2015: un’annata cinematografica malinconica

-di Simone Soranna-

E anche quest’anno, è arrivata la fine dell’anno.

Uno dei momenti più attesi dall’intera umanità per potersi riposare un po’, godere delle interminabili cene di Natale e Capodanno, fare e ricevere regali, ammirare le luminarie, scambiarsi gli auguri e tutte le solite attività di cui sicuramente sarete esperti.

La fine dell’anno però è un momento altrettanto atteso anche dai cinefili, i quali non vedono l’ora di poter stilare la loro annuale classifica dei migliori 10 nuovi film visti nei 365 giorni appena trascorsi. Stellette, insulti, cambi di posizione, spareggi, gravi mancanze, chicche inaspettate: tutto questo si può trovare sul web tendenzialmente nelle ultime 2 settimane di Dicembre.

Noi di Words In Freedom però non vi abbiamo mai abituato (o per lo meno ci abbiamo provato) a leggere qualcosa di canonico e reperibile altrove. Ecco perché anche in questa occasione, non vogliamo proporvi la nostra classifica del meglio (o del peggio) dell’annata cinematografica 2015, ma una chiave di lettura critica e insolita che punti a leggere in maniera diversa i contenuti di quest’anno di cinema. Guardare indietro, analizzare il passato, per provare a delineare una piccola traccia di dove i mestieranti della settima arte si stanno muovendo.

il ponte delle spie

Tom Hanks in una scena de Il ponte delle spie

È molto curioso notare che lo stesso procedimento di analisi retrograda sia proprio ciò che sembra aver accomunate la maggior parte delle produzioni più significative di questo 2015. Andiamo con ordine, cominciamo dal passato più prossimo che ci sia: la settimana scorsa.

Mercoledi 16 Dicembre uscirono in sala due film molto attesi e altrettanto interessanti. Mi riferisco all’ultimo capitolo della saga di Star Wars e a Il ponte delle spie, diretto da Steven Spielberg. Entrambi, seppure in maniera diversa, sembrano proprio voler dialogare con il passato per cercare di creare un presente più solido capace di aprire a un futuro migliore. Il film di J.J. Abrams infatti riprende per filo e per segno le atmosfere, i personaggi e persino la struttura narrativa dell’originale Guerre Stellari del 1977. Il regista sa benissimo che per provare a rilanciare una saga di questo calibro, deve prima fare i conti con il pubblico più fedele e appassionato ma allo stesso tempo provare ad ingolosire le nuove reclute. Come riuscirci? Semplice, riproponendo il successo del primissimo capitolo in chiave più moderna. Grazie a questa scelta, tanto canonica quanto coraggiosa, Abrams è riuscito a realizzare un film molto divertente e calzante che continua a dialogare con i suoi antenati in ogni fotogramma di pellicola (già, infatti per sottolineare ulteriormente il legame con il passato, il film è stato girato in pellicola e non in digitale). Spielberg invece prova a raccontare una vicenda politica curiosa e sconosciuta, avvenuta durante la Guerra Fredda e dalla quale non si può non rimanere toccati per l’alto senso morale trasmesso e continuamente utilizzato come bussola per le decisioni di ognuno. Il ponte delle spie è un film denso di memoria (sia stilistica che storica) che vuole provare a ricondurci sui binari più opportuni mostrandoci come si comportavano i nostri avi.

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Una scena tratta da Star Wars: Il risveglio della Forza

Lo stesso intento espresso da queste due opere, se osserviamo con attenzione, nell’ultima annata possiamo individuarlo in altri casi. L’operazione di Spectre, ad esempio, sembra ripercorrere un salto indietro per svelare misteri mai affiorati lungo l’intera saga di 007; Bennett Miller con il suo Foxcatcher pare invece voler seguire passo per passo la lezione Spielberghiana dell’analisi del passato mirata a comprendere al meglio il presente per migliorarlo; Youth di Paolo Sorrentino erge a protagonisti due anziani amici che non possono far altro che ricordare e ripensare ai bei tempi trascorsi durante la loro giovinezza; e poi The Imitation Game, Fury, Big Eyes, Everest, Marguerite, Vizio di forma, The Walk, Woman in Gold, Maraviglioso Boccaccio, Black Mass: sono solo alcuni esempi di titoli completamente immersi in una cornice temporale più o meno attempata.

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Il poster di Spectre, ultimo capitolo della saga di 007

Persino i lavori di animazione più significativi della stagione sembrano aderire a questo modello di riferimento. Shaun, vita da pecora – Il film si avvale di uno stile proprio del cinema delle origine (senza alcun impiego dei dialoghi e ricco di gag corporali) mentre Il viaggio di Arlo (oltre a raccontare una storia ambientata agli albori dell’umanità) è il film più classico e lineare della casa d’animazione Pixar che, proprio in quest’anno, ha avuto anche modo di sfoggiare la sua perla più coraggiosa, complessa e riuscita che prende il nome di Inside Out (basata anch’essa su una ricerca nel labirinto della memoria e dei ricordi).

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Una scena tratta da Inside Out

In ultima analisi, è impossibile non citare il continuo e sempre maggiore successo che stanno avendo gli eventi di riditribuzione di vecchi classici nelle sale di tutta Italia. Con l’occasione di un anniversario, oppure quella di una rimasterizzazione, ormai possiamo imbatterci sempre più spesso in pellicole che hanno segnato l’immaginario di diverse generazioni decadi orsono. La malinconia e la voglia di astrazione dal presente odierno, è sfociata in un fase cinematografica basata sull’amarcord.

È dunque curioso notare come, progredendo e camminando verso il futuro (a tal proposito, settimana prossima non perdete l’articolo scritto da Andrea Chimento riguardo i titoli più attesi della stagione 2016), in realtà si abbia voglia di girare le spalle al domani per ripararsi nello ieri. E se questa sia una tendenza solo cinefila oppure, più genericamente, umana, lasciamo a ognuno la propria sentenza.

In copertina: Il ponte delle spie, di Steven Spielberg

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