– di Maurizio Melani –
Anno zero 1993. Dopo la prima “ondatina” rock alla metà degli ’80, con Litifiba e CCCP, le major sdoganano decine di nuove band. Vediamo chi è ancora sulla cresta.
Pochi anni sono stati davvero rappresentativi per lo sviluppo della musica e della cultura rock. Il 1965 ad esempio, con i nuovi distorsori Fender che, uniti a testi di proto-ribellione, fecero di “Satisfaction” e ”My generation” dei veri inni generazionali. Il 1967 lanciò la psichedelia e il lisergic rock, con tastiere, primi sintetizzatori e le poesie di Doors e Pink Floyd. E come non ricordare quel 1977 quando il punk, con Clash e Sex Pistols, spezzò le catene dei pub underground?
Sex Pistols
In Italia, in ritardo di lustri, attecchì solo il combat folk di Bob Dylan, ma mai vi fu una vera cultura rock (Vatican power?) e quei pochi che ci provarono (Ivan Graziani) furono sconsigliati dallo spingersi troppo in là. Ne sa qualcosa Vasco Rossi che dovette lottare e riempire stadi prima di essere considerato un vero artista. Cosa che ben raccontò in “Mi si escludeva”. Band di assoluto rispetto non è che mancassero: su tutte PFM, Area e Banco. Ma erano più apprezzate all’estero che in patria. Come da antico proverbio.
A cavallo tra i ’70 e gli ’80 cominciò a fiorire un piccolo movimento underground. Il punto di riferimento era Firenze, con i Litfiba di Piero Pelù, i Diaframma, i Moda e i Neon. Ma anche Bologna non stava a guardare, con i CCCP di Giovanni Lindo Ferretti e i Gaz Nevada, e pure Catania volle dir la sua lanciando i Denovo di Mario Venuti.
Litfiba a inizio carriera
E finalmente anche i discografici si accorsero di questa prima “new wave” che cavalcava l’onda britannica di U2, Cure, Joy Division, Stranglers. Cantavano in italiano, erano seguiti da fiumi di giovani ribelli, potevano aprire un ciclo commerciale e discografico. Fu grazie a loro, ai fratelli maggiori, come i Litifiba che nel 1990 pubblicavano “El diablo” riempiendo per la prima volta i Palasport, che nel ’91 uscirono le prime nuove band “alternative” prodotte da major: i veneziani Pitura Freska (BMG) cantavano ovunque di legalizzazione in reggae style, gli emiliani Ustmamò (Virgin) proponevano elettro-punk barricadero e i marchigiani Gang (CGD) urlavano folk-rock con inni alla rivoluzione. Fu una svolta epocale per la conservatrice – politicamente e musicalmente – Italietta.
Ma il cammino verso il rock e la cultura anglosassone era appena cominciato. Così mentre Ligabue pubblicava il primo album, molte band avevano già scelto di sintonizzarsi in underground verso i nuovi sound provenienti da oltreoceano: il grunge di Seattle, ma soprattutto le contaminazioni reggae-hip hop. Nacque così, sfruttando spazi d’aggregazione autogestiti, radio alternative, la gloriosa Videomusic e l’ispirazione di un sistema politico al collasso, il movimento che nel biennio 91-93 darà vita al fenomeno delle famose Posse: piccoli ensemble street culture che cantavano e rappavano sotto le insegne del politicamente scorretto. Come non ricordare i singoli “Fight da faida” di Frankie Hi-NRG, “Stop al panico” degli Isola Posse, “Salario garantito” dei 99 Posse?
Le major fecero finalmente a gara ad accaparrarsi i pezzi più pregiati e anche Sanremo aprì le porte al nuovo movimento. I primi furono nel 1992 gli Statuto con l’ironico ska di “Abbiamo vinto il Festival di Sanremo”, seguiti dal “Papa nero” dei Pitura Freska, da “Tutti i miei sbagli” dei Subsonica e ancora dai Negrita, Bluvertigo, Marlene Kuntz, Almamegretta, Frankie Hi NRG. L’avreste mai detto?
Ma torniamo all’inizio. L’anno zero della seconda “new wave” italiana. Già perché, dopo i primi vagiti, nel 1993 uscirono finalmente uno di fila all’altro i primi lavori di Articolo 31, 99 Posse, Ottavo Padiglione, Assalti Frontali, Almamegretta, Massimo Volume, Mau Mau, Casino Royale, Frankie Hi-NRG. Un filotto che non si fermò neppure l’anno successivo col lancio di Marlene Kuntz, Negrita, Disciplinatha, Ritmo Tribale, Modena City Ramblers e soprattutto quei CSI di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni che, tramite le proprie fanzine e casa di produzione, furono per una decina d’anni il megafono delle nuove tendenze e delle nuove bande rock. Nel biennio 95-96 uscirono infine Subsonica, Afterhours, Bandabardò, Bluvertigo. Parliamo oramai di vent’anni fa. Sembra ieri.
Giovanni LIndo Ferretti
Cosa resta di questa seconda splendida “new wave” che tanto ha dato alla musica italiana introducendo chitarre distorte, basi elettroniche e soprattutto quel rap ora tanto di moda? Qualcuno si è sciolto (Pitura Freska, Mau Mau, Ustmamò), qualcuno è tornato nell’underground (99 Posse, Statuto, Almamegretta), qualcuno ha scelto la carriera solista (J AX degli Articolo 31, Morgan dei Bluvertigo, Giuliano Palma dei Casino Royale); ma chi ce l’ha fatta continua a riempire Palasport e a produrre dischi di successo. E’ il caso degli Afterhours e di Frankie Hi-NRG, ma soprattutto di Subsonica e Negrita, ormai mature, quotate e stabilmente overground band.
Nessuno si azzardi però a chieder conto di una futura terza “new wave”. Non vi sono le premesse e il futuro appare tutt’altro che roseo. Tre sono i requisiti necessari: nuove mode o stili giovanili, radicati spazi di esibizione e aggregazione, canali radio-televisivi come megafono. Al momento niente e nessuno è presente. Nessun nuovo fenomeno di costume, sempre meno spazi Live (se si escludono pub aperti solo al mercato delle cover band) e tv predisposte solo a raschiare e rischiare nei talent show. Che sia questa la terza grande onda rock? Lennon, Hendrix, Morrison e Bowie si rivolterebbero nella tomba. E come darli torto…
Imm Un’immagine della giuria del talent X-Factor
Immagine di copertina: i Subsonica