Entrare in paradiso finanziando le banche: ecco come

– di Daniele Milazzo-

Le banche, sempre loro: antisemitismo, usura, finanziamenti, una storia che viene da lontano in cui la Chiesa ha avuto un ruolo primario. Dall’Italia dei comuni e delle signorie apprendiamo qualcosa di più anche sull’oggi. Avvincente come un romanzo, ce lo spiega Daniele Milazzo.

Se c’è un simbolo religioso della povertà è San Francesco. Nel suo testamento si legge «in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento […] sempre amino ed osservino nostra signora la Santa Povertà». Nei decenni successivi alla morte del frate le tendenze pauperistiche si fecero così estreme da rischiare più volte la messa al bando dell’ordine francescano per eresia: va bene fare voto di povertà, ma imporlo agli altri – e soprattutto agli altri religiosi – non era per nulla gradito. Teologi francescani come Guglielmo da Occam cercarono un compromesso sostenendo che le comunità cristiane potessero avere in uso dei beni ma non possederli. Non ebbero successo: Guglielmo fu scomunicato insieme al generale dell’ordine francescano Michele da Cesena nonostante avessero posizioni moderate; i radicali come gli spirituali e i fraticelli furono costretti a lasciare l’ordine e alcuni furono condannati al rogo.

Questo però non significa che la Chiesa guardasse all’accumulo di ricchezze con favore: mentre condannava i pauperisti da una parte, ribadiva più volte la condanna dell’usura con il concilio di Lione nel 1274 e quello di Vienne nel 1311, minacciando di scomunica i Comuni o gli Stati che la permettevano.

Queste disposizioni, ovviamente, si applicavano a tutti i buoni cristiani. Coloro che cristiani non erano, come gli ebrei, si trovavano in un limbo giuridico. Se la Torah vieta di prestare a interesse (Levitico, 25: 35-36) il divieto è da intendersi solo verso altri ebrei, ed è consentito verso gli stranieri (Deuteronomio, 23: 20): questo permetteva loro di esercitare legalmente l’attività di prestanza di denaro. A partire dal XII secolo si assiste a una rapida diffusione dell’usura tra gli ebrei nonostante le leggi restrittive cui sono sottoposti.

Nel corso del ‘300 e ‘400 le grandi famiglie di banchieri italiane aggirano in vari modi le restrizioni usurarie ed espandono sempre più la loro attività intrecciandola con il commercio. Con l’aggravarsi delle restrizioni antisemite e con la maggiore concorrenza delle banche dei cristiani, gli ebrei ridimensionarono le attività bancarie cercando di mantenersi attivi nella nicchia di mercato di prestatori su pegno.

Sano di Pietro - San Bernardino predica nel Campo (ca. 1445) Siena, Museo dell'Opera del Duomo

Sano di Pietro – San Bernardino predica nel Campo (ca. 1445) Siena, Museo dell’Opera del Duomo

Questo significava, però, prestare denaro a una fascia di popolazione più povera e numerosa: artigiani, contadini, garzoni. Il pubblico preferito delle prediche dei francescani. Nell’agosto del 1425 il francescano Bernardino da Siena istiga il popolo di Assisi contro gli usurai con vari sermoni in cui chiede apertamente la cacciata degli ebrei dalla città. La morte di un usuraio, diceva, era come scannare un porco in famiglia: una festa ed una liberazione dalla fame per tutti. Se proprio non si voleva ammazzare gli ebrei, concludeva, almeno bisognava liberarsene dopo aver sequestrato tutti i loro beni. Che queste prediche avessero il loro effetto lo ricordano i contemporanei: a seguito delle sue prediche a l’Aquila i priori cittadini gli chiesero di moderare i toni «a fin che gl’hebrei non fosser da gl’Aquilani tagliati a pezzi».

Altri predicatori francescani come Bernardino da Feltre o Giovanni da Capestrano istigarono dei processi dove numerosi ebrei vennero condannati al rogo o espulsi dalle comunità. Questo però non impediva alle città di accogliere gli ebrei con l’obiettivo di aprire dei banchi di pegno: nel 1449 sono proprio i cittadini di Assisi a fare una petizione con questo scopo ai priori del comune affinché «come avviene nelle città, nelle terre e nei i castelli circostanti». Il capitolo dei francescani cerca di impedire che questo accada, ma senza successo.

Nella seconda metà del ‘400 è il francescano milanese Michele Carcano a trovare la soluzione: se gli ebrei sono richiesti e accettati perché non si può fare a meno della loro attività bancaria, allora bisogna sostituirsi a loro. Non con banchieri cristiani, che operano quasi esclusivamente come banche commerciali e di alta finanza, ma con qualcosa di nuovo: una banca dei poveri.

L’idea non era del tutto nuova: in passato alcuni facoltosi potevano lasciare delle somme a delle “arche delle elemosine”, che elargivano dei soldi ai poveri fino a terminare il capitale iniziale. Negli anni ’30 del 400 in Castiglia una di queste fu autorizzata a concedere ai poveri denaro in prestito annuale, senza interesse, sotto la direzione dei francescani. Proposte di istituti simili erano state già fatte in Italia, e qualche istituto simile già creato: ma tutto ebbe inizio, di fatto, con la predicazione di frate Michele Carcano a Perugia nell’aprile del 1462.

Dopo le prediche quaresimali contro gli ebrei, Carcano convinse il consiglio cittadino di Perugia a istituire un fondo per i prestiti ai poveri: dei 3.000 fiorini il Comune ne avrebbe stanziato 1.000 e i restanti 2.000 sarebbero stati ottenuti dalla comunità ebraica. Era nato il primo Monte di pietà.

Il nome di Monte di pietà (Mons Pietatis) deriva dalla devozione diffusa nel territorio umbro delle immagini del Christus patiens, usato dal francescano Bartolomeo da Colle a Orvieto nel 1463 come simbolo di una istituzione, il Mons Christi, che poneva nella chiesa di S. Andrea una cassa per le elemosine sotto una immagine del Cristo per suscitare la pietà e la compassione dei fedeli: oggi lo chiamerebbero ambient marketing.

Un altro predicatore francescano, Marco da Montegallo, sostenne la fondazione di un Monte di pietà gratuito a Sansepolcro nel 1464 e a Fabriano nel 1470; a Bologna il Monte di Pietà fu istituito nel 1473 con la seguente definizione: Mons pietatis contra pravas ludaeorum usuras erectus, ovvero “eretto contro la prava usura dei giudei”. Altri monti sorsero in poco tempo a Viterbo (1469), Siena (1472), Velletri (1477), Savona (1479), e molte altre città, a macchia di leopardo e soprattutto nel centro-nord italiano.

Come mai a macchia di leopardo? Dove i tassi d’interesse praticati dai prestatori erano più alti, e i rapporti tra ebrei e popolazione urbana erano più tesi, i Monti di pietà si imposero velocemente, estromettendo la concorrenza; ma nelle città in cui si praticavano tassi inferiori e i rapporti tra le comunità ebraiche e i governi cittadini erano regolati con accordi precisi le istituzioni francescane faticarono a affermarsi.

Un esempio è la città di Firenze: un primo tentativo di fondare un Monte di pietà ci fu nel 1473 a opera dei due francescani Fortunato Coppoli e Giacomo da Cagli, ma il Monte chiuse dopo poco tempo a causa degli ottimi rapporti tra la famiglia Medici e la comunità ebraica, che gestiva in città quattro banchi.

Marco da Montegallo, La tabula della Salute, xilografia da incunabolo, 1494 (Firenze, Biblioteca Nazionale).

Marco da Montegallo, La tabula della Salute, xilografia da incunabolo, 1494 (Firenze, Biblioteca Nazionale).

Per aumentare il numero dei Monti e dei loro finanziatori i francescani iniziarono la prima campagna pubblicitaria a mezzo stampa: a Venezia nel 1486 e a Firenze nel 1494 usciva dai torchi della stampa un pamphlet di Marco da Montegallo: un Libro delle comandamenti di Dio del Testamento Vecchio et Nuovo et sacro canoni, cui era allegata una Tabula della salute. In questa spiccava un’incisione, intitolata La figura della vita eterna o vero del Paradiso et delli modi et vie di pervenire a quello. L’immagine ruotava intorno alla figura centrale di un enorme «Mons Pietatis»: il paradiso è un monte di denari cui attingere.

Per entrare in paradiso, sosteneva frate Marco, bisognava allontanare l’«infame et damnato usuraro» e ricercare invece «il guadagno nell’anima, nel corpo, nella fama et nelli beni temporali deli danari posti nel sacratissimo Monte della Pietà al libro della entrata o vero a quello della intrata del prestito». Il senso è chiarissimo: chi finanzia il Monte va in paradiso.

 

Ogni Monte nasce legato al territorio: si prestano su pegno piccole somme di denaro soltanto ai cittadini residenti, sotto giuramento di usarlo per necessità. È vietato prestare denaro per finanziare attività di mercatura o per ripagare debiti da gioco d’azzardo, ed è vietato altresì farne un uso moralmente riprovevole.

Ognuno ha i suoi statuti con le sue particolarità, ma con una distinzione netta: alcuni chiedevano la semplice restituzione del denaro, altri – come quello di Perugia – richiedevano un tasso di interesse, solitamente oscillante tra il 5% e il 10%, per appianare il costo del servizio e le spese per il funzionamento del Monte.

I Monti gratuiti furono, inizialmente, i più diffusi, e anche i primi a scomparire dopo pochi anni: esaurito velocemente il capitale iniziale, l’azione combinata dell’inflazione e dei costi di mantenimento delle strutture li condannava al tracollo finanziario.

Nel Capitolo Generale dei Minori Osservanti, tenuto a Firenze nel 1493, furono ascoltati Michele da Acqui, sostenitore dei Monti gratuiti e Bernardino da Feltre, difensore dei Monti a interesse. Quest’ultimo sosteneva che il prestito gratuito era pregiudizievole alla buona riuscita del Monte e ribadì come, fosse necessario prevedere un rimborso. Il Capitolo stabilì all’unanimità che i Monti dovessero essere fondati prevedendo il rimborso delle spese da ottenere tramite la restituzione a interesse del denaro prestato; la posizione fu ribadita anche dal Capitolo Generale di Milano nel 1498.

Cacciati i Medici da Firenze nel 1494 si creò un clima favorevole alla costituzione di un Monte: lo stesso Bernardino da Feltre e il domenicano Girolamo Savonarola fecero stampare e pubblicare La Tabula della Salute e nei loro sermoni si lanciarono contro gli usurai. Il 28 dicembre 1495 il Consiglio Maggiore della città approvò la costituzione del Monte di Pietà ordinando la cacciata dei prestatori ebrei da Firenze.

Qualcuno iniziò a dubitare che qualcosa non andasse per il verso giusto: con i Monti a interesse i francescani si scontravano con il divieto di prestare denaro a usura, incorrendo nello stesso peccato condannato da loro – e da tutti i padri della Chiesa, tanto per dirne una. A sostegno dei francescani c’era il parere di importanti giureconsulti, ma agostiniani e domenicani condannavano senza mezzi termini l’illecita usura dei Monti di pietà.

Il cardinale Tommaso De Vio, da buon domenicano – e quindi avversario dei francescani – ammetteva senza problemi che i Monti dovessero gestire in modo razionale il denaro e che le spese d’esercizio non dovessero intaccare il capitale iniziale, ma notava che la struttura stessa dei Monti era ingiusta e illecita: con l’applicazione di un tasso di interesse nella restituzione del denaro si addossavano le spese agli stessi poveri che accedevano al credito, mentre secondo De Vio i costi di gestione avrebbero dovuto essere addossati ai Comuni o agli enti religiosi che li amministravano.

A chiudere la polemica ci pensò papa Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de’ Medici: nel 1515, basandosi sui pareri dei giureconsulti favorevoli ai francescani, pubblicò la bolla papale Inter multiplices, nella quale stabiliva che «un tale tipo di prestito è meritorio e deve essere lodato e approvato, né deve essere assolutamente considerato come una usura», purché i Monti si limitassero a esigere, oltre la restituzione del prestito, un «modesto compenso» per le spese degli impiegati, senza un guadagno per l’istituto.

Una soluzione all’italiana: chi stabilisce quanto sia “modesto” il compenso degli impiegati di una banca e le spese per il mantenimento di un istituto? Nel frattempo, Marco da Montegallo, che ha promesso il paradiso ai finanziatori dei Monti di pietà, è stato proclamato beato dalla Chiesa Cattolica.

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Fonti:

Maria Giuseppina Muzzarelli, Il denaro e la salvezza. L’invenzione del Monte di Pietà, Il Mulino, Bologna, 2001.

Michele Luzzati, Banchi e insediamenti ebraici nell’Italia centrosettentrionale fra tardo Medioevo e inizi dell’Età moderna, in Gli ebrei in Italia, Storia d’Italia. Annali, 11, 1, Torino, 1996, pagg. 173-235.

Rosa Maria Dessì, Usura, Caritas e Monti di Pietà. Le prediche antiusurarie e antiebraiche di Marco da Bologna e Michele Carcano in “I frati osservanti e la società in Italia nel secolo XV” – Atti del XL convegno internazionale di studi francescani – Assisi/Perugia 11-13 ottobre 2012.

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