-di Massimo Giuseppe Bianchi-
‘Vivo questa notte breve’. Intervista immaginaria a Glenn Gould in occasione del suo compleanno (Gould nacque il 25 settembre 1932)
(appare)
Signor Gould, da dove incominciamo?
Meglio incominciare dalla fine, dalla mia morte. Avvenuta, come lei sa, il 4 ottobre 1982, a 50 anni.
Non le sembra un insulto, morire così giovane? Specie lei, un grande pianista…
La sua osservazione, che andrebbe piuttosto girata a Dio, rivela un contenuto classista. Se da un lato innalza il mito dell’artista, scomparso prematuramente e “caro agli Dei”, dall’altro si sforza di dare appoggio a una visione falsamente filantropica, quasi che la mia dipartita sia stata una lezione d’eroismo, di nobiltà.
Si è trattato invece di un’ingiustizia pura e semplice, uno scherzo di cattivo gusto come tutte le morti.
Nel suo caso è capitata d’improvviso in un momento particolarmente significativo della sua evoluzione artistica.
Sì, ed è stato uno straordinario espediente promozionale. Peccato non l’abbia escogitato io! Comunque, lo ripetevo sempre ai miei amici che non avrei vissuto più di cinquant’anni. Prendevo anche troppe medicine, ma che vuole… sono sempre stato contrario al dolore, e negli ultimi anni mi sentivo depresso.
Ci parli del suo ultimo disco, le Variazioni Goldberg di J.S.Bach, che uscì postumo nell’82
Mi ritorna alla mente quell’immagine di Cocteau riferita a Proust…ricorda? L’orologio che continua a vivere ticchettando al polso dei soldati morti…il mito scatenato da quella furiosa esecuzione mi ha travalicato, è luce che ha trapassato il mio corpo. Io sono ormai quell’incisione. Per alcuni sarei addirittura l’incarnazione delle Goldberg. Che assurdità!
Non le fa piacere aver licenziato uno dei dischi più amati della storia della musica?
Dipende. Vede, nell’interpretazione a me interessa il paradosso. Rispetto le icone, ma non fanno per me. La musica andrebbe amata a tal punto da non doverla mai prendere “per il verso giusto”. Io inseguo il sombre, non mi interessano i film che raccontano tutti la stessa storia. Non ho scelto di essere musicista per rivelare delle verità, né per modellare convinzioni. La vera arte casomai nasconde, non rivela. Sono un iconoclasta e, poiché amavo troppo il mio mestiere, non avrei mai potuto accettare l’idea di perfezione convenzionale così come la pongono i critici, sonnolenta e imperitura. La perfezione è uno stato mentale…
Lei però è ancora vivo grazie alle sue incisioni, che sono leggendarie e imitate da tutti.
Ma sono state realizzate per creare, e non per distruggere o erigere un modello che è poi lo stesso che distruggere. Il disco bachiano che lei ha evocato lo amo proprio perché lì ho cercato di portare l’espressione oltre il semplice fatto esecutivo. Ho provato, in altre parole, a portare a disgelo quelle correnti interne che sovrastano e innervano la musica stessa. Ho cercato l’idea delle Goldberg, non soltanto la musica. Questa l’avevo già eseguita, e anche molto bene se me lo consente, nella mia prima registrazione Sony, uscita nel 1955 nonostante la Landowska ci avesse messo i bastoni tra le ruote in tutti i modi per impedirlo (sorride).
E qual’è il modello che propone, signor Gould? Cosa intende? Qual è la sua idea di interpretazione?
“Modello” è una parola che mi mette il ribrezzo. Si dovrebbe suonare creando, non imitando. Il solo pensare a un modello, a qualcosa di staccato da noi, serve a diminuire e, col tempo, a sopprimere l’interprete. Per me sarebbe la catastrofe vedere l’esecutore nel pieno dominio della materia, poiché in quel momento egli cadrebbe schiavo dell’idea stessa di dominio! Ma i miei ammiratori hanno tralignato.
Gould l’incompreso?
Certamente! Ho sempre voluto ricreare sul pianoforte un realismo attivo, vivo…non già una rappresentazione descrittiva, prevedibile, riproducibile. Non volevo essere imitato. Ho sempre cercato disperatamente di rivivere ogni composizione. Magari anche distruggendo delle convenzioni… Ma le chiedo come avrei potuto fare diversamente. Chi distrugge crea sempre qualcosa, non fosse altro che il dubbio che ciò che è stato distrutto fosse un edificio malfermo, poco sicuro.
Personalmente credo che lei sia riuscito meravigliosamente nell’intento. Ne sarà convinto, spero…
Non lo so. Questo debbono dirlo i testimoni. La mia è prestidigitazione, non arte. Oltretutto, l’arte è perfettamente inutile da quando ha cessato di essere pericolosa. Tutti sono artisti, anche in televisione; prendiamo ad esempio quel tale, quel…(audio rovinato in questo punto, si odono parole incomprensibili, nda)
Riprendiamo il filo. Lei ha spesso spiazzato il pubblico con affermazioni provocatorie, scioccanti…
Ma sono stato sempre coerente.
…come quando disse di non amare il romanticismo, che tutti adorano.
Amo molto il romanticismo. Specialmente Chopin.
Non capisco… lei affermò il contrario, se ricordo bene!
Vuole la verità? E’ che Chopin mi veniva meno brillantemente di Bach. Capisce? Tutto qui. La mia tecnica naturale, basata sull’articolazione, sullo scatto, è più consonante allo stile contrappuntistico che a quello di Chopin, che pure a modo suo è un mago del contrappunto anche se spesso, come avviene con Schumann del resto, questa tecnica sembra “bruciata”, invisibile. Svjatoslav Richter suonava Chopin meglio di me. Se penso a Michelangeli poi…quelle dita fantastiche…
Però lei conoscerà la mia incisione della terza Sonata, op 58?
Certamente
Fu additata come un’esecuzione bizzarra. Non lo è affatto; è una delle cose più rigorose che abbia compiuto. Realizzo esattamente tutto quanto l’autore ha scritto. Prenda il primo tempo: Allegro Maestoso. In molti hanno criticato il mio tempo, dicevano che era troppo lento, verticale…però il carattere del Maestoso c’è. E sono uno dei pochi a realizzarlo. Tutti corrono, in questo movimento.
E’ vero, ed è anche un’esecuzione molto appassionata oltreché tecnicamente brillante, mi piace moltissimo. Però, dove è scritto “legato” lei suona “staccato”… Il tocco, le scelte di suono paiono volutamente anacronistiche. Ci sono dei “tic”. Il perché di simili scelte, a volte, mi sfugge: parrebbe che lei voglia stupire, scandalizzare…
Lo dissi già molte volte, non me lo faccia ripetere. Si parla sempre di filologia rivolta verso l’autore e il suo tempo. Ma io non sono Benedetto Croce, che arrivò a mettere la Storia fra le arti. A me interessa, come dicevo poc’anzi, il realismo, ed esso non è altro che la filologia verso l’esecutore e il suo tempo: ovvero il nostro.
Il testo non è uno scopo a se stesso ma un semplice mezzo, un organismo che deve muoversi libero e possibilmente anche correre, volare. Le cose non sono rivelate dalla storia delle loro origini, ma dalla loro utilità. Come c’è una corrispondenza segreta tra la notte e il giorno, che non sono avversari ma fratelli in una misteriosa alleanza, così deve avvenire tra testo ed esecutore.
Ciò che conta è come il pezzo risuona nel mio cuore, non ho troppo bisogno del sussidio di segni sullo spartito, che per me non hanno che poca rilevanza. Aggiungo che il valore dei testi non va ricercato soltanto in ciò che essi dicono, ma in ciò che tacciono, pertanto ogni opera significativa del nostro presente allude al futuro, lasciando uno spazio libero affinché possa, domani, venire interpretata secondo linguaggi inauditi. L’interprete deve agire in primo luogo in questo spazio.
Questa è la forza dei capolavori! Sanno crescere nel tempo in modo esponenziale, più rapidamente di qualsivoglia progressione geometrica. Ciò vale, naturalmente, anche per alcune interpretazioni pianistiche.
Tutto questo è meraviglioso. Ma c’è una cosa che avrei sempre voluto chiederle…
L’ascolto
Riguarda Orlando Gibbons. Questo oscuro compositore del secondo cinquecento…
Non è oscuro.
… ma ignoto ai più, ne dovrà convenire. Lei lo definì il suo compositore preferito. E’ davvero così? E perché?
Che domanda! Ma per poter continuare a “épater le bourgeois”! L’ho sempre fatto e mi ci sono divertito parecchio (sorride). Inoltre ho rivalutato Gibbons, è stato meritorio.
Ma Gibbons, mi dica la verità…
…lo faccio sempre…
..è un compositore tanto grande?
Certo che lo è! Di elevata ispirazione. Io non mento, non ho mai mentito, nella vita come nella musica. Ho trasformato semmai, come nelle post-produzioni delle mie registrazioni discografiche, che curavo personalmente. Questo è il vero procedimento creativo! Ed amo troppo la creatività per rinunciare ad alcun aspetto di essa in nome di un tabù. Ho cercato il brutto in Mozart, facendo gongolare alcuni critici marxisti, il ridicolo in Beethoven, il sacro nei minuetti di Haydn, la sensualità erotica in Brahms, persino l’utopia in Sibelius! Ho trovato di tutto nelle mie esecuzioni.
In musica, mi creda, la verità è una sola: non c’è verità. Parafrasando Bertrand Russell, è un’arte nella quale non si ha mai bisogno di sapere se quello che si dice è vero, e neppure di sapere di che cosa si parla. Questo fatto non manca di un certo lato umoristico! Però, solo grazie alla musica la vita intima rinasce.
Quindi, il problema della fedeltà…
L’attinenza alla realtà del testo, in relazione a quanto faccio sul pianoforte, è una circostanza a cui nella mia breve vita ho attribuito sempre minor peso col trascorrere degli anni.
La mia azione è rivolta verso la notte, verso il mistero, verso il segreto.
Gli ultimi anni di vita, lo sa, vivevo come i gatti, più la notte che il giorno. Ero il pilota del Vascello Fantasma, il demone insonne mi gonfiava le vele…
Cosa pensa, Glenn Gould, delle proprie composizioni?
Quelle che ho lasciato non sono poi molte. Mi piacciono, sono interessanti ma forse anche irrilevanti. Nella prossima vita però sento che potrei essere uno dei più grandi compositori, se non il più grande. Ammesso che già non lo sia stato in una vita remota.
Lei quindi crede nella metempsicosi?
No, affatto!
La sua inafferrabilità, Gould, mi sembrava un vero dilemma. Ora capisco che è un meccanismo. Lei è un pragmatico che traduce i sogni in realtà
Forse un pragmatico mistico? (ride) Lei vuol mettermi in contraddizione con me stesso! Non saprei…combatto per le varietà. Ho eseguito tanti autori, alcuni poco noti, ho servito la musica…sono stato un puritano con involontarie fornicazioni.
Fui sempre attivo e non divenni mai vecchio. Ora, dopo tante appassionate notti trascorse a vegliare in vita, vivo questa infinita notte breve e sono diventato muto. Desidero suonare e non posso più. Ciò fa dolorosa la mia attuale esistenza, poiché il desiderio è dolore. Solo le mie note registrate, come pellegrini instancabili, vivono ancora. Fino a quando…
Caro Glenn, non è bello salutarla. La prego, ci consigli un ultimo ascolto
L’ugola benedetta di una delle più grandi cantanti del mio e anche del vostro tempo, Barbra Streisand.
Grazie, signor Gould
(scompare)
Foto di copertina: http://www.idisclassica.com/?product=idis-6698-glenn-gould-plays-ludwig-van-beethoven-vol-2-2