Berlinale 2016: uno sguardo d’insieme

Data: febbraio 29, 2016

In: TOP, CINEMA E DINTORNI, CULTURA,

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– di Simone Soranna –

Il Festival del cinema di Berlino, più comunemente conosciuto come Berlinale, è da sempre il Festival europeo più accogliente e partecipato. La città risponde in massa all’evento, vivendolo come una vera e propria festa. Molti studenti trascorrono la notte coi sacchi a pelo appena fuori la biglietteria per poter essere i primi clienti del mattino e assicurarsi i biglietti per le proiezioni; gli organizzatori mobilitano numerosi multisala sparsi in vari quartieri distanti gli uni dagli altri così da poter permettere al pubblico un accesso agevolato alle proiezioni; gli uffici stampa paiono vivere il loro lavoro in maniera meno stressante ed esaustiva rispetto ai loro colleghi veneziani o francesi e persino le star sul tappeto rosso sembrano sfilare in maniera più divertita e meno ingessata che altrove.

Meryl Streep, presidente di giuria della Berlinale 2016

Meryl Streep, presidente di giuria della Berlinale 2016

Tuttavia, ciò che veramente lascia il segno al termine di ogni Berlinale, è la scelta  dei film che i selezionatori propongono ogni anno con coraggio e direttive ben precise. Forse, più che altrove, è proprio Berlino la città in cui si respira un’idea ben precisa di fondo che funge da filo rosso nell’accomunare le varie opere presentate (in concorso o meno).

Se l’impegno civile è (quasi) sempre al centro dei film visti in rassegna (Fuocoammare di Rosi conferma sicuramente questa tendenza), per l’edizione appena conclusasi sin dai primi giorni di Festival è stato evidente come il cinema selezionato per essere messo in vetrina all’interno della kermesse possedesse la forza e la necessità di raccontare il presente mediante la parabola della disillusione.

Gianfranco Rosi premiato con L'Orso d'oro per il suo Fuocoammare

Gianfranco Rosi premiato con L’Orso d’oro per il suo Fuocoammare

Sono molto i titoli visti, tra i più significativi, incentrati su questo argomento: Hedi, di Mohamed Ben Attia, racconta della voglia di emancipazione nutrita da un giovane tunisino nei confronti di una famiglia e una società decisamente troppo invadenti, che comunque porterà ad un nulla di fatto; Death in Sarajevo, di Danis Tanovic, allarga il medesimo discorso costruendo una parabola calzante dell’Europa odierna, basata su un passato storico ricco di conflitti e ora sognante e indirizzata verso un futuro di coesione ma ancora profondamente disconnessa e platealmente disunita; La comune, di Thomas Vinterberg (in uscita sui nostri schermi a fine mese) ripropone il medesimo schema raccontando però la storia di una comune, formatasi negli anni Settanta sull’onda dell’entusiasmo delle mutazioni sociali, ma che si ritroverà ben presto a fare i conti con il fallimento dell’idea.

 

United States of Love, di Tomasz Wasilewski affronta il medesimo tema prendendolo lievemente da più lontano, nella Polonia del 1990 quando la gioia e l’entusiasmo per la caduta del muro di Berlino ha lasciato spazio alla delusione di una realtà degradata e degradante che poco ha a che vedere con le illusioni nutrite durante la Guerra Fredda; infine anche il fluviale lavoro di Lav Diaz (lungo ben otto ore) ha avuto modo di affrontare un simile argomento raccontando l’insuccesso ideologico dell’indipendenza delle Filippine dalla dittatura spagnola.

Una scena del film Hedi, di Mohamed Ben Attia

Una scena del film Hedi, di Mohamed Ben Attia

Si tratta dei titoli più interessanti e (probabilmente non a caso) dei film premiati in sede finale dalla giuria presieduta da Meryl Streep. La crisi economica ha dato il via a una crisi molto più profonda e viscerale, quella dei valori. Ora il cinema sembra voler riflettere proprio sulle conseguenze di tutto ciò. Forse siamo in ripresa, forse i giorni più bui sono passati, forse non saremo più costretti ai sacrifici immani contemplati fino a pochi anni fa, eppure il futuro non è roseo, la speranza per la quale in molti hanno lottato è labile e pretestuosa,  l’illusione di un vissuto migliore ha lasciato spazio alla rassegnazione di un presente più stabile ma privo di sogni.

Questa è stata la tendenza della Berlinale 2016, questa la tendenza del cinema attuale. Un cinema schietto, crudo, disperato ma molto umano e necessario per fermarsi a riflettere sul nostro passato più prossimo e sul nostro presente odierno.

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