-di Elisabetta Torselli –
Un episodio minore del verismo italiano, o un’operazione originale tutta da riscoprire ? Dopo quasi sessant’anni ritorna in scena sotto la guida della bacchetta di Sandro Sanna, dal 20 novembre al Teatro Lirico di Cagliari, La Jura, testo e musica di Gavino Gabriel (Tempio Pausania 1881 – Roma 1980), nei ruoli principali Rubens Pelizzari/Giuseppe Talamo (Jacòni), Gianluca Lentini (Filianu), Paoletta Marrocu/Tiziana Caruso (Anna), Francesca Pierpaoli (Matalena), Nila Masala/Barbara Crisponi (Pasca), Nicola Ebau (Battista).

Gavino Gabriel (da http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2014/11/20/news/le-musiche-di-gavino-gabriel-in-un-disco-1.10348471)
La Jura è un dramma musicale ambientato ad Aggius in Gallura, imperniato sul conflitto fra codici arcaici e libertà sentimentale, sullo sfondo del ciclo delle stagioni, dei lavori agricoli, delle fiere e delle feste religiose, con una marcata impronta corale in cui spiccano gli episodi del canto a tasgia gallurese, affidati in questo allestimento alle voci del coro a tasgia dell’Accademia Popolare Gallurese “Gavino Gabriel” di Tempio Pausania.
Per Gavino Gabriel La Jura fu veramente l’opera di una vita, i vari abbozzi, stesure, versioni e andate in scena parziali si succedono a partire addirittura dal 1907, con un’esecuzione cagliaritana nel 1928 e le rappresentazioni, che ebbero grandissimo successo, al S. Carlo di Napoli e al teatro di Cagliari nel 1958 e nel 1959. Ma poi Gabriel mise nuovamente mano alla partitura, e quella che si dà oggi è l’edizione realizzata per l’occasione dalla musicologa Susanna Pasticci sulla base dei materiali conservati presso l’Accademia Popolare Gallurese “Gavino Gabriel” di Tempio Pausania.
In attesa di giudicare della qualità musicale con la diretta radiofonica su Radio Tre di mercoledì 25 novembre, vale davvero la pena di ripercorrere un po’ la storia di Gabriel. Allievo di Giovanni Pascoli all’università di Pisa, saggista, conferenziere, amico di Leoncavallo e di Giordano ma anche di D’Annunzio, Gabriel è una figura singolare di etnomusicologo-compositore che è anche qualcosa di più: non si limita a studiare il suo oggetto, perché vive completamente fuso in esso. Artisticamente e anche politicamente. Gabriel fu un autonomista convinto, fra i fondatori del Partito dei Combattenti divenuto poi il Partito Sardo D’Azione capeggiato da Emilio Lussu. In seguito, quando l’esperienza del Partito Sardo d’Azione si esaurisce con il fascismo, e Lussu è perseguitato e confinato, Gabriel si vota all’etnomusicologia. Da dirigente della Discoteca di Stato, è fra i primi in Italia a sostenere – come Bartók e Kodály – la necessità della registrazione su campo in luogo delle vecchie “trascrizioni” più o meno fedeli di epoca positivistica, fissando sul nastro già all’inizio degli anni Venti pezzi tradizionali in sardo gallurese. L’attività di etnomusicologo, documentarista, divulgatore, collaboratore di iniziative editoriali e didattiche, compositore, proseguirà fin quasi alla morte.
Ne parliamo con il regista, Cristian Taraborrelli, scenografo e costumista passato poi alla regìa dell’opera, tanto
contemporanea che di repertorio (citiamo almeno il premio Abbiati per la rossiniana Pietra del paragone), proponendo un’idea di teatro in cui l’azione si staglia su uno sfondo “immateriale” fatto di immagini in movimento e proiezioni (i video per La Jura sono di Fabio Massimo Jaquone), alla ricerca di un legame fra tecnologia moderna e visioni antiche. Come sarà in questa Jura, che dopo le recite cagliaritane diventerà anche una video-opera. Ma per l’occasione è stata bandita anche una grande festa della musica tradizionale sarda, Jura Roots, domenica 25 novembre nel Parco della Musica di Cagliari, e un convegno di studi, “Musica, culture e identità: l’universo di Gavino Gabriel” 17-18 novembre 2015, Foyer del teatro Lirico e Aula Magna dell’Università degli Studi di Cagliari.
D. Parliamo prima di tutto dei luoghi della Jura.
R. Sono sostanzialmente i luoghi della Gallura, Aggius e dintorni e il vicino santuario della Madonna del Rimedio presso il paese di Luogosanto. Ci sono andato, naturalmente, ma poi me ne sono distaccato, alla ricerca di una memoria più ampia, delle emozioni e commozioni riferibili a quella realtà rurale arcaica sarda che fa da sfondo al dramma. Però ho spostato l’azione agli anni Cinquanta-Sessanta.
D. Quando, secondo Pasolini, finisce la civiltà contadina con il suo retaggio culturale e valoriale…
R. Ed è quando molti sardi vanno in Continente per lavorare o per studiare, indossano gli abiti “alla civile”, alla cittadina, e la civiltà arcaica diventa lentamente memoria contemplata da questi sardi che tornano. Mi sono lasciato trasportare da questa forte contrapposizione, ma ho puntato molto anche su elementi e simboli visuali di carattere più universale, per suggerire l’inquietudine e il movimento delle emozioni inespresse, attraverso dettagli che suggeriscono la memoria che perde, ritrova e trasforma il vissuto: il filmato di un contadino che passa sull’asino, il vento, lo specchio d’acqua presso cui riposa Jaconi
tornando dal suo esilio in Corsica, gli asfodeli che in Sardegna si raccolgono per intrecciare le ceste, la rocca di Anna che dipana il filo del destino, perché il tema chiave della Jura è il conflitto fra volontà e destino. Immagini in trasformazione e in movimento: c’è una forte componente cinematografica in Gabriel, che poi fu anche cineasta, e fra le sue carte abbiamo trovato anche un progetto di sceneggiatura della Jura.
D. Senza ledere il diritto alla scoperta e alla sorpresa dello spettatore diciamo almeno che La Jura ha una sorta di lieto fine…
R. Sì, ma terribile, ad altissimo prezzo, perché passa attraverso il rimorso di un delitto che viene compiuto dal protagonista per ottemperare alla jura, al giuramento ordalico in cui il protagonista, Jaconi, un pastore-poeta, si è impegnato. L’altra figura che mi ha profondamente appassionato è quella di Pasca, la demente.
D. L’interesse della Jura è quello di saldare su un tipico impianto musicale e drammaturgico verista l’originalità del canto tradizionale sardo, il cui aspro e arcaico fascino continua a vivere in tanti gruppi, e a maggior ragione in epoca di word music.
R. In questo siamo stati fortunati, perché nel nostro percorso abbiamo trovato molto interesse e molti compagni di strada. Per gli episodi di canto a tasgia e anche per i movimenti coreografici abbiamo coinvolto i gruppi tradizionali. La passione che l’operazione sta suscitando ci sembra veramente tanta, e abbiamo trovato, strada facendo, anche molte persone anziane che si ricordano benissimo dell’allestimento cagliaritano del 1959.