-di Elisabetta Torselli-
INTERVISTA ESCLUSIVA PER WORDS IN FREEDOM
Giorgio Battistelli è reduce dal notevole successo di CO2, la sua opera che ha debuttato alla Scala il 16 maggio 2015 in concomitanza con l’Expo. Un tema, quello di CO2, apparentemente estraneo all’universo dell’opera: le aberrazioni ambientali legate all’altissima produzione, appunto, di anidride carbonica. Eppure, grazie anche alla regìa perfetta di Robert Carsen, il tutto si è risolto in una successione di quadri di forte impatto spettacolare e musicale. Come quello dell’evocazione dello spirito della terra, o della “danza degli uragani”, o dell’inconcludente contrapporsi dei delegati di una conferenza sul clima. CO2, quando l’abbiamo vista, mostrava lo spettacolo di una Scala piena – anche di giovani – e festosa, a dimostrazione che l’opera, data per morta mille volte, resta un cadavere molto vivace. E infatti il compositore nato ad Albano Laziale nel 1953 è autore di opere vere e proprie e di operazioni varie di teatro musicale. Lavori come Teorema, L’imbalsamatore, I Cenci, Frau Frankenstein, Prova d’orchestra, Riccardo III sono sopravvissuti alla commissione-creazione, e ritornano sui palcoscenici. E questo, nella musica contemporanea, può far parlare senz’altro di successo. Per non parlare di quel “concerto teatrale” che è il fortunatissimo Experimentum Mundi che mette in scena il lavoro umano degli artigiani di Albano Laziale e che ha veramente girato il mondo (su Youtube ne trovate le tracce, da Salisburgo a Maastricht a La Paz).
Battistelli ha spesso definito il suo teatro come “anti-antiopera”, e cioè un andare oltre l’”anti-opera” delle avanguardie di qualche decennio fa – e in parte anche di oggi – che vedevano nel teatro musicale un montaggio di situazioni o un distillato di passioni letterarie e musicali secondo percorsi e strutturazioni marcatamente intellettuali. Il che ha prodotto comunque episodi rimarchevoli, dalla Passion selon Sade di Bussotti al Prometeo di Nono a Outis di Berio. Ma Battistelli, come altri compositori (da Thomas Adès a John Adams, da Kaija Saariaho a George Benjamin), ha preferito tornare ad un’idea di narrazione e sviluppo organico di un tema e di una storia. Questa vicenda lo ha portato ad esplorare fonti diverse, dal cinema variamente “tradotto” in teatro musicale (Teorema, Prova d’orchestra) al testo teatrale (nei suoi generi più diversi: Artaud, Shakespeare, Eduardo Scarpetta), al romanzo, persino alla saggistica. Il tutto sulla base di un linguaggio musicale solido e plastico, molto sinfonico, che non si lascia tentare dalle mode del momento, e che con il tempo ha recuperato l’equazione opera = canto, accordando uno spazio più ampio ad una vocalità operistica più “classica” ancorché rivisitata.
Ma prima ancora che Battistelli fosse fulminato dalla lettura di Una scomoda verità di Al Gore, il testo da cui ha preso le mosse CO2, c’era già l’idea di scrivere un’opera a soggetto biblico inizialmente programmata per il febbraio 2015 all’Opera di Hannover. Chiusa l’avventura CO2, Battistelli si è rimesso al lavoro su questo Lot, che dovrebbe andare su nella prossima stagione.
Il soggetto è noto: Genesi 19. Lot, nipote di Abramo, per ordine di questi era andato con la sua gente verso le terre di Sodoma e Gomorra, ma rimanendo fedele al Dio di Abramo. Ora offre ospitalità a due stranieri nei quali, vedendoli arrivare alle porte di Sodoma, ha subito riconosciuto i messaggeri divini. I suoi concittadini circondano la sua casa perché vogliono abusarne. Ma Dio ha già fissato l’ora della vendetta. Fa dunque fuggire Lot e la sua famiglia, a cui viene imposto di non voltarsi mentre dal cielo il fuoco distrugge Sodoma e Gomorra. La moglie di Lot infrange il divieto e viene trasformata in una statua di sale. In seguito, poiché tutta la regione è rimasta deserta, le due figlie di Lot fanno ubriacare il padre e giacciono con lui per dar vita ad una nuova stirpe. Giorgio Battistelli ha concesso a “Words in Freedom” questa intervista in cui racconta la sua nuova opera.
D. I primi libri della Bibbia parlano di un Dio vendicativo e dei suoi angeli sterminatori…
R. E’ così, pensiamo alla terribile punizione della moglie di Lot, lacerata fra la necessità di lasciare tutto e il rimpianto che la spinge a voltarsi: che senso ha sopravvivere senza portarsi dietro nulla del proprio passato ? E c’è anche il tema così difficile dell’incesto, le figlie che si fanno mettere incinte dal padre per ricreare l’umanità. Già da qualche anno mi sono arrovellato nel mio dubitare intorno alla fede, mi sento vicino a Pasolini in questo, è un problema che non ho risolto ma che non mi lascia. L’idea di Dio distruttore c’è, ma voglio richiamare che Lot mette tutto ciò che ha in pericolo per dare ospitalità ai due stranieri, ai due angeli. Nella mia opera il primo tema, in definitiva, è quello dell’accoglienza.
D. Ci può dare un’idea di come è organizzata l’opera ?
R. In un prologo, tre atti e un epilogo. Cominciamo dall’epilogo: Lot dorme sotto un albero mentre le figlie guardano, un po’ distaccate, i bambini che sono nati dall’incesto, e che giocano…
D. Quindi siamo oltre il distacco, dolore, il trauma.
R. Sì, e il linguaggio qui è più riconoscibile rispetto alla scrittura molto più sperimentale degli atti precedenti, il conflitto, il fuggire e il ricominciare. Il primo atto è un pannello sinfonico-corale che vede anche il coro in scena, un coro che aggredisce e offende, ed è il momento di maggior intensità e densità, ma ci sono anche alcuni tasselli più rarefatti e cameristici, come il canto dei due angeli, un contrappunto a due voci accompagnato da una selezione dei settori dell’orchestra, legni e archi oppure ottoni e archi. Il secondo atto vede duetti, terzetti e concertati e il coro fuori scena ed è imperniato su una scrittura molto più performativa e gestuale, che rappresenta l’angoscia della fuga e si chiude con la trasformazione della moglie di Lot in statua. Il terzo l’ho voluto più irreale, perché deve trattare la metafora dell’incesto come un ritorno all’animalità, a ciò da cui tutti noi veniamo, e quindi il linguaggio diventa più sperimentale, come piegando uno strumento culturale per eccellenza, qual è l’orchestra sinfonica, ad esprimere questa animalità primordiale, ma che è in noi, che ci appartiene. Lot è baritono, la moglie mezzosoprano, le figlie soprano, gli angeli tenori.
D. Luciano Berio ricordava che la parola opera è in realtà il plurale di opus e implica l’idea di una creazione appunto plurale, a più teste e più mani. Per CO2 lei ha avuto due collaboratori eccellenti nel drammaturgo e librettista Ian Burton, con cui aveva già lavorato per Riccardo III, e nel regista Robert Carsen. Con chi farà Lot ?
R. L’autrice del testo è Jenny Erpenbeck, autrice di romanzi tradotta anche in Italia con testi come La bambina che volle fermare il tempo (Zandonai), Di passaggio (Zandonai), E non è subito sera, una scrittrice tedesca che rappresenta l’odierna eredità culturale della DDR. E’ anche regista d’opera. E’ stato il sovrintendente dell’Opera di Hannover a proporci questa collaborazione, ci siamo incontrati, ci siamo piaciuti e abbiamo deciso che potevamo lavorare insieme. Il regista sarà Frank Hilbrich.
D. Che tipo di esperienza ha rappresentato per lei CO2 ?
R. La prova che noi autori possiamo partecipare al nostro presente così come sappiamo fare, attraverso un’operazione estetica, ma segnando comunque un ritorno ad una forma di impegno, anche se diversa da quella degli anni Sessanta e Settanta. Mi ha sorpreso e gratificato vedere la Scala sempre piena in tutte e sei le recite, vedere superata questa paura che la musica del nostro tempo non possa comunicare senza abbassare il livello della complessità del linguaggio.
In copertina ritratto di Giorgio Battistelli, di Mauro Fermariello