E ora, Musical! Mio Dio…

Data: marzo 24, 2016

In: TEATRO E DANZA,

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-di Pangloss-

Riflessione di un addetto ai lavori molto speciale sulla forma teatrale più cara agli americani. Direttamente dalla Big Apple, signori, ecco il musical!

Alcuni mesi or sono ero a New York. Naturalmente, quando si è nella “grande mela”, la prima cosa da fare se si conosce già la città,  “obbligatorio” per chi vive di teatro, è passare molte ore della mattina, del pomeriggio e della notte nei tanti teatri di Broadway. Dunque: 49 Street. Theatre Eugene O’Neill:The book of MormonIl Musical preferito da Dio! Così recita la pubblicità!
Un musical che, possiamo affermare senza ombra di dubbio, ha risollevato le quotazioni di Broadway… quotazioni che in questi ultimi anni si erano notevolmente abbassate . Non vi tedierò con il raccontarvi la trama, la potete trovare on-line, sappiate soltanto che si raccontano le vicissitudini di alcuni missionari in Africa. Ma innanzi tutto vorrei sottolineare che lo spettacolo, finalmente, è politicamente ”scorretto”, senza falsi buonismi ed anche con dei momenti che possono risultare antipatici. Interpreti giovani e di ottimo livello, idem la colonna sonora e le canzoni. Pubblico entusiasta. Prezzi salati, ma teatro gremito.

All’uscita dal teatro, con un freddo quasi siberiano, ho cercato di mettere in moto il cervello e quindi mi sono infilato nel primo locale, dove, ovviamente, ho trovato una temperatura africana. Si sà……. gli americani non sono molto attenti al risparmio di energia! Dopo un Irish coffee ho riflettuto su quanto avevo visto. Come prima cosa, va da sé che comunque, ora mai da molti, molti anni, la grande macchina produttiva di Broadway strizza l’occhio, anzi tutti e due, alle migliaia di turisti che affollano New York durante tutto l’anno, consumando e consumandosi con una voracità mostruosa. Di conseguenza non è possibile, forse non lo è mai stato, le eccezioni confermano la regola, trovare un musical che possa parlare anche alla testa e non soltanto alla pancia dello spettatore. Attenzione però, non facciamo l’errore di pensare che, siccome la musica e le canzoni la fanno da padroni, quello che fruiamo sia comunque di poco conto e non possa incidere sul pensiero di ciascuno di noi. Ovviamente vi sono differenze e “The book of Mormon” è uno di questi, anche se l’aspetto, per dirla alla Brecht, “gastronomico” è presente in maniera decisa. Del resto anche per i musicals mitici, per esempio Jesus Christ superstar e Hair, non era possibile, uscendo dal teatro o dal cinema, non accennare allegramente uno o più motivi, ma subito dopo iniziavamo a parlare del senso di quello che avevamo visto. Credo che sarà sempre più difficile per i producers americani che, tra l’altro, non hanno più voglia di rischiare, trovare autori che sappiano scrivere storie che abbiano un riscontro nel quotidiano e che riescano a mediare le esigenze del botteghino, con STORIE che abbiano un riferimento immediato con la realtà. Oggi i giovani che abitano, per esempio, nella parte estrema del Queens (ora mai Brooklin e il primo Bronx sono assolutamente “in”), sono simili, ma non uguali, al “branco” di Tony Manero e company. Soltanto che adesso si emigra subito a Manhattan e si viene respinti immediatamente. Tutto ciò potrebbe essere letto come un parallelo, certamente di gran lunga meno drammatico e violento, di quello che accade da noi in Europa: anche nella “grande mela” ci sono muri, trasparenti, ma spessi. Però questa è un’altra storia.

Ultima cosa: il musical è, senza ombra di dubbio, l’espressione teatrale più vicina al “sentire” del popolo americano, e dobbiamo riconoscere che lo studio quasi maniacale, straordinario, degli addetti ai lavori che per mesi indagano nei minimi particolari le ipotetiche risposte del pubblico (a volte un vero “work in progress” a seconda degli avvenimenti), fa si che i risultati, in termini economici, non si facciano attendere. E questo, credetemi non è poco.

Bene, mi auguro di aver sollecitato la vostra curiosità….il resto a voi. Vi saluta il vostro affezionato

Pangloss

 

 

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