– di Massimo Giuseppe Bianchi-
Ecco la mia personale ghirlanda per celebrare il Crepuscolo dell’anno. Il sentimento dell’autunno, stagione come nessuna in bilico tra fisico e metafisico (e ritorno), scaturisce da una zona indeterminata dove non è chiaro se sia un’epoca a finire o un’altra che si dischiude. Se questo stadio intermedio gli uomini lo hanno sempre celebrato, ciò è valso specialmente grazie ad alcuni che si definiscono musicisti.
1) Captain Beefheart: Autumn’s Child
L’arte di sfumare non piaceva al geniaccio californiano di Don Van Vliet, in arte “Capitan Cuordibue”. Cercava la visione senza compromessi, accompagnato sempre dal vizio dell’anarchia. Questa “figlia dell’Autunno” è la protagonista di un’ipotesi di storia d’amore che sembra un gioco con le carte, di incerta sorte quanto sofferta memoria. Un rock che vivifica perché non risponde a canoni mediocri, e ci sbatte sul muso un Autunno dickensiano, inestetico, quasi da paura. Mi ricorda un fiore bello e selvaggio come il Cardo pallottola, che scelgo per inaugurare questa ghirlanda.
2) Mark Murphy: Autumn Nocturne
Si è appena appresa la notizia della scomparsa di Mark Murphy. Una brutta notizia. Lui merita come pochi l’appellativo, altrove abusato, di interprete. In questa bellissima canzone vediamo l’attesa, trasferita idealmente nel sentimento di una stagione in bilico, il calore amniotico della notte… vediamo tutto questo prendere forma nell’ impermanenza della sua voce. Nessuno come lui parla con i suoni e sa animare un canto viscerale nel quale la parola confessata può essere, in quel momento, quella e soltanto quella. Musicista raffinato, si circondava solo di strumentisti di prim’ ordine e mai ascolterete da lui un brano vestito di arrangiamenti meno che sontuosi.
Come anche qui si evince, un’amamelide sonora.
3) Ottorino Respighi: Poema autunnale
Non amo l’estate perché stagione monocromatica. Luce, caldo, luce…D’autunno, si sa, le foglie sono meno protette dal sole e ciò dà inizio a quel processo di pigmentazione che costituisce uno dei motivi cardinali del suo fascino.
Respighi, conosciuto per gli imponenti poemi sinfonici romani è, né più né meno, il nostro Manet, il Cattabriga della musica, l’impressionismo musicale italiano, che non somiglia a null’altro, del quale nessuno parla perché non codificato, sospeso in aria tra Boldini, Gozzano e i Fori Imperiali.
Questo poema meditativo potrebbe essere l’equivalente del lungo processo di senescenza fogliare, racchiuso in quindici minuti di musica.
Un lavoro emozionante e poco noto dove conta non tanto la storia, quanto il tono del racconto.
4) Leo Ferrè Chanson d’automne (Verlaine)
“E me ne vado
Nel vento maligno
Che mi porta
di qua di là
simile alla
Foglia morta”
Se mai è esistito uomo dalla personalità sdoppiata, questi è Paul Verlaine. Come poeta, giunse spesso a lambire la soglia più alta del verso; umanamente, ebbe una vita violenta e per molti aspetti sconvolta (una volta arrivò persino a dare fuoco alla moglie); fu anche un disperato tossicodipendente, dedito in particolare all’ assenzio. Leo Ferrè, parimenti, sceglie qui una chiave interpretativa dissociata, rivestendo questa canzone autunnale piena di sgomento di un mood ironico, una specie di umorismo che mi fa pensare all’ effimera bellezza della Tricyrtis (il Giglio rospo degli inglesi) e fa affiorare ancor più, per contrasto, lo spleen desolato del componimento.
5 Leo Ferrè La servante au grand coeur (Baudelaire)
“La serva di buon cuore che t’ingelosiva,
e che dorme sotto l’umile erbetta il suo sonno
dovremmo ora portarle qualche fiore.”
Ancora Ferrè. E perché no? Non lo si ascolterà mai abbastanza. Questo maestro non è soltanto un grande chansonnier, egli è un po’ il Leopoldo Fregoli della canzone. Affabulatore superbo capace di ingannare il mondo riappropriandosi di ogni parola, non canta: “si” canta.
Il vento di Ottobre che soffia sulla tomba della serva di Baudelaire è un’immagine indimenticabile, così come del resto tutta questa poesia fatta di frasi giustapposte e arcaicizzanti che si susseguono in un gioco apparentemente infinito di incastri e sovrapposizioni di tempo, spazio, senso. Il canto di Ferrè, per usare ancora parole di Baudelaire, colma il cuore di luce e sa infondere alle espressioni liriche un fascino aggiuntivo inconcepibile cui non ci si può, né ci si deve, sottrarre.
6) Bob Dylan/Johnny Cash Girl from the north country
A Nashville pare vivessero i migliori ‘turnisti’ americani (così vengono definiti i musicisti da studio) e fu così che proprio questa città città fu prescelta come teatro ove dar vita all’ avventura dei ‘Nashville Cats’, ossia il duo Dylan-Cash; qui, in campo neutro, si incontrarono finalmente il rock e il country, i fricchettoni della contestazione e i bacchettoni dell’America profonda, forse reazionaria. E si realizzò il primo doppio LP della storia.
Il match non finì in un pareggio ma, con buona pace del pur sensibile e carismatico Cash, segnò il sopravvento del menestrello rock sull’ aedo campagnolo. Dylan scrisse infatti per questa collaborazione alcune delle sue più belle canzoni e questa ‘Girl from the north Country’ , accordata con l’ occàso, possiede proprio tutte le sfumature dell’Astro, il fiore scelto per simboleggiarla.
7) Piotr Il’Jc Ciakovsky Settembre, Ottobre, Novembre, da “Le Stagioni”
La grazia della musica di Ciaikovsky è apprezzata soprattutto nella musica da balletto, dove egli raggiunse un’eleganza senza pari. Il suo stile di ascendenza mozartiana non poteva non segnare un’incolmabile distanza con i compositori coevi, cosa che gli procurò molte incomprensioni.
Meno frequentata è la sua produzione pianistica, tra cui il ciclo delle “Stagioni”, delineate in una dimensione domestica, quasi Biedermeier. Un bozzettismo d’alta scuola che qui proponiamo attraverso i tre numeri autunnali del ciclo. Musica meno celebre ma, come si vede, molti grandi pianisti non restarono immuni dal fascino di questo bric-à-brac…
8) Aaron Copland Our Town
L’epopea del “blue collar” americano: l’uomo comune che si alza dal letto, fa colazione, va al lavoro, rientra a casa la sera, si siede in veranda a contemplare il tramonto e si sente padrone del Mondo. Aaron Copland, il decano dei compositori statunitensi, colui che lanciò Lenny Bernstein nel firmamento stellare, di questo patriottismo è il cantore più alto. Personalmente non sono mai stato sedotto neanche un po’ dalle sirene del nazionalismo, ma confesso che le sue composizioni mi provocano sempre un’emozione difficile da spiegare. La musica per il film ‘Our Town’ porta con sé lo spettacolo dei colori del Liriodendro, la medesima superba arcata.
9) U2 October
Una fragile canzone, un po’ persa nel repertorio survoltato di una band persino troppo nota, che non ha più ritrovato negli ultimi vent’anni l’estro degli esordi. Ma questa “October”, per la sua delicata grazia, si fa ricordare. Singolare la struttura, quasi interamente strumentale, e il tono rarefatto, delicato come la gracile calluna, pianticella talora detta persino “falsa erica”. “October” è una “falsa canzone” che si fa strada tuttavia attraverso tante altre vere, di successo, che poi spariscono senza storia.
10) Johannes Brahms Concerto per pianoforte e orchestra n 2 op. 83, terzo tempo
Autunnale, in musica, è aggettivo sempre associato a Brahms. Ascoltare questo incanto è come contemplare l’infinito dei colori del Liquidambar o una pittura di Boecklin.
Schivo di onori, generoso con i suoi contemporanei ma ancorato al passato, per lui unico grimaldello possibile della modernità, la sua musica, che Alberto Savinio definisce “del buon consiglio”, è sempre decantata, distillata.
Egli è il nostro più grande consolatore. Se l’Autunno è la parte dell’anno dovuta allo spirito prima di immergerci nel freddo inverno purificante, la contemplazione di questi colori può essere intesa come un ultimo, commosso sguardo alla vita.
(Ringrazio la dottoressa Carla Vinci per avermi suggerito con paziente e competente cortesia le splendide immagini qui utilizzate, e per le istruttive conversazioni botaniche)