Periferia di Andria, Lagnone S. Croce. Qui nel 2014, su un’amena collina sterminata di ulivi dell’Alta Murgia, che domina dal Gargano al litorale nord barese, è stata inaugurata la Casa S. Croce intitolata al giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990.
L’Associazione di promozione sociale Migrantes di Andria, che gestisce il progetto SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), partecipando al bando Libera il bene della Regione Puglia (legge109/96) ha ottenuto un finanziamento di circa 730mila euro, con un contributo del Comune di Andria, che ha consentito di ristrutturare l’immobile confiscato alla mafia. Per anni abbandonata all’ incuria e al degrado, oggetto di atti vandalici, la struttura si estende per 600 metri quadri, su tre piani, adibiti alla prima accoglienza, soccorso sociale, centro di ascolto, sala multifunzione, appartamenti e spazi esterni.Destinata alla prima accoglienza di quanti versano in condizioni di disagio sia economico che sociale, oggi ospita immigrati di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Queste alcune storie.
Karim, 24 anni, originario del Ghana, volontario di Casa Accoglienza S. Maria Goretti della diocesi, è in città dal 2011, ed è regolarmente assunto come mediatore linguistico.
“Primogenito di 7 figli,- racconta- sono fuggito perché volevano uccidermi. Dopo la morte di mio padre i nostri vicini volevano impossessarsi con la forza della terra che ci dava da vivere. Ho attraversato il Burkina Faso, fino al Mali, dove mi sono fermato per tre mesi. Non trovando lavoro mi sono trasferito in Niger, ma anche qui restare era troppo pericoloso. Dopo 5 mesi sono partito alla volta dell’Algeria su una di quelle “macchine del deserto”, i trafficanti di uomini per intenderci, con altre 300 persone. A un certo punto il capo ci ha abbandonati, nel deserto, senza acqua, né cibo. Siamo arrivati in Algeria completamente stremati, dopo 5 giorni di cammino. Ho conosciuto la prigione, ho visto compagni morire, a Tripoli si arrivava pagando gli autisti per evitare i controlli della polizia. Dalla Libia il viaggio in mare fino alla Sicilia è durato due giorni. Poi la volta di Brindisi in nave, di Manduria in bus e infine in 15 diretti ad Andria.
Non è stato facile, – aggiunge – ma grazie al corso di italiano, oggi sono volontario in Casa Accoglienza, pulisco gli ambienti, scarico i viveri dai furgoni, mi occupo della loro sistemazione nelle dispense. Mi prendo cura dei bisognosi, anziani, senza tetto, degli ammalati che non riescono neppure a lavarsi da soli. Sono stranieri, ma soprattutto andriesi. I ruoli si sono invertiti- commenta incredulo: un ghanese che si prende cura degli andriesi. Qual è il tuo sogno? Gli chiediamo. Rivedere la mia famiglia, ma sapere che stanno bene mi rincuora”.
Mourad era partito dall’Algeria nel 2002 con l’aereo. Poi ha attraversato il confine italiano con il treno. Anche se ha registrato forti difficoltà di accesso in Italia è felice di essere qui – dice. Ad Andria ho trovato i soliti problemi: dove dormire, cosa mangiare, il lavoro, ma anche tanta gente brava, rispettosa. Grazie a Dio ho trovato nella Casa d’Accoglienza S. Maria Goretti disponibilità nell’ offrire aiuto. Come faccio a dire che sto male, se penso a chi sta peggio di me?
Mouner invece è approdato in Italia all’età di 25 anni per una vita libera- racconta- anche se la mia famiglia non voleva che partissi. Sono stato in Germania, poi ad Arezzo, tappa a Roma. Ho lavorato come operaio in fabbrica, come addetto alle pulizie, in un ristorante. Tramite amici finalmente la svolta: ho saputo di Andria e del suo cuore accogliente e della possibilità di lavorare. E sono rimasto qui.
E ancora Aziz, giunto dal Marocco ad Andria perché sognava un futuro migliore.“ Quando sono arrivato in Italia ho trovato tanti clandestini come me. Non avrei mai immaginato di vivere agli inizi in una casa abbandonata, senza acqua, senza luce, senza doccia, sporco. Ho studiato nel mio paese e conseguito diploma di avvocato. Oggi ad Andria sto benissimo e vorrei ringraziare tutta l’èquipe dell’Ufficio Migrantes, le suore, i volontari per questa rinascita”.
Sono solo alcune delle storie di integrazione sul territorio andriese. Giuseppe, dipendente della Cooperativa sociale Liberi, aggiunge: “grazie alle cooperative e associazioni nate da Casa Goretti oggi vantiamo un’organizzazione più capillare, con segnalazioni dei servizi sociali dal foggiano alla provincia di Bari, l’esperienza di volontari in grado di relazionarsi meglio con la diversità delle culture e con il disagio sociale, la sicurezza garantita anche dalla diversa dislocazione dei numerosi servizi offerti dalla Casa . Abbiamo creato aggregazione e condivisione. In questo presidio di umanità e legalità vogliamo continuare a regalare Speranza”.
Dinanzi a Casa S. Croce campeggia una croce cristiana: ovunque si respira aria da integrazione e per una pacifica convivenza sono state stilate regole di base affisse in tutti gli ambienti. Arrivano per uno scambio studenti delle scuole secondarie cittadine, vedono cineforum; gli ospiti partecipano a Fiere locali, ai Presepi Viventi e alle mostre, praticano attività manuali e artistiche, organizzano tornei.
I musulmani assistono ai riti cristiani. “Questa è l’unica realtà in città- dice don Geremia Acri, Presidente di Migrantes-, che si fa carico della giustizia processuale e di quella sociale, grazie alla convenzione con il Tribunale di Trani che assegna lavori di pubblica utilità alternativi alla detenzione. I beni confiscati vanno restituiti alla collettività, oggi più che mai garantiscono lavoro”.
Don Geremia ha creato uno straordinario sistema di solidarietà ad Andria, che ha avuto momenti di criticità e dubbi, ma ora si dimostra efficace e positivamente esemplare. ” “Un percorso di integrazione molto difficile- racconta – Ricordo la criticità di rapporto e dialogo con i maghrebini, l’intolleranza nei confronti della cultura occidentale, delle tradizioni, anche culinarie, del credo religioso. Ogni necessità suonava come pretesa e mancanza di rispetto. Ho dovuto fronteggiare la violenza di quel periodo, scatenata da pochi faziosi e sobillatori, con un metodo educativo significativo e convincente, stabilendo regole di pacifica convivenza. L’episodio decisivo fu una rissa ai danni di una persona debole fra i volontari della Casa, che ho difeso in prima persona. Non nascondo di aver avuto paura- continua- ma evidentemente quelle parole o quella mia presa di posizione a favore della nostra identità cristiana stabilirono un limite invalicabile. Ho anche subito minacce di morte successivamente, allertando l’intervento delle forze dell’ordine. Qualcuno voleva poi pregare in Casa Accoglienza, ma ho dovuto far comprendere che S. Maria Goretti non è una moschea, ma un centro servizi e solidarietà, di scambio e amicizia fraterna. Perché convivere serenamente è possibile- ammonisce.
Nei primi mesi del mio insediamento erano meno di un centinaio i pasti serviti quotidianamente ( tra pasti caldi a domicilio e mensa) contro i 600 di oggi (di cui il 90 per cento dal 2014 sono italiani). Abbiamo accolto fino a 1200 stranieri l’anno fino al 2012, meno di un centinaio nel 2014. Negli ultimi tre anni – precisa – i disordini si sono placati, nel 2014 del tutto assenti, anche se in notevole calo i stagionali per la raccolta delle olive. Gli immigrati regolari che risiedono in città sono mediatori linguistici, volontari della Casa Accoglienza, badanti, collaboratori domestici. Prendono parte alle nostre feste cristiane, ci invitano alle feste musulmane.
L’integrazione con l’Africa sub sahariana è certamente più forte, non vedo diffidenza- sottolinea don Geremia- rispetto all’Africa maghrebina o all’Asia. Si tratta di un fatto culturale: la cultura rende liberi, apre orizzonti, anche un povero non deve mai perdere la libertà. La schiavitù di ogni genere, l’imposizione della fede come castigo divino, l’oltraggio dei diritti umani sconfinano inevitabilmente nel fanatismo e nella barbarie. Integrazione non è nascondere ciò che dà fastidio: io accolgo te, e tu accogli me, anche nel tuo paese di origine. Integrazione è conoscenza dell’altro, perché non mi devo difendere contro un nemico da combattere. Ritengo che la comunità europea debba alzare forte la sua voce in merito all’ appartenenza e a quanto sta avvenendo in nome di Dio in tutto il mondo, se vogliamo evitare altre stragi”.
in copertina un’immagine che ritrae giovani italiani e e africani impegnati nella realizzazione di un murales sull’integrazione. L’opera appare su una parete di Casa Santa Croce