio non avere. È anche per questo che non mi ha mai fatto piacere fare film tratti dal reale.

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