Bruno Canino e Antonio Ballista. Genio e regolatezza

NOSTRA INTERVISTA ESCLUSIVA IN OCCASIONE DEI 60 ANNI DI CARRIERA

– di Massimo Giuseppe Bianchi

A colloquio coi due grandi interpreti. Sessant’anni di carriera, di collaborazione pianistica, di amicizia. Un traguardo certo non comune che il duo Canino-Ballista taglia quest’anno con operosa tranquillità. Indifferenti alle mode, equilibrati in tutto tranne che nella smodata passione per l’arte, amati e stimati dal pubblico e dai colleghi, sognatori con i piedi rivoluzionariamente piantati per terra, Bruno Canino e Antonio Ballista sono tra gli interpreti più significativi del nostro tempo e hanno ancora tanto da dire.

Ricordate il vostro primo concerto insieme?

Antonio Ballista e Bruno Canino

Antonio Ballista e Bruno Canino

B.C. Certamente. La risposta sarà univoca, per quanto io non abbia memoria e invece Antonio abbia una memoria straordinaria: fu a Seregno, per festeggiare Ettore Pozzoli. Suonammo la sua Tarantella, pezzo assai garbato, che deplorevolmente credo non abbiamo mai più eseguito.

Ai vostri esordi c’erano molte altre formazioni analoghe?

B.C. Il duo per antonomasia era quello di Gino Gorini e Sergio Lorenzi; probabilmente vi saranno stati anche altri duo di nostri coetanei, forse effimeri.

A.B. Il duo Gorini-Lorenzi nacque in un periodo di relativo isolamento culturale del nostro Paese. In America c’era il mitico duo Gold-Fizdale; in Germania i fratelli Kontarsky, duo storico della Neue Musik. Bruno ed io abbiamo avuto la fortuna di iniziare la nostra attività in un momento di grande fervore internazionale, che offriva notevoli possibilità di lavoro anche oltre frontiera. L’entusiasmo per le nuove tendenze e la nostra assoluta disponibilità di studio fecero sì che ci inserissimo ben presto nel giro di esecutori di quella “nuova musica” che, a partire dagli anni 50, si diffondeva dalla roccaforte di Darmstadt in tutte le direzioni. Allora la mole di richieste di nuove esecuzioni era impressionante. Ricordo che durante lo svolgimento delle non mai abbastanza lodate ‘Settimane della Nuova Musica’ di Palermo la nostra presenza era richiesta in quasi tutte le formazioni strumentali e luoghi di prova e, pur lavorando quasi senza interruzione tutto il santo giorno, riuscivamo lo stesso a scontentare tutti i direttori che non ci perdonavano di non possedere il dono dell’ubiquità.

Fu un tirocinio da marines, atto a fornirci di formidabili anticorpi. In pochi anni arrivammo a disporre di un cospicuo repertorio di composizioni appositamente scritte per noi. Nei nostri concerti ci facevamo un punto d’onore di inserire sempre, accanto ai classici, composizioni nuove.Negli anni sessanta riuscimmo ad eseguire presso l’ente concertistico per antonomasia più tradizionalista di Milano, la Società del Quartetto, gli scandalosissimi ‘Tableaux Vivants – avant la Passion selon Sade” di Sylvano Bussotti. Quella sera, durante la nostra esecuzione, Cathy Berberian ebbe l’idea di attraversare il palcoscenico avvolta in pesanti catene. Successivamente un’esecuzione dello stesso pezzo, a Palermo, inizialmente proibita per intervento personale dell’Arcivescovo, fu successivamente consentita a condizione che sul programma figurasse il seguente titolo:” La Passion selon * “.

Come avete cominciato a frequentarvi?

A.B. Il nostro sodalizio incominciò nella classe di musica da camera di Antonio Beltrami al Conservatorio di Milano. Ma non ci incontravamo solo in classe. Eravamo entrambi molto voraci di musica, ed era iniziata una intensa amicizia che faceva si, ad esempio, che ci incontrassimo talvolta per seguire insieme, ora a casa dell’uno ora a casa dell’altro, alcune trasmissioni radiofoniche di opere liriche – ricordo in particolare Wagner – su partiture che prendevamo a prestito dalla biblioteca del Conservatorio.

Come descrivereste le principali differenze di ordine strumentale, stilistico ed espressivo tra il quattromani e il due pianoforti, le forme in cui si articola il vostro duo?

Duo-Canino-Ballista.

in concerto a quattro mani

B.C. Il quattromani esprime e rappresenta sentimenti di amicizia; il due pianoforti illustra un attegiamento più competitivo, quasi sportivo.

A.B. Nel quattromani, dove si suona su una sola tastiera, bisognerebbe riuscire, pur non rinunciando ad uno studio approfondito, a simulare una certa estemporaneità di esecuzione che possa rievocare l’origine domestica di musiche composte soprattutto per essere eseguite in casa per il proprio piacere. Ma in questa formazione, che comprende opere di altissima ispirazione, può capitare che anche i passi pianistici più elementari diventino problematici, per l’innaturalità delle posizioni che gli esecutori sono costretti ad assumere nello spazio coatto di un unico seggiolino. Tutt’altro discorso per la letteratura a due pianoforti, composta per essere eseguita in concerto e nella quale i due pianisti possono esibirsi anche nel virtuosismo, alternandosi nel ruolo di solisti e di accompagnatori. Ma pur sempre limitando un poco la propria libertà agogica: rispetto alle altre combinazioni cameristiche, infatti, nel duo pianistico l’insieme è più difficile per la drasticità del cosiddetto “coefficiente d’attacco”.

Come definire il vostro stile interpretativo?

B.C. Ognuno è il peggior osservatore di se stesso: io mi illudo di essere un onesto funzionario addetto alla comunicazione del linguaggio musicale.

A.B. Premesse culturali e impostazioni tecniche molto simili ci consentono quell’omogeneità di propositi che permette alle nostre personalità, pur diversissime, di coesistere, in una reciproca fecondazione.

Siete artisti assai noti nellambito della musica contemporanea, ed avete ispirato numerosi compositori che vi hanno dedicato le loro opere. Vorreste ricordarne qualcuno in particolare?

B.C. Tra i lavori a noi dedicati direi sopratutto “Omaggio a Grieg” di Niccolò Castiglioni, e anche “Anfrage” di Paolo CastaldiNaturalmente fu frequente il rapporto con vari composizioni nostra generazione, che spesso erano nostri compagni di Conservatorio: lo stesso Castiglioni, Giacomo Manzoni… Mi piace poi ricordare la collaborazione con Luigi Dallapiccola, che apparteneva alla generazione precedente. Era persona non facile, eccellente pianista, molto emotivo. Eseguimmo con lui diverse volte gli “Inni”, e fu senz’altro un’esperienza che ha lasciato il segno.

A.B. I compositori sono veramente tanti: Bussotti, Castaldi, Castiglioni, Donatoni… Luciano Berio ci affidò la prima esecuzione del suo “ Concerto per due pianoforti e orchestra” che ebbe luogo al Lincoln Center di New York, con Pierre Boulez e la New York Philarmonic. Con Stockhausen eseguimmo “Mantra” in una tournée che toccò le principali città italiane: egli ci affiancava curando personalmente la regia del suono.


Si parla oggi, non senza motivazioni, della crisi del Concerto; qualcuno si spinge persino a vaticinarne la fine, perlomeno come celebrazione di un rito borghese. Come vedete la scena attuale, sia nell’ ambito delle proposte di nuova musica sia per quanto riguarda il rapporto col pubblico?

B.C. Confesso di rispettare molto il pubblico tradizionale, di tenere in considerazione i suoi gusti e le abitudini… questo però quando suono. Quando invece mi trovo seduto fra il pubblico e ascolto un concerto, soffro parecchio. Tutto sommato ascoltare musica per radio mi sembra la soluzione più giusta, mentre la musica riprodotta (io li chiamo ancora dischi) può indurre a pericolosi zapping, o alla psicosi deleteria di “interpreti a confronto”

A.B. La necessità di rinnovamento oggi è inficiata dall’ossessione degli operatori culturali per l’audience compiacendo la parte più reazionaria del pubblico più tradizionale. E chi non sottostà alla prepotenza del mercato la paga salatissima.

In tanti anni di carriera, ricordate un episodio particolarmente buffo?

A.B. Una prova mancata a Parigi con Boulez che aveva dato forfait allultimo momento per indisposizione. Un incubo che si è tramutato improvvisamente in una rilassatissima vacanza. (Alla notizia ci siamo abbracciati come due calciatori dopo un goal). A proposito di vacanze: fino a qualche tempo fa Bruno e io, con le nostre rispettive famiglie, usavamo ogni anno prenderci una vacanza insieme di una settimana, intraprendendo viaggi rigorosamente tematici che escludevano le più piccole divagazioni dal tema prescelto. A questo proposito ricordo che durante un giro dedicato al Rococò bavarese avevamo addirittura impedito alle nostre mogli di fermarsi a contemplare una famosa cattedrale gotica incontrata durate l’itinerario, poiché non rientrava nel rigorosissimo programma. Le poverine poterono soddisfare il loro desiderio soltanto nottetempo, uscendo furtivamente mentre Bruno ed io dormivamo sonni tranquilli. Purtroppo negli anni più recenti queste occasioni, demenziali ma anche molto gratificanti, si sono diradate: evidentemente, da vecchi, stiamo lavorando un po’ troppo.

Nel genere del duo pianistico, uno spazio piuttosto importante occupano le trascrizioni di opere nate, o maggiormente note, per altre destinazioni strumentali. C’è però chi questi travestimenti li rifiuta, imponendosi di eseguire esclusivamente lavori cosiddetti originali. Che ne pensate?

B.C. Non amo le trascrizioni e mi allarma la loro crescente diffusione.

A.B. Busoni asseriva che ogni opera è già la trascrizione di un’idea. Strawinsky si lamentava di non essere mai riuscito a scrivere il finale della “ Sagra della primavera” esattamente come lo sentiva nella propria testa. Tutta la storia della musica abbonda di meravigliose trascrizioni. Personalmente ritengo che snobbarle significhi privarsi di un grande arricchimento culturale. Nella letteratura del duo pianistico vi sono anche prime versioni di opere per orchestra scritte per ragioni utilitarie (per esempio fornire la possibilità di studio ai ballerini prima di avere a disposizione l’orchestra) che si possono considerare opere originali a tutti gli effetti: di questa categoria fanno parte anche balletti di Debussy e Strawinsky.

Vi sono altri generi musicali che vi interessano al di fuori della cosiddetta musica classica, o concertistica che dir si voglia?

B.C. Sì, amo la musica del Medioevo e la musica etnica; ma naturalmente adoro l’opera, il quartetto, i Lieder ecc….

A.B. Ascoltando la musica con le proprie orecchie (come prescriveva Strawinsky) appare evidente lassurdità di considerare le distinzioni di genere discriminanti nel valore. Non ho mai capito perché una sinfonia noiosa debba essere valutata come musica di serie “a”, mentre una strepitosa canzone debba rimanere confinata in una valutazione di serie “b”. Il basso e lalto non dipendono necessariamente dalloggetto, quanto dal punto dosservazione del fruitore.

 

Rispettivamente, vi domando: se il suo collega e amico fosse un personaggio letterario, quale sarebbe?

B.C. Un personaggio di Jean Paul.

A.B. Il mio collega non ha un sosia letterario perché è già in sé un personaggio irripetibile.

Quali i prossimi autori che affronterete in sala da concerto o in discografia?

B.C. Nihil novi, purtroppo…

A.B. Nulla di nuovo quanto ad acquisizione di nuove opere..però registreremo e suoneremo a breve con estremo piacere l’integrale delle” Danze ungheresi “ di Brahms.

 

saluti1

la foto di apertura è tratta dal sito ufficiale di Antonio Ballista

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