GIÀ LA NOTTE SI AVVICINA.CANTATE, ARIE E DUETTI DEL SETTECENTO NAPOLETANO

-di Donatella Righini-

“Albori e bagliori.Napoli e l’Europa: il secolo d’oro” è il tema conduttore della quarantacinquesima edizione del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca: un omaggio, come ha detto il direttore artistico Alberto Triola, a quella che è stata la capitale europea della cultura soprattutto nel XVIII secolo. Nel raffinato cartellone che Triola ha composto per quest’anno, oltre alle opere e alle riscoperte (Ecuba di Manfroce), non poteva mancare la serata dedicata al canto da camera, perché è vero che “l’anima più autentica di Napoli si esprime cantando” e nella città della sirena Partenope quest’anima è stata espressa al meglio nel Settecento, nella produzione di autori come Porpora, Scarlatti, Farinelli, Leo, Vinci per citare i più noti (oltre a Paisiello e Cimarosa ovviamente). Soprattutto Porpora, Scarlatti, Vinci e Leo furono gettonatissimi per la produzione di cantate da camera, che tanto erano amate dall’aristocrazia napoletana perché la loro struttura, formata da una successione di recitativi e arie, era come un’opera in miniatura da potersi eseguire in casa, magari abbinata a qualche aria staccata di un’opera celebre del momento. Ecco allora il sollucchero che nel cartellone Triola ha regalato al pubblico, come sempre folto e partecipe, per il concerto del 28 luglio scorso al Chiostri di San Domenico: Già la notte si avvicina titolo ripreso da quello della cantata di apertura del programma, scritta da Nicola Porpora su testo di Metastasio, affidata nell’esecuzione al controtenore Francesco Divito Alla cantata d’apertura, come era d’uso nella tradizione partenopea settecentesca, è seguita l’esecuzione di un’aria d’opera, “Quando piomba improvvisa” dal Catone in Utica di Leonardo Vinci, affidata alla voce di Giuseppina Bridelli, ottima scoperta per la duttilità del fraseggio, il dosaggio dei volumi e l’interpretazione, doti apprezzate ampiamente dal pubblico e che il mezzosoprano ha confermato più avanti nel concerto nell’esecuzione di “Parto, vi lascio” da  Il Germanico in Germania di Porpora. Il terzo brano, la cantata pastorale Or ch’è dal sol difesa di Leonardo Leo, ha esaltato il già ottimo Raffaele Pe, uno dei controtenori più amati di questi anni, del quale si sono potute ancora una volta apprezzare l’agilità vocale, la bellezza del suono e l’interpretazione, sia nella cantata solista sia nel duetto “Vanne sì, che allor quest’anima” da Meride e Selinunte di Porpora, eseguita con il controtenore Rodrigo Sosa dal Pozzo, altra voce molto bella, dal volume corposo, ben messa in risalto anche nella cantata solistica Mesta oh Dio fra queste selve di Leonardo Vinci Il duetto era un’altra delle caratteristiche con cui le cantate napoletane venivano composte, dato che i recitativi e arie erano tesi a raccontare un’unica storia a una sola voce o due (raramente più di due), come esemplificato anche nel duetto “Vanne e vivi con la speranza” dal Faramondo di Porpora, eseguito da Divito con il controtenore Salvo Disca. Interessante anche il timbro scuro del soprano Federica Carnevale, che ha eseguito “Crudo amor…Dolente, dubbioso” da L’ambizione delusa di Leonardo Leo. Bravi anche il clavicembalista Giorgio D’Alonzo e la violoncellista Federica Del Gaudio.

Serata raffinatissima, durante la quale il presidente del festival, Franco Punzi, ha consegnato il premio “Rodolfo Celletti” al pianista e direttore d’orchestra Bruno Campanella. Il premio, in memoria dello storico direttore artistico del festival (nonché creatore della scuola di bel canto che porta il suo nome) è stato ritirato dalla figlia di Campanella, Valentina.

Crediti foto: Paolo Conserva

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