-di Claudia Porrello-
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni… Gesù, ma chi li ha!” (Gordon Lachance adulto)
Era l’8 agosto 1986 quando nelle sale americane usciva Stand by Me – Ricordo di un’estate, che oggi rappresenta uno dei più intensi racconti filmici sull’adolescenza e sul passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, diretto magistralmente da Rob Reiner, uno dei maestri della commedia americana vecchio stile. Con questo gioiellino sempreverde, ispirandosi al racconto Il corpo (The body) di Stephen King (del quale porterà presto sullo schermo anche il sensazionale best-seller Misery), il poliedrico regista inaugura il suo periodo migliore, con la successiva uscita de La storia fantastica (1987), Harry ti presento Sally (1989) che ha segnato un’epoca, e dell’indimenticabile thriller Misery non deve morire (1990).

Gordie e Chris in una scena del film
Siamo nella cittadina immaginaria di Castle Rock, in Oregon, dove vivono Gordon detto ‘Gordie’, Chris, Teddy e Vern, quattro amici dodicenni alla loro ultima estate prima del ginnasio. Gordie (Wil Wheaton) è il protagonista, un bambino sensibile con uno spiccato talento per la scrittura mentre il suo migliore amico Chris (River Phoenix), che porta addosso il peso di una famiglia con una pessima reputazione, è tutto fuorché un poco di buono e non si risparmia nello spronare Gordie a credere di più in sé stesso e nelle sue doti. Del gruppetto Teddy (Corey Feldman) è l’esuberante che si mette più in mostra al contrario di Vern (Jerry O’Connell), timido e impacciato. Spinti dalla curiosità e dall’adrenalina del mistero, partiranno alla ricerca del cadavere del coetaneo Ray Brown, creduto morto poichè scomparso da giorni nel bosco, dove si era addentrato alla ricerca di mirtilli selvatici. Un’avventura che, seppur breve, li segnerà profondamente nel corso del viaggio verso una meta proibita, ‘summa’ di esperienze interiori e collettive propedeutiche alla loro formazione. L’ampia inquadratura su un campo di grano che apre il film serve a introdurci al Gordon, ormai adulto, che si abbandona a quel particolare ricordo nostalgico di quando era bambino. Parte quì un lungo flashback accompagnato dalla sua voce narrante e che lo riporta proprio a quell’estate, l’estate del 1959.
Nel dirigere questo piccolo film cult Rob Reiner adotta da King la straordinaria capacità di raccontare l’infanzia nei propri romanzi, perché in questo adattamento per il cinema di 89 minuti si riesce davvero a percepire, come fossero reali, le emozioni in movimento e contrastanti dei piccoli eroi protagonisti che si affacciano alla vita intraprendendo un percorso di iniziazione. L’iniziazione avviene con l’attraversamento di un bosco, e i binari della ferrovia, sentiero che seguono diligentemente alla volta del fiume, sono il passaggio definitivo che marca la loro entrata nel modo dei grandi. Un accesso difficoltoso, che li mette di fronte a una serie di sfide per affrontare i propri “fantasmi”: dalla paura del buio a quella del treno, forte metafora del passaggio dall’infanzia all’età adulta, che minaccia fisicamente la banda dei quattro giovani nella bellissima scena sul ponte attraversato dalla sola ferrovia, senza spazio ulteriore dove ripararsi se fosse sopraggiunto il treno in corsa. C’è poi il confronto / scontro con gli adulti del loro presente, rappresentati dalle rispettive famiglie in primis, in quanto Gordie, Chris, Teddy e Van avevano tutti una situazione familiare non rassicurante, causa principale dell’incertezza verso il futuro. Dall’indifferenza dei genitori di Chris ancora in lutto per la tragica morte del figlio maggiore (che Gordie continua a vivere come una colpa), alla mancanza che Teddy sente del padre veterano di guerra, che era stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Ciò che succede lungo il cammino poi, li porta a prendere consapevolezza della differenza tra mito e realtà (si pensi ad esempio alla presa di coscienza di Teddy della reale pazzia del genitore) e a cominciare a vedere le cose come veramente sono, senza filtri, senza la tenera ingenuità tipica di quella delicata fascia di età.

I quattro protagonisti lungo la ferrovia
Lo stesso doloroso tema della morte, rappresentata visivamente dal corpicino senza colpa di Ray Brown, non può essere evitato, ma invade tutto il film e va’ anche aldilà: con la rivelazione iniziale della morte di Chris divenuto avvocato, lo spettatore non potrà non pensare alla vera morte dell’attore che lo interpretava, River Phoenix (fratello del più conosciuto Joaquin), avvenuta solo 7 anni dopo le riprese del film. In questa direzione, si potrebbe parlare di effetto “postumo” che Stand by Me potrebbe suscitare nello spettatore: la scena con Gordie e l’amico fraterno Chris che si allontana lentamente e agitando la mano, altro non è che in senso più ampio un saluto al mondo, un silenzioso congedo personale.
Tornati a casa nulla sarà più come prima: ai protagonisti non resterà che stringere i denti e trovare ispirazione nel bellissimo rapporto di rispetto e fiducia che li unisce, come ricorda la colonna sonora di Ben E. King). Questo gli servirà a trovare la forza di affrontare le rispettive vite in divenire, rimanendo o andando via da Castle Rock, che fino a quel momento era stata per loro il mondo intero.
L’attenta regia non ha lasciato nulla al caso: ogni inquadratura è stata scelta con cura maniacale per mostrarci sempre nella maniera migliore un paesaggio (il totale) o l’espressione di un volto (il particolare). La giusta scelta degli attori si è dimostrata decisiva per il delineamento della psicologia dei personaggio veramente molto complessa, resa molto bene dai vivaci dialoghi, dalle ottime interpretazioni e da alcune scene caratterizzate da una fortissima tensione emotiva. Stand by Me è una delicata parabola sull’amicizia adolescenziale d’altri tempi, dei tempi in cui si costruivano le capanne sugli alberi per delimitare il proprio rifugio nel mondo. Ritornando all’io-narrante, vedremo solo alla fine del film come Gordie sia davvero diventato uno scrittore, e appresa la notizia della scomparsa dell’amico d’infanzia deciderà di cristallizzare in un romanzo quel prezioso e malinconico ricordo, ma che continuerà a rimanere impresso nella sua memoria in modo indelebile.
Stand by Me è una favola, da rivedere e in cui, forse, immedesimarsi, perché tutti siamo stati bambini come Gordie, Chris, Teddy e Vern.