Giallo Vivaldi per Federico Maria Sardelli

– di Elisabetta Torselli –

VINCITORE DEL PREMIO COMISSO 2015 Due Monument Men alla ricerca del tesoro del Prete Rosso. La Storia che incombe fatale. Intrighi di provincia e di Corti asburgiche.  E tanta tanta ironia. Così Federico Maria Sardelli si dimostra uno scrittore raffinato e inaugura un genere: il musical thriller

Prima o poi doveva succedere, che Federico Maria Sardelli, flautista, direttore, musicologo, nonché pittore, fumettista e scrittore satirico, raccontasse in forma di un romanzo godibile per tutti ciò che i musicologi hanno già indagato e ricostruito con i loro strumenti, e cioè la storia del fondo Foà-Giordano della Biblioteca Nazionale di Torino, l’episodio decisivo, affascinante, romanzesco davvero, che è alla base della riscoperta novecentesca del suo tanto amato Antonio Vivaldi. Una storia i cui eroi, per l’intuito geniale, le robuste competenze e la caparbia determinazione che misero in atto in quest’operazione, sono Alberto Gentili (1873 – 1954), musicologo, compositore e direttore d’orchestra, e Luigi Torri (1863 – 1932), direttore della Biblioteca Nazionale di Torino.

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Federico Maria Sardelli, Autoritratto, olio, 2002

Solo Sardelli poteva davvero raccontarcela, avvalendosi delle sue doppie capacità di studioso ed esecutore vivaldiano fra i più accreditati al mondo, e di estroso autore delle vignette sul “Vernacoliere”, con personaggi mitici come il Bibliotecario, e di testi dalla comicità tra erudita e felicemente demenziale, come Saggi di metafisica neorazionalista con un metodo sicuro per indovinare i gratta e vinci.
Ed ecco il romanzo, L’affare Vivaldi (Sellerio, 294 pagine, 14 euro), e ci si diverte, infatti, ma poi il divertimento cede gradatamente il passo, e vedremo perché, all’indignazione. Vivaldi non compare mai, ma è oggetto costante di affabulazione. E’ sparito per sfuggire ai creditori dopo il flop della sua ultima opera a Venezia; è morto a Vienna in povertà aspettando invano una commissione di un’opera dall’Imperatore che un tempo lo aveva protetto; il tempo passa, ci si è dimenticati di lui e della sua musica; il suo archivio, le sue musiche manoscritte, di sua mano o di copisti di sua fiducia, passano da un padrone all’altro, e poi dormono come belle addormentate un sonno più che secolare in una biblioteca nobiliare, quella della famiglia Durazzo. copertina libro sardelliRid
Infine, negli anni Venti, la riscoperta e l’acquisizione quasi miracolosa, grazie a Torri e Gentili, di ciò che era finito in un un castello del Monferrato e in una nobile dimora genovese, tomi e tomi di concerti, sonate, salmi, mottetti, serenate, cantate, opere. Sardelli ce lo racconta romanzando con perfetta verosimiglianza, appoggiandosi a una gustosa esibizione di documenti autentici, giostrando egregiamente fra invenzione e verità. Il tutto non in modo lineare, ma in una carrellata di episodi-chiave, andando su e giù lungo la scala del tempo, dal 1740 al 1938. E così, i nomi emersi dalle carte diventano macchiette o caratteri a tutto tondo inseriti in un paesaggio storico non meno ben delineato. Come il fratello minore del Prete Rosso, Francesco, riuscito personaggio di veneziano scafato e irriverente; o Giacomo Durazzo, già protettore di Gluck a Vienna e ambasciatore degli Asburgo presso la Serenissima, una Serenissima all’ultimo giro di ballo, dipinta con tinte un po’ comiche e un po’ fosche, tra Goldoni e Casanova, fra l’allegria delle chiacchiere di bottega e lungo i canali e la realtà di un regime occhiuto e opprimente. Nei capitoli degli anni Venti, invece, troviamo il quadro impietoso di una provincia italiana arretrata e gretta, con i suoi prelati e le sue nobildonne oramai calorosamente abbracciati al fascismo.
E poi, nel 1938, l’amaro epilogo: Alberto Gentili, ebreo, estromesso dalla curatela del fondo e cacciato dall’Università di Torino in seguito alle leggi razziali. Avrebbe lasciato l’Italia, come fecero anche Roberto Foà e Filippo Giordano, i due facoltosi ebrei torinesi che avevano messo i soldi, tanti soldi, per l’acquisto del fondo, alla sola condizione che lo si intitolasse ai loro figlioletti morti, Mauro Foà e Renzo Giordano. Intanto le luci della ribalta si erano accese sul Prete Rosso, ma furono altri, in una nazione oramai votata all’esaltazione del Genio Italico di pura razza, a farsene belli, ad attribuirsi il merito della riscoperta, a usarla per rafforzare il proprio prestigio politico e culturale: il conte Chigi e la sua Accademia Chigiana, Alfredo Casella, EzraPound e li ritroviamo tutti nel libro.

C’è anche Benito Mussolini, e in molti casi ciò che sembra più romanzesco corrisponde perfettamente a verità, come Sardelli ben spiega nella scrupolosa escussione delle fonti che troviamo nella postfazione. La citazione, più volte fatta, in diversi episodi, di una grande pagina di musica sacra vivadiana, un episodio del salmo Beatus Vir RV 597, il toccante terzetto In memoria aeterna erit justus, è senz’altro da riferire alla memoria dei giusti fatti oggetto di una terribile ingiustizia, Gentili soprattutto, ma intanto ci sono conti da pareggiare con le incensate memorie di chi fu artefice o strumento di questa ingiustizia, e Sardelli lo fa.
Il libro si chiude sugli eventi del ’38, ma la storia della riscoperta di Vivaldi non è ancora giunta all’ultimo capitolo. Come i bronzi classici dal mare, i lavori del Prete Rosso continuano a riemergere (negli ultimi anni le sorprese arrivano soprattutto dagli archivi e biblioteche dell’Europa Centrale e dell’ex Oltrecortina), e il catalogo vivaldiano – di cui attualmente Sardelli è il responsabile, raccogliendo l’eredità di Peter Ryom – resta perpetuamente in fieri a quasi un secolo di distanza dall’episodio al centro del libro. Proprio Sardelli, una decina d’anni fa, dovette affrontare i tribunali (che poi gli hanno dato ragione) per aver “osato” eseguire in prima mondiale il ritrovato Montezuma, su cui un’antica e blasonata accademia berlinese pretendeva di esercitare i diritti dopo aver riavuto indietro i materiali trafugati, pensate un po’, dall’Armata Rossa nel 1945…. non ci vedete il materiale per un altro romanzo ?

La foto di copertina è di Alessandro Lamuraglia (dal sito dell’Opera di Firenze)

Nel video Delphine Galou interpreta ‘S’impugni la spada’ da Motezuma di Vivaldi, dirige Federico Maria Sardelli

 

 

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