Amarcord: POOH – Buona fortuna (1981)

In occasione del cinquantennale della band italiana più longeva e amata, Amarcord riscopre un disco capolavoro e già a suo tempo celebrativo.

 – di Maurizio Melani –

1966-2016: pochi gruppi al mondo possono vantare un simile ininterrotto primato navigando sempre dalla parte giusta dell’onda. Forse solo uno: i Rolling Stones. E parliamo della «pachamama» del Rock. Con un tour praticamente sold out (clicca qui per vedere le ultime date) in cui festeggiare insieme ai vecchi compagni di viaggio Riccardo Fogli, ai tempi vocalist e bassista, e Stefano D’Orazio, batterista per quarant’anni, la Redazione di “Words in Freedom” trova opportuno omaggiare a suo modo i Pooh. Un complesso – si sarebbe detto un tempo – che ha annunciato lo scioglimento a fine 2016 non per usura ma per limiti d’età (così come Guccini) e le cui canzoni hanno fatto cantare intere generazioni.

 

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Per l’omaggio ai quattro “orsacchiotti” abbiamo scelto l’Lp “Buona fortuna”. Duplice il motivo: fu già a suo tempo una sorta di album celebrativo (per il quindicennale) e ha toccato probabilmente l’acme della band in quanto a qualità sonora. Come tecnico del suono fu infatti ingaggiato quel Brian Humphries, già con Pink Floyd e Traffic, che dette al disco un suono più marcatamente rock e internazionale, permeato comunque delle atmosfere pop, melodiche e progressive sempre care alle precedenti produzioni. Permettetemi però anche un motivo del tutto personale: cosa che un buon giornalista non dovrebbe mai fare. Chi scrive si sente sentimentalmente legato a “Buona fortuna”, primo disco acquistato assieme a mio padre ancora “ottenne” e che riscuote molti consensi anche presso mia figlia.

 

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“Buona fortuna” si apre a una duplice lettura: da un lato con ogni canzone a se stante, rispettando le consuete tematiche “pulite” di romanticismo, malinconia, solitudine, disagio metropolitano; dall’altro può esser letto come un lungo viaggio della band alla scoperta del passato e del futuro. Una sorta di concept album – se me lo permettete – che, come in un circolo virtuoso, inizia con l’invito alla buena suerte della title track e termina con l’ambiziosa domanda: “Chi fermerà la musica?”.

 

Se accettiamo questa lettura. dopo l’overture è lecito partire dal ricordo degli esordi con “Banda nel vento” che, come i Pink Floyd con Syd Barret, ricordava i vecchi (ma sani) ex compagni di strada («Vorrei, vorrei riavvolgere il nastro un po’/Per chi non sa di quel nostro tempo là/Per me, per noi, per te che non viaggi più/Con me, con noi nel coro ci sei anche tu”), per poi parlare della proprie vite perennemente in tour con “Compleanno di maggio” (“Si riparte domani/Stiamo bene con noi/Buonanotte autotreni/Che non dormono mai”) e “Gente della sera” (“Chi l’ha detto che fate paura/Sarabanda di folletti e bambole/Siamo tutti innocenti a quest’ora”) e terminare con la speranza di essere eterni in “Lascia che sia” (“Canta/Facciamo finta che il tempo non conta”), “Replay” (“Vorrei lasciare il segno di me/Sui muri di una notte d’estate/Scrivendo “gente volate”) e naturalmente la chiosa finale: Chi fermerà la musica/Quelli che non si sbagliano/Quelli che non si svegliano/Stanno nei porti a tagliarsi le vele tu parti nel sole con me”). Difatti noi siamo ancora qui, con loro.

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