-di Silvia Poletti –
Alla vigilia del debutto al Joyce Theatre di New York, dove dal 2 al 6 marzo presenta la serata ‘Trio ConcertDance’ insieme a Hermann Cornejo e il pianista Bruce Levingston vi proponiamo questa riflessione sulla ‘nuova’ Alessandra Ferri, artista della danza che con la sua rentré sta dando una grande lezione umana, oltre che artistica.
Un ‘ritorno’ che è anche la partenza per nuove avventure artistiche. Nuove emozioni. Nuove opportunità per spostare i limiti di un’arte che si rinnova anche grazie al coraggio di chi sa mettersi in discussione e ‘osare’ andando oltre. Come sta facendo, a modo suo, Alessandra Ferri. Tra parole e immagini il senso di una scelta artistica.
E’ tornata a indossare le scarpette da punta. Ma anche le sneakers da jazz. E i tacchi a spillo. Senza contare la libertà di muoversi a piedi nudi. Alessandra Ferri è tornata a danzare. Anzi,ha ripreso il suo viaggio teatrale (e personale) mantenendo fede ad una idea che ha sempre segnato la sua visione di donna e di artista: ”la vita, dice spesso, è fatti di tanti inizi’. E questo è davvero un nuovo inizio, a sette anni dal suo addio alla scene mondiali del balletto, sommersa di fiori al Metropolitan di New York, acclamata da una standing ovation interminabile alla Staatsoper di Amburgo, omaggiata di piccoli doni e cibi- come una divinità – al World Ballet Festival di Tokyo.
Sette anni possono essere tanti. Il ricordo del pubblico può offuscarsi ( sempre più corta ohimé è la memoria storica), la scena venire occupata da nuovi idoli. Ecco perché il ritorno di Ferri rappresenta, anche, una grande lezione. Una lezione di coraggio e di tenacia. Di intelligenza e curiosità, soprattutto di capacità di mettersi in discussione come persona e come artista e di capire quale nuova strada percorrere. Alessandra dice che a ispirarla è Mikhail Baryshnikov, che ha saputo evolversi, passando senza soluzione di continuità dai supremi ruoli classici al postmodern fino al teatro fisico alla Bob Wilson di oggi. La differenza però sta proprio in quello iato temporale, che Misha non ha mai dovuto sconfiggere, accompagnando gradualmente il suo pubblico lungo le nuove strade della sua arte. E poi Ferri è una danzatrice/attrice con spiccate peculiarità drammatiche e una sensibilità a fior di pelle che la rende, per così dire, ‘una danzatrice d’atmosfera’ – le basta lo sguardo, nell’immobilità assoluta del corpo, a raccontarci tutto un mondo interiore. Ci vogliono autori e ruoli che sappiano esaltarne l’unicità. Un’altra sfida da affrontare. Perché quello che si è riproposta – giustamente- è di non praticare strade già percorse, di riprendere gii antichi ruoli culto e blockbuster al botteghino: “ voglio danzare chi sono io, oggi” ripete. E così ecco che arriva Léa, consapevole e forte amante ‘agée’ del pischello Chéri, nella piéce di danza e teatro da Colette creata da Martha Clarke due anni fa a New York ( prossimamente al Linbury Studio della Royal Opera House di Londra). Poi Virginia Woolf, nel primo trionfale lavoro a serata che il coreografo postmoderno Wayne McGregor ha creato al Royal Ballet, dove Ferri è tornata a distanza di trent’anni ( “ Wayne mi ha visto in Chéri e mi ha detto ‘ho bisogno di te’. ‘Sei sicuro? Io sono un tipo di ballerina molto teatrale. Tu sei un coreografo formalista.’ Mi ha risposto: “Devo andare avanti. Sei esattamente ciò che cercavo”).
A dicembre poi è stata la volta di Eleonora Duse, in un’altra creazione a serata- tutta su e per lei- firmata da John Neumeier all’ Hamburg Ballet. La forza della sua ispirazione è evidentemente ancora e sempre poderosa.
Ma accanto a queste nuove importanti creazioni, eccola apparire in un progetto di un musical off Broadway; eccola guest della compagnia del poeta della danza postmodern Lar Lubovitch, eccola insieme al suo nuovo prezioso compagno di viaggio, la stella latina Herman Cornejo, in progetti -come Evolution con cui ha attraversato i principali festival italiani, da BolzanoDanza a Civitanova fino alla Versiliana, o Trio ConcertDance con cui andrà in scena al newyorkese Joyce Theatre: e qui passa dall’abbraccio volante del duetto del bacio di Preljocaj, ai voli eterei e senza fine di After the Rain di Wheeldon fino ai tacchi svettanti e nervosi di Twyla Tharp per danzare ancora una volta l’eterno duello amoroso sulla note di My way cantata da Sinatra.
Il nuovo inizio di questa grande artista, insomma, è pieno di energia, progetti, promesse, idee. Curiosità, entusiasmo, voglia di ‘divertirsi’ e di rischiare: “ Ora danzo chi sono. Alessandra, tout court. Perchè io non faccio la danzatrice. Sono una danzatrice. E finalmente, grande privilegio dell’età, sono libera di fare ciò che sento. Di essere una danzatrice ‘a modo mio’.” Dimostrando così che anche nella danza l’età può essere solo uno stato mentale e la maturità può regalare nuove sfumature ad un’arte che proprio grazie a questi talenti eccezionali sta spostando i suoi limiti.
La foto di copertina ritrae Alessandra Ferri e Herman Cornejo, in Le Parc di Angelin Preljocaj. foto Monica Bragagnoli
meraviglia….
[…] e sentito, in cui appunto si parla di questa straordinaria capacità interpretativa della Ferri (https://www.wordsinfreedom.com/af/#.VccQ7YnvlGJ.facebook) Immaginate quindi il nostro stato d’animo (mio e di Monica) quando verso le 18.00 ha […]