–di Claudia Renzi-
Federica Bosco affronta in un libro la psicopatologia della donna moderna incastrata in relazioni impossibili. Sulle tracce di Robin Norwood.
Credevo fosse amore e invece era… compulsione. Chi pensava che le “donne che amano troppo” di Robin Norwood fossero un ricordo degli anni ‘80 sarà smentito dalle pagine dell’ultimo libro di Federica Bosco, in testa alle classifiche per Mondadori con il manuale di self-help Dimenticare uno stronzo. Il metodo detox in 3 settimane. L’autrice ripercorre la psicopatologia della donna moderna, vittima di relazioni per lo più scadenti ma vissute con l’intensità di droghe, per colmare vuoti che appartengono al passato. L’obiettivo è offrire un autentico programma di disintossicazione, testato in prima persona e raccontato con trascinante ironia.
È ormai assodato che la love addiction crei problemi come l’alcolismo e il gioco d’azzardo…
La dipendenza affettiva, sebbene sia vista ancora come una debolezza tipicamente femminile, che rimanda alle eroine tragiche dei romanzi russi, è stata classificata a tutti gli effetti nel DSM V-Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, ossia la bibbia degli psicoterapeuti, come una dipendenza vera e propria. Inoltre è stata inserita nell’elenco delle new Addictions, cioè quelle dipendenze che anziché attivarsi a causa di una sostanza come alcol, droga o cibo, si attivano in seguito a un comportamento o a un’emozione. Parliamo dunque di sesso, relazioni, gioco d’azzardo, social network, abuso dello smartphone e shopping. Questo perché le reazioni chimiche che si innescano nel cervello, a seguito dell’ emozione provata, scatenano un’attivazione di neurotrasmettitori come dopamina e serotonina che generano piacere. A questo punto scatta la trappola: se siamo abbastanza sensibili, svilupperemo in poco tempo una dipendenza da colui o colei che ci fa stare sulle montagne russe. Al cervello poco importa se la nostra vita va a rotoli, a lui basta ottenere la “dose”. Ecco perché ho strutturato questo manuale in parte come fosse un detox da sostanze: perché non si può smettere di bere in un bar! La dipendenza affettiva o da stronzo, come preferisco chiamarla, deve essere interrotta in maniera drastica o si trascinerà per un numero infinito di anni, rendendoci disperati e infelici.
Dietro alle abitudini autodistruttive troviamo ancora una volta la famiglia?
La famiglia ha sempre una responsabilità importante nel modo in cui cresciamo. Spesso chi nasce ipersensibile si trova da subito a percepire gli stimoli esterni in maniera molto più intensa rispetto agli altri, e se queste emozioni non vengono riconosciute e validate dagli adulti di riferimento, si sentirà per sempre diverso e sbagliato. Quasi sempre però – e soprattutto fino a vent’anni fa, quando la psicologia non era ancora entrata a far parte delle nostre vite – i bambini ipersensibili si trattavano con poco garbo, come fossero lagnosi, pesanti, complicati, e li si esortava a “fare come gli altri”. E se sentimenti come la paura, il distacco, la solitudine non vengono accolti e giustificati, fanno sì che il bambino cominci a percepire come sbagliate le proprie emozioni e a non seguirle più, diventando un adulto distaccato dal proprio corpo che si lascia trascinare e sopraffare dagli altri, non essendo capace di mettere limiti.
Raccontare della propria dislessia e della bulimia ha cambiato il rapporto con i lettori?
Non vedo perché parlare di problemi che affliggono un’enorme percentuale di persone dovrebbe cambiare il mio rapporto coi lettori. Ho sempre avuto un rapporto schietto e diretto con chi mi legge e, come dico sempre, è facile insegnare a smettere di fumare se non si è mai fumato! Io stessa ho dovuto fare un enorme lavoro su me stessa per smettere di comportarmi come un’accattona sentimentale, e ho dovuto davvero toccare il fondo, e trovare aiuto. Ecco perché è poi nata l’esigenza di scrivere questo libro: per condividere la mia esperienza e poter essere d’aiuto a chi sta attraversando un momento difficile. Una dipendenza affettiva ti mangia la vita e la dignità. Il mio compito come scrittore è aiutare gli altri a trovare un suggerimento fra le pagine che serva a far scattare una reazione, un’immedesimazione, non certo a intrattenere.
Alla voce “detox” leggiamo: yoga e meditazione indiana. L’Occidente è rimasto indietro?
Diciamo che le discipline orientali affondano le loro radici in tecniche vecchie di tremila anni e se funzionano ancora oggi vuol dire che sono di provata efficacia. Il mondo occidentale è sempre teso verso il progresso, la corsa, lo status sociale, l’ansia da prestazione, finché arriva un momento in cui qualcosa si spezza dentro, arrivano la fatica, l’insoddisfazione, la depressione, l’infarto!, ed ecco la domanda cruciale: ma chi me lo fa fare? Perché anche se ho tutto e sono comunque infelice? Così ci rivolgiamo allo yoga e alla meditazione, perché rallentando il ritmo e rimanendo in contatto con il corpo, cominciamo ad ottenere benefici, ci sentiamo più radicati con la terra, ricominciamo a “sentire” noi stessi, impariamo a lasciare andare. Passiamo la prima parte della vita a correre e la seconda a ricercare quello che avevamo da bambini, ossia la semplicità, il nostro tempo, la gioia delle piccole cose. Non siamo certo fatti per diventare asceti e isolarci in montagna, ma riscoprire lo spazio che c’è dentro di noi è una chiave fondamentale per il benessere.
L’umorismo è un suo marchio di fabbrica. Eppure far ridere non è affatto facile!
Credo che le tecniche di scrittura si possano imparare col tempo, ma lo stile fa parte di te e non puoi mentire su questo. La mia testa funziona così: dopo che ho scritto un passaggio pesante e ho sviscerato problemi fino a sanguinare mi viene automatica la battuta. L’ironia mi fa aprire le finestre di una stanza piena di fumo e mi fa tornare a respirare. Non possiamo prenderci troppo sul serio, è un peccato mortale. Siamo tutti pieni di difetti, di piccole ipocrisie e manie, e questo ci rende umani, ci rende veri. Fingere di essere altro ci allontana da noi stessi. E poi saremmo obbligati a fare yoga e meditazione per il resto dei nostri giorni!
L’intervista prosegue dopo l’immagine
Editoria e misoginia: mai successo di sentirsi discriminata in quanto donna?
Inutile nascondersi dietro a un dito. Lo vediamo tutti i giorni in tutti gli ambienti: è un mondo di uomini, fatto dagli uomini, per gli uomini, dove non basta essere brava per riuscire, poiché ci sarà sempre qualcuno – spesso altre donne! – a insinuare che sei arrivata perché sei bella o sei stata favorita. È triste e squallido doversi giustificare per avere un valore, basti vedere come noi autrici veniamo classificate in libreria: “romanzi rosa”, “scrittura al femminile”… come se esistesse una scrittura azzurra, al maschile! È un’etichetta da serie B, un “contentino”. Se scrivi gialli vieni subito identificato come uno scrittore di spessore, se scrivi “rosa” è robetta alla Liala! Anche se ti strazi il cuore per affrontare temi pesanti e dolorosi come i rapporti familiari, la fine di una relazione, le dipendenze o la morte, ti sentirai dire cose del tipo: no, io quella roba non la leggo. La soddisfazione comunque me la danno i numeri e il calore fortissimo delle mie lettrici.