COVID-19 e l’accesso aperto al sapere biomedico

– di Marco Capocasa –

L’importanza dell’accessibilità ai prodotti della ricerca scientifica è stata sostenuta nel corso dell’ultimo decennio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) al fine di sensibilizzare i ricercatori alla condivisione di metodi, risultati e dati dei loro studi, contribuendo così il più possibile al progresso della biomedicina.

Un principio, questo, recentemente ribadito anche dalla World Medical Association (WMA), nel corso della settantesima Assemblea Generale svoltasi a Tbilisi in Georgia nell’ottobre del 2019. In tale occasione, la WMA ha evidenziato la necessità di promuovere iniziative volte a favorire l’accesso tempestivo a informazioni sanitarie che siano attuali e basate sull’evidenza. 

Open Access, ovvero l’accesso aperto e privo di restrizioni ai prodotti della ricerca scientifica

Queste raccomandazioni si ispirano ai principi dell’Open Access, ovvero l’accesso aperto e privo di restrizioni ai prodotti della ricerca scientifica. Si tratta della possibilità, per chiunque, di accedere agli articoli scientifici senza dover pagare il costo della rivista in cui sono stati pubblicati.

Il modello di Open Access più diffuso si basa sul pagamento da parte degli autori di una somma in denaro, al fine di coprire i costi di produzione dell’articolo e per la sua messa a disposizione gratuita in formato elettronico. 

Anche se molte istituzioni accademiche stanno promuovendo l’Open Access per garantire la più ampia diffusione delle loro ricerche, ad oggi non si può affermare che tale pratica sia la norma nell’ambito degli studi sulla salute globale, nonostante negli ultimi vent’anni siano state proposte diverse iniziative volte a facilitare l’accesso alle risorse scientifiche.

Ad esempio, nel gennaio del 2002 l’OMS ha lanciato un programma denominato Health Inter-Network Access to Research Initiative (HINARI) con il quale ha stabilito una collaborazione con i principali gruppi editoriali di riviste scientifiche, in modo da garantire l’accesso ai prodotti scientifici a gruppi di ricerca che operano in paesi in via di sviluppo.

L’obiettivo esplicito di questo programma è chiaramente quello di ridurre il divario di conoscenza tra i paesi ad alto e basso reddito. HINARI ha poi stabilito una collaborazione con altre iniziative simili (AGORA, OARE, ARDI e GOALI), denominata Research4life, per fornire l’accesso gratuito o a basso costo alla letteratura scientifica e ai database nei paesi in via di sviluppo.

La condivisione delle conoscenze scientifiche può svolgere un ruolo decisivo anche nel contrastare le epidemie.

Un caso emblematico in questo senso è quello dell’epidemia di Ebola. Una delle ragioni per le quali all’inizio degli anni Ottanta l’alto potenziale epidemico di questo virus tardò ad essere compreso fu proprio una ridotta diffusione delle informazioni scientifiche.

Questo perché lo studio che le riportava, condotto da un gruppo di ricercatori del Bernhard-Nocht-Institut für Schiffs- und Tropenkrankheiten di Amburgo, venne pubblicato in una rivista che consentiva l’accesso agli articoli solo agli abbonati.

Probabilmente, una maggiore e tempestiva accessibilità a questi risultati avrebbe potuto ispirare azioni altrettanto tempestive ed efficaci per ridurre la portata della diffusione di questa febbre emorragica, che si verificò poi nel 2014 nella stessa area geografica.

Oggi tutto il mondo sta affrontando la pandemia dovuta alla diffusione del SARS-CoV-2. In poco più di un anno dall’identificazione del virus responsabile di questa inedita e grave emergenza sanitaria, sono stati identificati a livello globale oltre 120 milioni di casi e più di due milioni e mezzo di decessi.

Purtroppo, come è possibile verificare dai continui aggiornamenti riportati dal Coronavirus Resource Center della Johns Hopkins University, questi numeri sono provvisori e destinati ad aumentare. In questa situazione in evoluzione, avere prontamente disponibili nuove conoscenze sulla COVID-19 può rappresentare un grande aiuto per tutte le attività di ricerca e intervento. 

L’importanza delle riviste scientifiche Open Access

Un contributo determinante in questo senso è giunto da alcuni importanti publishers di riviste scientifiche, come Elsevier e il Nature Publishing Group, i quali hanno deciso di rendere liberamente accessibili i lavori dedicati alla COVID-19.

Gli effetti immediati di tale contributo sono emersi nel corso di una indagine sull’accesso aperto dei lavori scientifici dedicati al Sars-CoV-2 che ho recentemente condotto insieme a Giovanni Destro Bisol e a Paolo Anagnostou.

Dal nostro studio è emerso infatti che il tasso complessivo degli articoli scientifici ad accesso aperto relativi a questa malattia, pubblicati nei primi sei mesi dalla scoperta del suo agente eziologico, è dell’89,5%.

Si tratta indubbiamente di un valore molto alto, molto di più di quello osservato per altri coronavirus, come la SARS (26,2%) e la MERS (37,7%), o per influenze come l’aviaria (27,9%) e la suina (51,3%). 

Se si confrontano i tassi di Open Access degli studi dedicati alla COVID-19 con quelli riguardanti le dieci malattie umane con il più alto numero di decessi (così come sono state riportate dal Global Burden of Disease Study), si può vedere come per queste ultime, pur essendo ben nota la loro pericolosità e l’incidenza che esse hanno sui sistemi sanitari dei vari paesi del mondo, sia stato fatto molto meno per rendere prontamente disponibile il sapere scientifico derivante dalle pubblicazioni. L’accessibilità a questi studi varia infatti dal 44% delle “Patologie materne e neonatali” al 58,9% delle “Infezioni respiratorie e tubercolosi”.

Tassi di Open Access dei lavori su COVID-19 e su altre patologie umane

La strada maggiormente percorribile per colmare questo divario, e che richiede un costo minore in termini di impegno da parte dei ricercatori e di risorse da parte degli editori, è rappresentata dai cosiddetti post-print ovvero i manoscritti dei lavori scientifici nella loro versione finale ma non ancora formattata per la pubblicazione sulle riviste.

Come abbiamo potuto constatare attraverso il nostro studio, se l’impegno a fare buon uso di questa risorsa fosse anche solo limitato alla buona volontà degli autori a dedicare maggiore attenzione all’archiviazione dei loro post-print, l’accesso aperto alle informazioni scientifiche, per le già menzionate dieci malattie con più alto numero di decessi, potrebbe incrementare quasi del 50%. Appare quindi evidente come questa pratica, praticamente a costo zero, potrebbe portare ad avvicinarsi al livello di accessibilità che attualmente esiste per COVID-19. 

L’importanza della cooperazione e dalla condivisione dei dati e del sapere

La lotta che la comunità scientifica ha messo in atto per contrastare l’avanzata della pandemia ha dimostrato che, così come era successo anche con la SARS, l’arma più potente che gli scienziati hanno a disposizione è quella della cooperazione e dalla condivisione dei dati e del sapere. La diffusione della cultura dell’Open Science è quindi la vera sfida che dobbiamo dimostrare di saper cogliere se ci vogliamo avvicinare alla visione proposta dalla Healthcare Information For All (HIFA): un mondo in cui chiunque possa accedere alle informazioni sanitarie di cui si ha bisogno, per proteggere la propria salute e quella di coloro per i quali si è responsabili. 

Per saperne di più:

Marco Capocasa, Paolo Anagnostou e Giovanni Destro Bisol, 2020.Why (and how) COVID-19 could move us closer to the “health information for all” goal. MedRXiv.

David L. Heymann, 2020. Data sharing and outbreaks: best practice exemplified. Lancet 395:469-470.

Elise Smith et al., 2017. Knowledge sharing in global health research – the impact, uptake and cost of open access to scholarly literature. Health Research Policy and Systems 15:73.

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