– di Elena Chirulli – “Se puoi sognarlo puoi farlo”, la frase che incarna lo spirito di Walt Disney, lancia un forte messaggio motivazionale. Un invito a credere in se stessi e a concentrarsi sui propri obiettivi, con impegno e costanza. A dar prova concreta che i sogni, se ben coltivati spianano la strada a risultati incredibili, ci ha pensato Andrea Marcato, primo italiano vincitore dell’ultramaratona Self-Trascendence 3100-Mile Race.
Andrea, di origini venete, ha tagliato il traguardo aggiudicandosi a Salisburgo la vittoria dell’edizione 2020 della 3100 miglia, la corsa certificata più lunga al mondo.
Andando oltre i limiti delle capacità fisiche e mentali, per compiere la sua impresa, Andrea Marcato ha corso per quasi cinquemila chilometri, dando prova di una incredibile performance durata 43 giorni, 12 ore, 7 minuti e 25 secondi.
Il giovane atleta, classe 1982, è laureato in Lingue all’Università di Padova ed è il primo italiano ad iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro della gara ideata da Sri Chinmoy. La preparazione e passione per la corsa ha portato Marcato ad allenarsi quotidianamente.
La gara come da tradizione si svolge in giugno a New York, ma quest’anno a causa della pandemia è stata prima rinviata e poi ha cambiato location. Marcato aveva già corso in diverse multi day, in particolare la dieci giorni di New York, ma mai aveva vissuto un’esperienza simile. La sua passione per la corsa lo ha portato a compiere un’impresa che richiede una grandissima preparazione sia fisica che interiore.
Andrea raccontaci un po’ di te. Com’è nata la passione per la corsa?
Fin da bambino ho sempre fatto sport. Ho iniziato a quattro anni, ho continuato e ho fatto nuoto agonistico fino ai sedici diciassette anni. Ho un background sportivo. Poi con la scuola non ce la facevo quindi ho smesso. Durante l’università ho iniziato a meditare, cominciando così un percorso spirituale in cui si associa lo sport con la meditazione, da lì ho iniziato a correre. Praticamente quanto si medita è un po’ come pregare. Ho sentito che avevo bisogno ancora di fare sport.
Era un periodo un cui molti iniziavano a correre e la maratona iniziava ad essere conosciuta. Io avevo tempo libero e così ho iniziato. Non è che un giorno ci si sveglia e si può fare una corsa come quella che ho fatto io. Questo evento è stato un po’ l’apice di un percorso durato diciotto anni. Ho iniziato a correre diciotto anni fa. Ho avuto sempre la passione per le ultramaratone. Lo scopo non è allenarsi come in una gara normale. Lo scopo è correre con un certo ritmo che sia adatto a te. Non si punta molto al lato competitivo, ma è più una sfida con se stessi. Self trascendence vuol dire questo, ovvero andare oltre e superare i propri limiti, fare del proprio meglio, cercare di migliorarsi.
Cosa si prova quando si corre per così tanto tempo?
Sicuramente è una cosa molto speciale, ho vissuto una “cascata” di stati emotivi e mentali a volte anche opposti, soprattutto nella prima settimana. Poi si stabilizza un po’ il discorso. E’ un periodo in cui si è molto a contatto e a confronto con se stessi scoprendo lati positivi e a volte negativi. Emozioni di cui non siamo sempre consapevoli.
Come ti sei allenato per preparati alla gara?
L’ultramaratona Self-Trascendence 3100-Mile Race a è di quasi cinquemila chilometri. Nel 2018-2019 ho corso mille chilometri. Nell’estate ci sono delle gare molto particolari e speciali che durano 10 giorni, io sono andato a farla a New York. A livello organizzativo queste gare si tengono sempre in circuiti, in un parco. Non sono mai delle gare a distanza, da un punto a un altro, perché è anche più difficile da gestire per il cibo, bevande e per l’alloggio.
Cosa ti ha spinto a realizzare un’impresa così titanica?
Non lo nascondo, sicuramente è stato il riconoscimento sociale. E’ stato bello fare una cosa inusuale, sicuramente una parte di me era contenta di fare questa sfida ed avere qualcosa di bello da scrivere sulla tomba. E’ una cosa che resta. Non dico che ti renda immortale. Anche perché se guardi indietro, nella tua vita probabilmente ci sono poche cose che si fanno e che hanno veramente senso, sicuramente per me questa è una di quelle. Il motivo della gara è stato anche dare un senso a questi diciotto anni di corsa. L’ho fatto anche per i miei genitori. Ero un agonista. Lo sport ha sempre fatto parte di me.
C’è stato qualche momento in cui hai pensato di non riuscire a farcela?
Sinceramente no. Facendo tante gare sono arrivato a un punto in cui ormai l’idea di mollare e di non farcela era fuori questione. Sicuramente potevo stare molto male, però non mi sarei fermato definitivamente, ovviamente salvo imprevisti. Se vi sono danni fisiologici gli allenatori ti dicono di fermarsi. Fermarmi e arrivare a metà gara non è nel mio DNA. Per due volte ho corso 10 giorni consecutivi quindi sapevo cosa mi aspettava.
Che messaggio vorresti lasciare con questa tua impresa?
Al di là della bellezza della corsa c’è il riscontro della notizia sui giornali, è sempre comunque una cosa amatoriale. Non sono un atleta professionista. Il messaggio che vorrei lasciare è che, secondo me, chiunque abbia un obiettivo, non solo nella corsa, ma in un qualsiasi ambito, se si concentra per un tempo abbastanza cospicuo sicuramente raggiungerà dei risultati. I fallimenti ci sono poi però se uno persevera e va avanti a discapito delle circostanze esteriori alla fine ha la capacità di andare oltre. Ci vuole anche della saggezza ed essere consci di quello che si fa. In generale tendiamo a pensare che non abbiamo abbastanza capacità o tendiamo a limitarci, quando invece ce le abbiamo queste capacità.
Cosa ne pensano i tuoi familiari della tua scelta sportiva e di vita?
Fino ai miei diciotto anni mi sono sempre andati contro, specialmente mia madre perché vedeva che le ultramaratone influenzano il corpo a lungo andare. E’ sempre stata contraria e ha visto questo sport inutile, voleva che mettessi su famiglia. Io sono ancora single e ho trentanove anni. Poi quando i media locali hanno iniziato a seguirmi è cambiato tutto. La mia mamma è diventata la mia più grande fan.
L’attrezzatura sportiva è stata sponsorizzata?
Sì. Non c’è un riconoscimento in denaro, ma ho degli sponsor, questo tipo di gare ha costi elevati.
Come sei riuscito a coordinare i tempi lavorativi con l’attività sportiva?
Io lavoro in Svizzera, la ditta mi permette di avere un tempo flessibile.
Continuerai i tuoi allenamenti? Hai in programma nuove imprese sportive?
Anche dopo la gara ho continuato ad allenarmi, magari in modo più rilassato e non con la stessa intensità di prima. Mi sto allenando ogni giorno. L’unica gara in programma che non è ancora stata annullata per Covid è una 48 ore: due giorni di corsa in Repubblica Ceca. Gli ultimi anni ho viaggiato veramente moltissimo e ho continuato a correre ma sono tornato anche al nuoto, che è la mia passione primaria. Ho nuotato per quattro volte il lago di Zurigo (sono 26 chilometri).Poi ho fatto una 24 ore di nuoto (cioè un giorno intero) a Berlino. Non si può parlare di professionismo, è una cosa comunque amatoriale e ancora non molto conosciuta. Più che di eventi, si parla di imprese a livello personale. Sono costante nei miei allenamenti e se mi sento in forma durante l’anno cerco la gara che fa per me.
Come vengono monitorate le pause durante la gara?
Ogni corridore ha una persona che controlla le pause. Ogni volta che tu passi, la persona segna il tuo nome e i minuti che hai fatto per quel giro lì. Se tu fai una pausa devi dire “guardate che al prossimo giro mi fermo” oppure “guardate ho un problema”. Anche a livello medico avevo quattro medici che mi seguivano, perché questo tipo di cose possono essere molto pericolose, proprio per lo sforzo fisico e mentale.
Anche se sei molto impegnato trovi il tempo per degli hobbies?
Tra il lavorare e dormire , ho dei momenti liberi in cui ho l’hobby della lettura e del viaggiare. Gli hobby sono integrati con questa scelta di vita.
Un sogno nel cassetto non necessariamente legato allo sport?
Diventare un business man, avere una mia azienda o un mio business. La fede è una pietra miliare, non necessariamente religiosa, ma comunque bisogna sempre credere in qualcosa. Può essere l’amicizia, il valore, la famiglia, è quello che ti fa andare avanti e fa realizzare i propri sogni. Sri Chinmoy è un maestro spirituale che è stato invitato anche a New York molte volte, al palazzo di vetro, per fare meditazioni collettive. Non è una religione. Ci sono delle regole da seguire che includono il svegliarsi presto al mattino, essere vegetariano. La meditazione è uno strumento per raggiungere i propri obiettivi, è uno stile di vita. Ti fa percepire delle cose che ti danno più empowerment. Di sentieri spirituali ce ne sono tanti, il mio consiglio è trovare quello che si addice di più alla tua personalità. Io sono credente, credo in Dio molto.