Bonaldo Giaiotti, il grande basso italiano

Bonaldo Giaiotti ci ha lasciato. Ieri 11 giugno all’età di 85 anni. Vogliamo ricordarlo riproponendovi il contributo che Rino Alessi ha scritto per noi

 

– di Rino Alessi-

Rino Alessi ci racconta come è nato il suo ultimo libro, dedicato a Bonaldo Giaiotti

 

Nato a Ziracco in provincia di Udine il 25 dicembre del 1932, Bonaldo Giaiotti è l’ultimo rappresentante della grande tradizione dei bassi di scuola italiana. A New York, ricorda Nello Santi che è ormai la memoria storica del microcosmo musicale italiano, lo scritturarono subito perché la sua voce assomigliava a quella di Ezio Pinza che era stato un idolo del Metropolitan.

L’idea di dedicare a Giaiotti un libro sulla falsariga di quelli su Piero Cappuccilli e Carlo Cossutta già pubblicati in precedenza mi fu lanciata da Gabriele Ribis proprio a Ziracco. Si festeggiavano gli ottant’anni di Bonaldo ed eravamo alla vigilia di Natale. Ribis, cantante lirico friulano pure lui, oltre che fondatore del Piccolo Festival del Friuli Venezia Giulia, aveva radunato nella piccola località dell’hinterland udinese un gruppo di artisti ed estimatori di Giaiotti. C’erano politici regionali, amministratori locali, l’allora presidente dell’Ente Friuli nel Mondo Pietro Pittaro. Artisti venuti da vicino come Annamaria Dell’Oste, Alessandro Cortello e Paolo Rumetz, o da lontano come Carlo Colombara che di Giaiotti fu allievo.

C’era naturalmente il festeggiato accompagnato dall’elegantissima signora Alice Weinberger, sua moglie. E c’ero anch’io. Mi fu chiesto di inquadrare storicamente la personalità artistica di Giaiotti nell’ambito di una serata che alternava musica dal vivo e musica registrata, parole di circostanza e parole affettuose, ma soprattutto tanta ammirazione. Lo feci con piacere, anche se parlare di Giaiotti davanti a Giaiotti, mi metteva in un certo imbarazzo. Ricordai le frequenti occasioni in cui ebbi il piacere di ascoltare Bonaldo dal vivo. A Trieste in un “Don Carlo” che inaugurava la stagione lirica 1970/1971 del Teatro Verdi e in cui assistetti al duplice debutto “in loco” di Giaiotti come Filippo II e di Carlo Cossutta nei panni dell’Infante di Spagna. E poi in Arena (“Nabucco” e “Aida”), all’Opera di Roma (“La forza del destino”), al Festival di Spoleto (il Requiem verdiano).
Con Bonaldo Giaiotti c’eravamo sentiti solo a telefono mentre preparavo la monografia dedicata a Giuseppe Patanè pubblicata dalla stessa piccola casa editrice che ora manda in libreria il volume su Bonaldo, L’Orto della Cultura di Pasian di Prato (Udine). Mentre ricordavo la morbidezza e la nobiltà della voce di quel mio primo, straordinario Filippo II del mio primo “Don Carlo” dal vivo, Ribis, a bruciapelo, mi chiese: perché non dedichi a Giaiotti un nuovo libro? Fui colto di sorpresa. Quelli che ho pubblicato sono dedicati a grandi artisti scomparsi, risposi, Giaiotti è qui fra noi e gli auguro altri ottant’anni di vita. Monografia su Bonaldo Giaiotti
La serata fu memorabile e rientrando a Trieste dopo una sontuosa cena innaffiata dai vini della produzione Pittaro, cominciai a riflettere sull’idea che, varato il libro su Patanè, il maestro che tenne a battesimo Bonaldo Giaiotti nel 1958 al Teatro Nuovo di Milano in una “Manon” di Massenet rappresentata nell’ambito delle stagioni dell’Aslico, prese corpo qualche tempo dopo, sempre a Ziracco dove tornai a incontrare i Giaiotti per prospettare loro il progetto editoriale. Dapprima riluttante “i camerini dei bassi sono sempre molto laterali” mi disse Giaiotti “che senso ha dedicarmi un libro?”, ma poi, ammorbidito dall’interesse della moglie, sempre più disponibile, Bonaldo si è appassionato all’impresa e con Alice mi ha accolto nella loro bella casa milanese con grande affetto e affabilità. E’ stato generoso di ricordi e di aneddoti, collaborativo nella ricerca di testimoni che, come nei volumi precedenti, coinvolgo per rievocare la figura dell’omaggiato e darne un ritratto a più voci che non sia un’agiografia.
Mi ha fornito una cronologia molto ampia che Bruno Rossi ha inserito in due tomi dedicati alle grandi voci friulane e che ho arricchito di nuovi dati e sistemato secondo i criteri adottati per i libri dedicati a Cappuccilli e a Cossutta. Tutto il materiale fotografico che rende il libro così appagante anche alla vista proviene dall’archivio che Bonaldo e soprattutto Alice conservano gelosamente a Milano e a Ziracco dove trascorrono qualche periodo accanto al fratello di Bonaldo, Marziano che tanto l’ha aiutato nella fase iniziale della sua carriera.
Non mi addentrerò troppo nel descrivere il menu del volume il cui titolo è “Bonaldo Giaiotti, la voce del Friuli” e che è, come i precedenti, in doppia versione, italiana e inglese, ed è inevitabilmente dedicato a Gabriele Ribis. Il fulcro è costituito dall’intervista in forma di racconto che abbiamo realizzato con Bonaldo e Alice e da un’analisi del repertorio affrontato dal grande basso. Potrebbe sembrare un saggio, ma è anche il romanzo di una vita avventurosa vissuta tra il paesino friulano, Udine dove entra nella corale diretta da Ada Kreinz, Trieste dove lo accoglie per dargli consiglio Luigi Toffolo, la metropoli lombarda dove i suoi primi ospiti lo mettono a dormire in cucina con un cane lupo “che se mi muovevo mi azzannava”, i primi passi a New York dove arrivò nel 1960 a soli due anni dal debutto, si sviluppò gran parte della leggendaria carriera e conobbe l’amore. Già, perché Alice è una signora americana chic, una newyorkese purosangue formata alla Columbia University e cantante lirica mancata dopo un debutto wagneriano a Philadelphia.

Il repertorio è diviso in tre sezioni: quella preponderante dedicata all’opera italiana, un piccolo inciso sull’esperienza wagneriana di “Lohengrin” al Met dove – sempre diretto da Patanè – Giaiotti è il re Enrico, anzi Heinrich der Vogler perché l’opera si rappresentava in tedesco, e i personaggi diabolici che ogni basso che si rispetti affronta prima o poi nel corso di una carriera straordinaria per longevità (1958-2006) e continuità.
Le testimonianze, generose di lodi autentiche, non di facciata, di Nello Santi e Carlo Bergonzi compensano un’introduzione autocelebrativa, ma ricca di stimoli, di Giorgio Vidusso. Quattro bassi di scuola italiana ma di diverse generazioni analizzano la vocalità e la tecnica di Giaiotti: Ferruccio Furlanetto, Carlo Colombara, Mirco Palazzi e Luca Tittoto. I frequenti ritorni in Friuli sono rievocati dai già citati Ribis e Pittaro mentre un soprano polacco, Helena Lazarska, fornisce da didatta esperta, la chiave per capire la psicologia del Giaiotti giurato di concorso. Una discografia ragionata e la cronologia completano questa storia friulana tutta da scoprire e, speranza dell’autore, assaporare.

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